LE ANIME DI WALSER «PREFERISCONO DI NO» di Luigi Forte

LE ANIME DI WALSER «PREFERISCONO DI NO» LE ANIME DI WALSER «PREFERISCONO DI NO» La goffa esistenza di studenti, impiegati, poeti tricità affonda nel candore di chi guarda la vita per la prima volta e scopre che è qualcosa che non si può sentire e corre pazzamente verso la fine. Queste brevi prose, «piccole forme», di cui Welser è sommo maestro nel Novecento, sembrano scritte per mettere a dura prova lettori smaliziati. Nulla ci rende forse più impotenti di questa liscia, monotona superficie, su cui uomini e cose scivolano senza rumore. Solo qua e là c'è qualche scricchiolio, qualche lontano boato. Quando Walser si mette nei panni di scrittori del passato e sembra origliare dietro la loro disperazione: scopre il grande romantico Brentano indurito e freddo come il ghiaccio, tallona Buchner in fuga verso Strasburgo, in tasca il manoscritto di La morte di Danton e negli occhi una libertà incerta: «... Correva, correva, mentre il vento carezzava il suo volto leggiadro». E il drammaturgo Lenz, che con il suo teatro vuol appiccare il fuoco alla letteratura tedesca. Un disperato ripudiato dal padre, dal grande amico Goethe, dai potenti. Una meteora senza luce. Seguiamo queste tracce e im¬ percettibilmente finiamo in un unico, grande libro, che tutto contiene, romanzi e prose, poesie e schizzi: la sua autobiografia. Non l'ha mai scritta, ma in ogni sua pagina se ne può raccogliere un piccolo frammento. E tutto richiama il medesimo paradigma: il suo rimpicciolirsi, il dimagrimento dell'io, l'elogio dell'insignificante e dell'imperfetto, l'amore per l'inazione, il vagabondaggio, l'impegno per un'educazione che sia amministrata solo dalla vita: «Un figlio della natura, un figlio del mondo, ecco quello che sarai - leggiamo in Lettera di un padre a suo figlio, vero e proprio capovolgimento dell'epistola kafkiana -. Potrai respirare e vivere. Coloro che sono perfetti non vivono». Ma nemmeno lui ci è riuscito granché: il suo pudore quasi patologico, la sua rinuncia dopo lo scarso successo letterario, il magico sguardo che lambisce solo ritagli e minuzie, la sua paura di contatto sono altrettanti segni di una vita che ha fatto della distanza e dell'imperturbabilità una fortezza contro il dolore. Robert Walser è stato un grande miniaturista, un maestro dell'impercettibile, sintonizzato su onde astrali che di tanto in tanto visitano i terrestri. La sua pagina su Cenere, lancette, matita, fiammifero è un piccolo poema sull'eco profonda che le cose, accarezzate senza superbia, lasciano nella mente formidabile dell'ingenuo. Come il suo Oskar, nell'omonima prosa, anche lui ha sondato l'abisso, offrendo ai demoni la forza enorme della propria inconsistenza. Così leggero, non c'è stato potere che lo abbia arrestato. Ha girato in lungo e in largo, misterioso come il suo assistente Joseph Marti, tra le ruvidezze di un secolo aspro e tormentato. A volte, come ripetono qui taluni racconti (da La fata a Schwendimann, Fiabe, La fine del mondo) si è perso nella fiaba, da cui in fondo discende ogni suo segreto umore. Poi, stanco, è tornato alle proprie origini: alla follia, ultimo riparo da ogni iniqua ragionevolezza. Luigi Forte Robert Walser La fine del mondo e altri racconti Armando Dado pp. 142, L 24.000

Luoghi citati: Strasburgo