VISCONTI L'ERADITA' RUBATA

A STAMPA Vent'anni fa moriva il regista lo ricorda Suso Cecchi d'Amico, sua amica e sceneggiatrice VISCONTI Eeredità rubata ROMA ONO passati vent'anni dal giorno in cui Luchino Visconti morì, il 17 marzo 1976. Una manifestazione al Teatro di Roma ricorderà domenica l'anniversario, lui non ha ancora una tomba: come voleva fu cremato; desiderava che l'urna delle ceneri venisse posta sotto terra nel giardino della sua casa di Ischia, ma non si ottenne il permesso e la villa venne poi venduta. Simbolicamente, è bellissimo: come fosse inaccettabile immaginare Visconti sepolto, inumato, definito da numeri e parole su una lapide, pianto o visitato in un luogo di morte; come fosse troppo doloroso arrendersi all'idea che non si vedrà mai più una simile straordinaria condensazione di genialità, carattere, bellezza, forza, nobiltà, stile, sapienza estetica, cultura, eleganza, generosità. Suso Cecchi d'Amico evoca ora in Storie di cinema e d'altro, un libro di ricordi scritto con la nipote Margherita d'Amico, il suo lavoro di sceneggiatrice dei grandi film di Visconti, dal 1951 di Bellissima al 1976 de L'innocente; parla qui dell'eredità del maestro che non amava i vezzeggiativi e la chiamava quindi Susanna, dell'amico con cui per un quarto di secolo si sono dati del «lei», del regista «a cui torno continuamente, purtroppo». Purtroppo? «Mi sembra d'essere Celeste Albaret, la governante di Marcel Proust: dopo la morte dello scrittore tutti andavano da lei chiedendole ricordi, dettagli, e con tutti lei attaccava "Monsieur Proust..." ripetendo ogni volta le stesse cose. I maniaci di Visconti sono infiniti, appassionati (olandesi e tedeschi sono i più spietati), vengono da me da ogni parte del mondo, il loro fanatismo non ò certo inferiore a quello dei proustiani. A me fa piacere parlare di Visconti, però mi sento anche in imbarazzo: è un'eredità affaticante». L'eredità di documenti, carte, fotografie e lettere di Visconti, conservata presso la Fondazione Istituto Gramsci, è meno ricca di quanto ci si aspettasse: come mai? «Tutto il resto è stato rubato. Visconti, durante un'estate caldissima, aveva comprato da Mariella Lotti una villa a Castel Gandolfo, sul lago, vicina alla residenza estiva del Papa. Aveva anche progettato di metterla a posto e viverci, quando la sua casa più bella, quella di via Salaria a Roma, gli era venuta in odio: era stata aperta al pubblico la Villa Sa voia che si trova proprio di fronte, e lo esasperavano l'an dirivieni di gente, il traffico moltiplicato, le puttane, il rumore. Nel 1972 ebbe un ictus: eravamo insieme sulla bellissima terrazza dell'Hotel Eden, discutevamo di film, quando cominciò a star male. Per un poco restò in clinica a Villa Carla, poi andò a Zurigo, al ritorno in Italia passò qualche mese a Cernobbio nella casa di Nane, sua sorella. Non volle mai più mettere piede a via Salaria, neppure per un'ora o un momento: come se quel luogo rappresentasse un periodo della vita da cui doveva congedarsi per sempre. La villa di Castel Gandolfo non era pronta. Prese un appartamento a Roma, di fronte alla casa di Uberta, sua sorella. A Castel Gandolfo c'era un locale vasto, tra il magazzino e il garage: tutte le sue cose, mobili, arredi, libri, quadri, oggetti, vennero messi lì. Ed ebbe inizio il grande saccheggio». Saccheggio? «I ladri arrivavano e portavano via tutto: scherzando amaramente, dicevamo che presto i quotidiani avrebbero pubblicato l'orario dei furti. In certi scatoloni o in casse erano stipati insieme carte, libri e quegli