La nuova destra parte dalla via Gluck di Cesare Martinetti

La nuova destra parte dalla via Clock La nuova destra parte dalla via Clock E a Milano è battaglia frontale fra An e Carroccio MILANO DAL NOSTRO INVIATO Qui a Baggio, periferia ovest di Milano, dove tre anni fa la Lega prese il 32 per cento dei voti, una volta c'era il circolo psi «Problemi sociali», centro operativo di Francesco Colucci, leader dei socialisti pugliesi e ras dell'ortomercato. Adesso, negli stessi locali, c'è il circolo «Insieme per crescere»: non ci sono più i socialisti, né Colucci. L'ha aperto la signora Rosy Parlanti, 43 anni, ex maestra elementare, missionaria di An in questa terra periferica e proletaria, una delle poche dove Nando Dalla Chiesa vinse il ballottaggio contro Formentini. La signora Parlanti è una delle colonne milanesi di Fini, a suo modo un nuovo soggetto sociale del partito che fu di Almirante e che qui ha per capo uno come Ignazio La Russa, il post fascista dagli occhi di ghiaccio, uno dei colonnelli della neodestra gollista e democratica che però, appena si ritrova tra camerati, rispolvera il saluto romano. E' successo tre mesi fa, a Brescia, alla festa di matrimonio di Viviana Beccalossi, vice presidente di An alla Regione Lombardia. Naturalmente La Russa ha smentito che si facesse sul serio: «Era per scherzare». Ma ci sono le foto: ed effettivamente tutti se la ridono divertiti. Massi, era uno scherzo. Se l'istinto e il folklore sono duri a morire, quel che succede qui a Baggio è però un fenomeno ben diverso. La signora Parlanti non fa saluti romani, ma nel suo circolo riceve pensionati, handicappati, disoccupati. Dà informazioni sulle pensioni e su tutto ciò che serve a sopravvivere nell'Italia smarrita della Seconda Repubblica. Svolge un servizio sociale, come facevano una volta i patronati del sindacato o le sezioni del pei. E non basta perché la signora Parlanti, che dopo 23 anni di insegnamento è andata in pensione per darsi alla politica, è anche la direttrice della rivista «Vento sociale»; si decupa ovviamente di problemi sociali e impiega una settantina di disabili. La battaglia di Fini si combatte palmo a palmo sulla terra lombarda e meneghina. Il terreno è lo stesso della Lega e di Berlusconi; uguale la materia prima su cui si lavora: la borghesia imprenditrice e mercantile, piccola e media, comunque nervosa e orfana dei vecchi e materni ventri politici. La periferia sbriciolata, come quella di Baggio, sui cui muri si vedono solo i manifesti di Fini e Berlusconi. Alleati e insieme avversari, duellanti nell'ex campo dei miracoli di Bossi che proprio qui, nella Milano della Lega, nel momento stesso in cui ha raggiunto l'apoteosi ha incominciato il suo declino. Non per niente nel suo ufficio in piazza della Scala il senatore Riccardo De Corato ha l'espressione di un gatto sornione che sta giocando con un topo di nome Formentini. Se entro il 26 marzo il Comune non approverà il bilancio, il primo sindaco leghista farà le valigie: «Se ne andrà - profetizza De Corato - gli ho piantato un migliaio di emendamenti... A novembre si vota». De Corato è il sottocolonnello (di La Russa) a Milano. Ha 43 anni, è piovuto in Lombardia dalla Puglia di Andria, ha fama di oppositore risoluto (con l'ex demoproletario Basilio Rizzo) di tutte le maggioranze che hanno governato Milano. Non per niente dietro la sua scrivania c'è una specie di riconoscimento firmato dalla procura di Milano, dipartimento reati contro la pubblica amministrazione. Per intenderci, quello di Di Pietro. De Corato ha denunciato tutto e tutti, dall'85 a oggi. Alla procura ha portato fascicoli su fascicoli, molti degli scandali della tangentopoli milanese portano la sua firma di denuncia, e se ne compiace aprendo e mostrando gli armadi rigonfi di faldoni. E' stato il motore missino, il rappresentante di Mani Pulite a Palazzo Marino. Adesso gode, e incassa: quel 10 % preso da Au nel suo collegio di Milano centro, è merito suo, di missino infaticabile, umile e specchiato. I maligni dicono che appena arrivato a Milano, dormiva persino in federazione. E che per guadagnarsi i galloni, ha anche fatto da baby sitter al figlio di La Russa. Lui ci racconta di un consenso nato tra i commercianti di corso Buenos