E l'Ulivo adesso teme l'«effetto boomerang» di Gustavo Selva

R E l'Ulivo adesso teme ^«effetto boomerang» IL PALAZZO E LE TOGHE R ROMA IDACCHIA Gustavo Selva su quel divano di Montecitoi 'o. Ridacchia e intanio pensa a quello strano «paradosso» che potrebbe trasformare per il Polo un male in virtù. «I nostri avversari stanno ripetendo gli stessi errori del '94 spiega -: prima con il caso Squillante hanno messo a soqquadro la procura di Roma e la capitale; adesso dalla Sicilia arrivano le solite voci. Sono dei suicidi. Vogliono avere i voti di quel blocco sociale - si dice così? -, di quell'ambiente che sta intorno a Dini, eppoi fanno queste cose. Quello di Squillante è l'humus di Dini, è la gente dei salotti andreottiani, dove si vedono grandcommis, magistrati, massoni. Gente che potrebbe scegliere l'Ulivo solo per rilegittimarsi e che di fronte al caso Squillante potrebbe tirarsi indietro dicendo: capperi!». Un discorso speculare fa sull'altro versante Ayala, ex magistrato, deputato e candidato del centro-sinistra in polemica con l'Ulivo. «Questa storia di Squillante - osserva - si allargherà, eccome! Girano tante voci ma a noi non gioverà sul piano elettorale. Solo che non possiamo farci niente...». Pericolo di «boomerang». Pericolo di ripetere gli errori di sempre. Sarà un caso, ma parte la campagna elettorale e con un sincronismo perfetto la questione «giudiziaria» è di nuovo nell'aria, pronta cadenzare le cronache. E, paradossalmente, mentre il segretario del pds, D'Alema, si sforza di parlare poco dell'argomento, il Cavaliere ne fa la sua bandiera. Ieri nel faccia a faccia con D'Alema alla Confapi, è proprio Berlusconi a tirare in ballo i giudici con uno slogan: «Sono sceso in campo perché era minacciata la libertà». E al segretario del pds che cerca di liquidare il tema deviandolo su Fini «non tocchiamo questo argomento perché io non dico che alcuni dei suoi alleati minacciano la libertà» il Cavaliere replica: «Quando parlo di minacce alla libertà penso ad un uso della giustizia a fini politici che non può renderci sereni». Eh sì, è Berlusconi a scegliersi come obiettivo il «partito dei giudici». Lui conosce a menadito il «ruolo» che deve interpretare in casi del genere e nelle sue liste ci sono candidati alla bisogna per una simile guerra, come le bestie nere del pool di Milano: l'ex ministro della Giustizia, Filippo Mancuso, e l'avvocato Taonnina. Insomma, sembra che lo scontro con i giudici faccia parte della strategia elettorale di Berlusconi. Non per nulla dopo il caso Squillante che ha messo sotto i riflettori personaggi del primo giro berlusconiano come Previti, Letta e Galliani, è proprio il Foglio, il giornale di Ferrara, a dare la notizia che da sei mesi Berlusconi è iscritto sul registro degli indagati della procura di Palermo per mafia. Una notizia che Miccichè, coordinatore di Forza Italia per la Sicilia, rilancia sulle agenzie. Così, più passano i giorni e più la la scena di questa campagna elettorale che si annuncia velenosa come non mai, viene conquistata dalla battaglia tra Berlusconi e pool. Il vertice del centro-sinistra, invece, è in una posizione imbarazzante: sa che questo scontro non gli conviene, specie in questo momento, ma non può impedirlo e rischia di pagarlo in termini elettorali. In questo schema, infatti, Dini sparisce, Prodi pure, rimane solo la sinistra che nell'immaginario proposto da Berlusconi è un tutt'uno con quel «partito dei giudici» che lo vuole morto. Ma che possono fare D'Alema e i suoi? Nelle riunioni la consapevolezza del rischio c'è, ma manca la risposta. Certo D'Alema, Veltroni, Folena ripetono che non ci devono essere «strumentalizzazioni» e l'avvocato Flick, autore della parte del programma di Prodi per la giustizia, arriva a criticare l'uso smodato delle «intercettazioni». Ma ci si può fermare a questo mentre infuria la guerra tra procure? Ormai c'è un bollettino giornaliero: prima lo scontro tra il pool e Nordio, cioè con il magistrato delle tangenti rosse; quindi, le polemiche tra il procuratore di Napoli, Cordova, e il pidiessino Violante; poi, quelle sul procuratore di Firenze, Vigna; e, ora il caso Squillante, lo scontro tra le procure di Roma e Milano, le voci del palazzo sugli sviluppi dell'inchiesta che danno cifre da capogiro: sarebbero coinvolti 5 magistrati di Roma, due di Grosseto, 4 di Firenze. E c'è tutto il capitolo siciliano da scoprire. Di fronte ad un simile maremoto è difficile cavarsela facendo lo «gnorri»: un segretario del pds che ha fatto della «normalità» la sua parola d'or- dine non può trincerarsi dietro un «no-comment», non può non vedere mentre l'Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede, parla di «intersecarsi col mondo politico di episodi giudiziari spesso oscuri», «di intreccio patologico», «di opinione pubblica sempre più preoccupata e frastornata». Solo che per il segretario pds è difficile anche dire qualcosa: non può criticare certe iniziative spericolate delle procure per non incorrere nelle ire dei magistrati, né può cavalcarle. Il pds, in altre parole, è inerme di fronte a quello che sta avvenendo. «Sarà strano - dice Tiziana Maiolo, pasionaria del Polo nello scontro coi giudici - ma credo che neanche Violante sapesse quello che stava per succedere. La verità è che siamo alle faide nella magistratura. Uno scontro senza esclusione di colpi, dove le bande vanno avanti per conto proprio. Il pool ormai è un soggetto politico che si muove con una sua logica. Hanno provato prima a mettere nei guai Nordio. Hanno colpito Misiani alla vigilia del trasferimento a Milano. Per non parlare della gestione del caso Di Pietro, assolto da un giudice che gioca a tennis con Colombo e partecipa agli stessi ritiri spirituali... Ormai la situazione è impazzita, nessuno la controlla più». Discorsi che - un altro paradosso riecheggiano in parte anche a Botteghe Oscure, dove un gruppo dirigente rischia di essere risucchiato in uno scontro che non gli piace e di ripetere, suo malgrado, gli errori di un recente passato. «Non la vedo bene - dice scuotendo la testa Emanuele Macaluso -. Certo D'Alema cerca di tirarsi fuori da tutto questo, ma la gente per colpa di un modo di essere di alcuni dei nostri ha i riflessi condizionati, ci vede dentro questo scontro. Purtroppo ce ne siamo accorti tardi e abbiamo fatto poco. Al paese mio si dice: hanno rubato Sant'Agata, mettete le porte di ferro. Adesso, quel pezzo di società che volevamo portare dalla nostra parte, quel generone romano disposto a venire verso di noi, di fronte a quello che sta avvenendo, scapperà». Augusto Minzolini