Lustiger la lingua dei poveri

Lustiger, la lingua dei poveri L'arcivescovo di Parigi fra gli «immortali» dell'Accademia di Francia: «Sarò là per i diseredati» Lustiger, la lingua dei poveri «Fede è anche saper comunicare» OLTI sono sorpresi dall'ingresso nell'Accademia francese di Jean-Marie Lustiger e si domandano che cosa l'ha spinto ad accettare. «Se volevo essere fedele alla memoria del cardinale Decourtray, non avevo scelta. I voti degli accademici, indirizzati prima a lui e ora a me, onorano ciò che noi rappresentiamo: la Chiesa. E non per rispettare una tradizione, ma perché la fede cristiana, la Chiesa sono parte integrante della storia e della cultura di Francia. Anche il laicismo è qualcosa che ci appartiene. Due avversari che giocano la stessa partita sullo stesso campo, la Francia, con i loro sostenitori che sono un solo pubblico, i francesi. Avrei potuto rifiutare, ma voleva dire sfuggire». Come agirà all'Accademia? «Non sono un uomo di lettere, sono un prete. Non dimentico mai la missione di "annunciare la Buona Novella ai poveri; ai prigionieri la liberazione". Conosco la sofferenza e la speranza che rappresento. Nessuno s'aspetta altro da me all'Accademia, luogo simbolico della lingua e della cultura del nostro Paese». Si occuperà del linguaggio? «Non è un lusso inutile. Il linguaggio esprime e talora accresce le difficoltà e le possibilità di una società che deflagra. Le diseguaglianze, le emarginazioni, le sconfitte creano incomprensione, come constatiamo nel linguaggio delle banlieue e dei giovani. L'opposizione, o l'adesione, a valori comuni si traduce nell'evoluzione del linguaggio. Non solo, la cultura francese è, dall'origine, "geneticamente" segnata dalla tradizione biblica e cristiana. Non riconoscerlo significherebbe praticare una vivisezione mortale per tutti i francesi e i francofoni, qualunque sia la loro religione o la loro convinzione». Il suo ingresso all'Accademia coincide con i 15 anni di ministero a Parigi. Quale bilancio? «Non sono il solo né il primo, dalla fine della Seconda Guerra mondiale, ad aver visto che la Francia contadina, humus della vita cristiana, si sgretolava rapidamente; e ad aver previsto quel che stava per accadere. Sono stato sensibile alle conseguenze morali e umane degli sconvolgimenti della società francese. Ho fatto visita al presidente Mitterrand all'inizio del suo primo settennato, quando da pochi mesi ero stato nominato arcivescovo di Parigi. Gli ho esposto quella che chiamavo la "de-moralizzazione" della popolazione: la morale, i costumi dei francesi, le loro motivazioni al lavoro, a vivere insieme erano profondamente malate, soprattutto fra i giovani. Era un problema politico che riguardava a lungo termine la fonte d'energia più profonda della società francese. La Chiesa non era estranea, in positivo o in negativo, a quell'evoluzione, considerato il ruolo che ricopre nella coscienza nazionale. Ho parlato allo stesso modo ai capi di governo successivi; ho ripetuto quel leit-motiv ai principali responsabili, a chi voleva intenderlo. Ho avuto in seguito l'amara soddisfazione di veder confermata quella diagnosi. Gli slogan di allora erano stati smentiti dai fatti. Oggi, i danni sono lì. I giovani mi fanno pensare agli uccelli imbrattati di petrolio: si ha un bel cercare di pulirli, non si riesce a salvarne molti. Una volta invischiati nella droga, nelle ferite di una educazione fallimentare, nell'assenza d'amore dei genitori, nell'analfabetismo di ritorno, nella brutalità, sono "impetroliati", non si sa come salvarli. La società sta sacrificando una parte di sé. Questo non è pessimismo, è riconoscere un dato di fatto, una sciagura che si dovrà pagare per decine d'anni. Le società occidentali sviluppate mostrano la loro fragilità quando diventano incapaci di ripartire in modo equo la speranza e i mezzi per vivere. Come un corpo umano, il corpo sociale non può sopravvivere a lungo con parti sane e parti malate. Una società a due velocità è una condizione patologica della democrazia. E questo è un problema mondiale». Il degradarsi della salute conduce a morte. Siamo in una logica suicida? «Nel colossale sconvolgimento della nostra civilizzazione, vissuto il più delle volte come una fatalità, vediamo di nuovo sorgere sintomi di vitalità che molti non si aspettavano più. Quello umanitario, per