Eichmann junior e lo 007 di Emanuele Novazio

Estero Per la presentazione del libro scritto dall'ex agente del Mossad che rapì il criminale nazista Eichmann junior e lo 007 Incontro con l'uomo che catturò ilpadre BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «Come si è comportato mio padre quando ha capito di essere in trappola?», chiede Ricardo Eichmann. «All'inizio si è difeso, poi si ò calmato: come se fossero quindici anni che aspettava il nostro arrivo, come se fosse contento di dirmi finalmente: "Sono rassegnato al mio destino"», risponde Zvi Aharoni. L'ex agente del Mossad responsabile della cattura di Adolf Eichmann e il l'iglio di quest'ultimo faccia a faccia; il cacciatore di nazisti e l'ultimogenito della sua preda più illustre l'uno davanti all'altro per ricordare e per sapere, per confrontare una porzione comune di passato, per «tornare indietro insieme». L'incontro, di cui riferisce il settimanale «Stern», ò avvenuto di recente: in occasione della presentazione del libro («Der Jaeger, Operation Eichmann», DVA) nel quale l'ex agente Zvi Aharoni ricostruisce il rapimento a Buenos Aires, nel 1960, di uno dei principali responsabili dell'Olocausto e il suo trasferimento in Israele, dove sarebbe stato processato e impiccato nel 1962. Un incontro drammatico: «So che lei non ha avuto un'infanzia facile perché le abbiamo portato via il padre», ammette Aharoni, un ebreo nato a Francoforte sull'Oder 75 anni fa ed emigrato in Palestina nel '39, quando ancora si chiamava Hermann Arndt. Ma anche un incontro che Ricardo - quarant'anni, sposato e padre di due figli, insegnante di archeologia all'Università di Tubinga - definisce rivelatore e utile, dopo aver ascoltato il «racconto autentico di quei giorni di 35 anni fa», e dopo aver visto le foto scattate dal commando del Mossad che lo ritraggono, bambino, affacciato alla finestra. Dopo aver visto l'immagine del padre con gli occhi coperti da un paio di occhiali da motocicletta avvolti in uno straccio, sull'aereo della «El-Al» già in volo verso Israele. Dopo aver sentito parlare «una persona che non avevo mai visto in vita mia, ma che della mia vita conosceva anche i dettagli più minuziosi»: una persona che lo corregge, per esempio, quando crede di ricordare che nel cortile di casa sua, in via Garibaldi a Buenos Aires, il giovanissimo Ricardo giocava «con cani e gatti». Non è vero, gli rivela Zvi Aharoni, «non è vero che in quella casa ci fossero cani e gatti. Il cane lei lo ha avuto soltanto in seguito, quando tutto ormai era finito». Un incontro, soprattutto, che a Aharoni pare decisivo per la serenità personale di Ricardo Eichmann: «Quando gli ho riferito le ultime parole di suo padre al momento della cattura, mentre lo stavamo caricando sul furgone che lo avrebbe portato all'aeroporto, ho avuto l'impres¬ sione che fosse soddisfatto di come erano andate le cose». Ma un incontro che è servito anche a ribaltare inesattezze, a colmare molte lacune. «Sulle tracce di Adolf Eichmann ci arrivò per primo un pensionato ebreo, un cieco», ricorda Aharoni: «Sua figlia si era fidanzata con un giovanotto che lo aveva insospettito per via delle sue prese di posizione antisemite». Quel giovane era Klaus, il fratello maggiore di Ricardo, come quest'ultimo apprende soltanto adesso. «Se il capo del Mossad, Isser Harel, non fosse stato tanto stupido», gli confessa Aharoni, «Eichmann lo avremmo catturato già nel '58. Ma Harel diceva: "Il cieco è sicuro di aver trovato Eichmann? Che ce lo provi"». La «missione Eichmann», confessa ancora Zvi Aharoni a Ricardo, «ha segnato la vita di tutti i membri del commando, anche la mia, perché non è stata un'impresa come quelle alle quali eravamo abituati». E per Ricardo Eichmann è come sentirsi raccontare per la prima volta la sua infanzia: aveva soltanto 7 anni quando suo padre venne impiccato in Israele, ri¬ corda, e non capiva perché nei giornali che sua madre nascondeva sotto il divano «c'erano tante fotografie di famiglia». La verità è emersa un po' alla volta, con fatica e senza una sola ammissione, senza una sola confidenza della madre. Ma a Zvi Aharoni, Ricardo lo confessa: a differenza dei suoi fratelli, è convinto che suo padre sia stato condannato giustamente. L'ha detto anche ai due figli, di 9 e 10 anni. A entrambi ha raccontato che il nonno ha fatto cose tremende e che per questo è stato condannato: «Come i cattivi dei fumetti». Emanuele Novazio «So di averle causato un'infanzia difficile» «Credo che lei abbia avuto ragione a farlo» Adolf Eichmann (a sinistra) con un altro gerarca nazista

Luoghi citati: Buenos Aires, Francoforte, Israele, Palestina