Aires, viale Monza, via Padova. E' lì che De Corato s'è conquistato voti e simpatie. Battaglia contro i sensi unici; no agli aumenti dell'imposta sulle insegne e lo smaltimento dei rifiuti, imposte dopo promesse da marinai - dalla giunta leghista di Formentini. E' in corso Buenos Aires che De Corato confessa di sentirsi «a casa sua». Furbizia, cameratismo, lealismo 10 hanno portato dentro l'«azienda» politica della destra milanese, quella della famiglia La Russa, tre fratelli e un pezzo di storia cittadina nata insieme al fondatore, il vecchio padre Antonino, reduce della Rsi, di Al Alamein ed ex federale, calamitato qui da Paterno da quella specie di mito siculo-lombardo che fu Virgillito, uno dei primi manovratori della Borsa valori di Milano. Attraverso Ursini e Ligresti, i La Russa hanno guadato la storia milanese, fino all'approdo in An, porto di arrivo e ora di legittimazione di una destra insieme razionale, emotiva, e sottopelle antiberlusconiana. Anche qui tira aria di vittoria, forse di umiliazione per la Lega, certo di confronto alla pari con gli Azzurri. Nel '92 l'msi aveva 11 4 % (zoccolo duro, storico e tradi¬ zionale dell'estrema destra milanese); alle politiche del '94 ha preso l'8%; alle regionali di un anno fa il 13,2. Tra un mese - dicono i sondaggi - potrebbe essere il 19 %. Il vento di destra - insieme a quello «sociale» della signora Parlanti - soffia forte. Eppure, nonostante tutto questo, nessun esponente della buona società civile milanese ha ancora avuto il coraggio di dire che voterà An, come invece avvenne clamorosamente per la Lega (l'editore Mario Spagnol e il giornalista Giorgio Bocca). L'unico nome nobile che An ha già annunciato nella liste lombarde è quello dell'attore Giorgio Albertazzi. Ma non è stata una sorpresa per nessuno. Il nobiluomo Tommaso Staiti di Cuddia, grande eretico della destra lombarda («Sono uscito dal msi nel '91, un'ora dopo che Fini era stato eletto»), se ne sta nella sede della «Fiamma tricolore» a coltivare rabbie e a meditare vendette. Nel vecchio palazzo in ristrutturazio- ne di piazza Tricolore, sopravvive un santuario nero e nostalgico. C'è una specie di altarino, con fiori rossi di stoffa, per Benito Mussolini; si «prenotano», previo contatto con il «camerata Benito», distintivi storici delle forze armate della Rsi. Caustico e ironico, Staiti promette «sorprese» per la generazione di colonnelli finiani che ha preso il potere in An ricalcando «prassi lottizzatorie democristiane e socialiste». Staiti spara al bersaglio grosso di Fini: «E' fortunato perché, si dice a Roma, è nato con un fiore nel culo, come le zucchine». Dei suoi colonnelli dice che una volta arrivati al potere, non hanno fatto altro che imitare il godurioso De Michelis: «Fotografie al night con troiette romane e poco più». Lui riprova a scandalizzare organizzando un convegno che affianca il «camerata» Che Guevara al «compagno» Primo Do Rivera, fondatore della falange franchista. Aspettando «sorprese» dall'hinterland (Monza, Legnano, Seregno) dove - dice - la sua Fiamma «brucia» più del lumino di An. Ma intanto la strategia avvolgente di An sulla borghesia milanese viaggia sul telefonino di Roberto Predolin, 50 anni, titolare di un'azienda di trasporti con venti dipendenti, anche lui tessitore e uomo simbolo della destra sociale: <A noi piccoli imprenditori manca il respiro nel provare a difendere ogni giorno l'azienda e il lavoro». Predolin non viene dall'msi; ma in An dice di aver «creduto da subito». E per il neopartito di Fini s'è fatto organizzatore e promotore dei «circoli di ambiente», quelli che puntano a scavare una breccia nella «società civile». Risultato: centotrenta circoli fondati in meno di un anno. Medici, farmacisti, donne, «diritto e giustizia», «ferrovie e trasporti», «ambiente e natura», «sicurezza e difesa», «valori e famiglia». Per finire con il «Gandhi», neonato nella zona di piazzale Loreto, per occuparsi «pacificamente» di territorio in un pezzo simbolico di città. Grosso modo 5 mila persone che nel nome di Fini palpeggiano gli umori stanchi e delusi dei milanesi. Vi sembran poche? Cesare Martinetti La materia prima del «colonnello» Ignazio La Russa è quella della Lega: piccola borghesia orfana dei vecchi centri politici