oggetti che Visconti amava tanto, che comprava ovunque. I ladri se ne accorsero. Portavano gli scatoloni sul prato, li rovesciavano, si prendevano gli oggetti e al resto davano fuoco. E' rimasto molto poco. La spoliazione vuotò anche la villa tanto amata di Ischia, piena di cose bellissime, con disegni di Klimt alle pareti. Tutto rubato. Persino il testamento di Visconti è sparito, neppure quello s'è più trovato». Rubato? «L'aveva fatto certamente, ma nessuno gli dava peso. Visconti aveva sempre detto cosa intendesse fare delle case: quella di Ischia a Nane, quella di Castel Gandolfo a Uberta, le sorelle minori, le più amate e protette. Sul testamento di Visconti, io ho elaborato un'ipotesi non condivisa da nessuno. La mia teoria è che l'abbia distrutto lui. Quando si ammalò e restò in parte paralizzato, diventò dipendente dagli altri, condizione molto dura per un uomo orgoglioso come lui, e dovette ricorrere all'assistenza di gente nuova: massaggiatori, infermieri, terapeuti, segretari. Gli stavano intorno e chiedevano, chiedevano, chiedevano: quando non gli facevano firmare assegni in bianco gonfiando poi le cifre e intascando. Nella sua situazione non poteva non promettere, e non era uomo da non mantenere le promesse: così distrusse il te¬ stamento. Ma questa teoria la sostengo solamente io». Altre eredità? «Sono note. Diciamo anche che, dopo Visconti, è cambiata nel mondo la maniera di mettere in scena l'opera lirica: adesso sembra normale, ma è stato lui il primo a chiedere ai cantanti di recitare. Ha rivoluzionato il modo di usare il colore nel cinema: basta parago- nare Senso e un altro technicolor del 1954 per constatare la differenza tra le tinte squillanti, elettriche, volgari, lustre dell'epoca e il senso pittorico, il garbo artistico dei colori di Visconti. E nessuno era perfetto come lui nell'ambientazione, negli arredi, nei dettagli: al confronto, i celebrati film in costume di Blasetti sembrano sciatti». Attori come Gassman, Mastroianni, De Lullo o Alain Delon, registi come Francesco Rosi, Franco Zeffirelli o Franco Enriquez, scenografi come Garbuglia e Scarfiotti, costumisti come Piero Tosi, hanno avuto Visconti per maestro: è un'eredità anche questa? «Sicuramente. Luchino amava molto scoprire un talento, formarlo, plasmarlo. Si dedicava moltissimo a insegnare. Era esigente, impaziente, e gli allievi ne ricordano la severità, il rigore, la puntualità, anche la spietatezza: con disperazione e con gratitudine. Sceglieva le persone giovani: quelli non bravi si perdevano, gli altri progredivano. Non è mai successo che, magari per ragioni affettive o sessuali, abbia fatto lavorare uno che non valeva niente. Ha avuto amici attori ai quali voleva molto bene, e ai quali non ha mai fatto fare nulla». Qual è oggi la sua immagine di Visconti? «Io ho una strana forma di difesa, rispetto agli affetti: considerare con naturalezza le persone amate che se ne sono andate, a cominciare da mio marito, non morte. Soltanto assenti, soltanto in viaggio». Lietta Tornabuoni Nell'ultimo tempo cominciò il grande saccheggio: dalle sue case i ladri rubavano tutto, bruciavano le carte Maestro impaziente e talent-scout sicuro: Delon, Gassman, De Lullo, Rosi, Zeffirelli Tosi, Garbuglia impararono da lui «Ha cambiato nel mondo la maniera di mettere in scena l'opera lirica» A STAMPAl regista ò il grande case i ladri ano le carte lo ricorda Claudia Cardinale con Alain Delon nel «Gattopardo»; accanto, Luchino Visconti; a sinistra, nella foto piccola, Alida Valli e Farley Granger, in una scena di «Senso»