esempio. Senz'altro è recuperato dalla macchina pubblicitaria e dei media. Tuttavia, quando viviamo in una società che favorisce l'individualismo, l'egoismo, il "ciascuno per sé", il senso umanitario è la prova che l'altruismo, l'amore del prossimo, non sono morti e rendono capaci di rinnovare. Non parlo dello spettacolo umanitario che ci offre la televisione... Penso alle ge- nerazioni di giovani che vanno al fronte. Fra loro ho visto nascere vocazioni a farsi prete, dedicarsi ai poveri, al servizio di tutte le miserie morali, spirituali... Quelli che partono non sono tutti futuri curati, future suore, futuri dottor Schweitzer. Ma ce ne sono. La loro scelta non deriva da una reazione di disgusto contro la nostra società, ma da una forza profonda, radicata nell'amore del prossimo che il messaggio del Vangelo ha seminato negli spiriti e nei cuori. L'amore del prossimo è un comandamento di Dio. Così è vissuto da tanti. Altro esempio. Quando le pratiche religiose si cancellano dalla memoria, quando tante tradizioni non sono più trasmesse, i riti della Chiesa scoprono potenza e vitalità mai uguagliate nel passato. Quaranta o cinquant'anni fa le notti di Natale, le domeniche delle Palme e di Pa¬ squa portavano nelle chiese folle in fin dei conti poco cristiane. Oggi, in quelle feste popolari, compare pienezza di significato e bellezza». I cristiani non subiscono più l'obbligo di quelle feste, ma le vivono con intensità. «A Parigi le Chiese sono piene. Certo, l'affluenza non è paragonabile a cinquant'anni fa. Ma, al contrario di quanto si sente dire, non sono deserte. Ormai il conformismo sociale non incide più nel senso della costrizione religiosa, ma all'opposto. Di colpo la Chiesa ridiventa fonte dove sgorga senso spirituale che risveglia in tanti partecipanti occasionali il desiderio di tornare». Una ripresa della fede? «Ne è conferma l'aumento del 30 per cento ogni anno, da cinque anni in qua, del numero di battesimi di adulti. Sulla base della popolazione parigina, i nuovi battezzati sono di tutte le origini: stranieri e francesi, di diversi orizzonti culturali e di tutte le età». Nel momento in cui la società si disgrega, si assiste a una presa di coscienza? «Si manifesta mi nuovo vigore spirituale. Osservo due flussi paralleli le cui acque incominciano a mescolarsi. Il primo è mi cristianesimo che non esiste se non per conformismo sociale e tende ad assottigliarsi. Il secondo è un movimento di contagio spirituale, di scoperta positiva di Dio in una società deflagrata dove le persone non hanno più ripari. Per i nuovi battezzati, tuttavia, è sempre difficile entrare in una società portatrice di abitudini millenarie. Non dimentichiamo la lentezza con cui evolvono i comportamenti umani. Si può costruire un'autostrada in qualche armo, ma non riformare la vita allo stesso ritmo. Ci vogliono generazioni». Quali riflessioni le suggeriscono gli awenimenti d'Israele? «Il terrorismo in Israele, come nei Paesi baschi e in Irlanda, è una piaga orrenda delle società di oggi. Mobilita, con la potenza della tecnologia, quella dei mezzi di comunicazione moderni. Semina ciecamente la morte per provocare 0 terrore in società fragili e sensibili. Nel caso specifico sono in gioco la pace fra due popoli e la collocazione di Israele in un ambiente ostile, arabo e musulmano. Condannando il terrorismo, occorre sperare che la volontà di riconciliazione e pace possa superare questa efferatezza». Come si annuncia la visita del Papa nel 1997? «Un avvenimento di grande importanza. Mette in gioco il molo della Francia nel mondo. La sua immagine non è soltanto, o soprattutto, moda e profumi, buoni vini e buona tavola. E' legata, lo si voglia o no, alla sua storia spirituale». Robert Serrou Copyright «Paris Match» e per l'Italia «La Stampa» Intervista con il cardinale «I giovani mi fanno pensare agli uccelli imbrattati di petrolio. Ma le nostre chiese ne sono piene» «Diseguaglianze, emarginazioni, sconfitte creano incomprensione? Una società a due velocità è patologica per ogni democrazia» m Frangois Mitterrand Albert Schweitzer L'arcivescovo Jean-Marie Lustiger durante una «Via Crucis»: «La fede cristiana e la Chiesa sono parte integrante della cultura di Francia»

Persone citate: Albert Schweitzer, Decourtray, Lustiger, Marie Lustiger, Mitterrand, Palme, Robert Serrou, Schweitzer