«E io me ne vado ai Tropici»

Roma, Procura in rivolta «E io me ne vado ai Tropici» Squillante, la telefonata della paura I VERBALI DELL'ACCUSA ROMA. Non hanno dubbi, i giudici milanesi che hanno arrestato Renato Squillante. Sul piano della «credibilità intrinseca», dicono, «non si vedono ragioni per dubitare seriamente della genuinità» del racconto della principale testimone d'accusa, Stefania Ariosto, raccolto dalla procura milanese in due fasi, a luglio e ad ottobre del 1995. Si tratta dei due episodi in cui la signora ha visto passare dei soldi dalle mani del capo dei gip romani Renato Squillante. Parla del magistrato e parla di quello che nell'ordine di carcerazione viene indicato come «primo avvocato», con ogni probabilità il senatore di Forza Italia Cesare Previti, per distinguerlo dall'altro avvocato, quell'Attilio Pacifico finito anche lui in carcere. «In occasione di una riunione conviviale a casa del primo avvocato - ricorda la donna -, a base di champagne e aragosta, avvenuta sul finire del 1988 ovvero nei primi mesi del 1989, ad un certo punto si appartarono il primo avvocato, Squillante e poi l'avvocato Pacifico, stretto collaboratore del primo avvocato. Non ricordo per quale motivo passai vicino al terzetto appartato nei pressi di un tavolino con il telefono. Su detto tavolo c'erano numerose mazzette di denaro e i tre stavano in piedi, lì vicino, a parlare tra di loro. Ho potuto sentire qualche frase sconnessa. In particolare Squillante diceva "Sì, ci penso io".... Stava awe nendo un passaggio illecito di denaro, ho immediatamente chiesto scusa. Il primo avvocato allora mi disse "Non ci sono problemi, non ti preoccupare" Devo precisare che l'occasione di tale riunione era stata un'importante decisione giurisdizionale che era stata presa Anzi, la riunione era stata fatta proprio per festeggiare tale decisione... A tale felicità parteci pavano anche i magistrati pre senti». L'altro episodio riferito dalla signora Ariosto riguarda la bu sta coi soldi al Circolo Canottie ri Lazio di Roma: «Ho visto, mentre salivo sulla mia auto, il primo avvocato mentre conse gnava una grande busta gialla a Squillante dicendo: "A Rena, te stai a dimentica questa Poiché la busta non era chiusa potei constatare che era piena di denaro. Squillante la prese e la consegnò ad un'altra persona che già stava sulla sua autovet tura...». Tre mesi dopo la signora precisa che le «mazzette di denaro» viste nella prima occa sione erano «fascettate, mi sembravano banconote appena uscite dalla banca»; mentre sul secondo episodio specifica che durante l'incontro di calcetto avvenuto alla Canottieri Lazio «la moglie del primo avvocato mostrò per tutto il tempo della partita molta apprensione perché mi disse che avevano del denaro da consegnare a Squillante, riferendomi anche che era consuetudine che venissero pagati i magistrati. Non deve sembrare strano... Soprattutto nell'entourage del primo avvocato era scontato che si dovessero pagare i magistrati per ottenere dei favori... Io ero una persona fidata perché ero già al corrente, per averlo appreso dallo stesso primo avvocato, che aveva a libro paga numerosi magistrati romani». L'indagine dei giudici di Mani Pulite va avanti, anche perché - dicono - la donna s'è presentata autonomamente, non ha subito pressioni né «si scorgono ragioni di inimicizia personale che possano averla indotta a gettare discredito su altre persone». Cominciano i controlli su Squillante (il cui nome compare già nelle indagini di altre Procure a proposito di pagamenti ai «magistrati romani») e su Pacifico. Quest'ultimo nel 1993 dichiarava al fisco un reddito lordo di 58 milioni di lire, ma poi giocava al Casinò e si dimostrava «in grado di sostenere anche grosse perdite al gioco». Perdite che venivano puntualmente onorate. «Si deve concludere - osservano i giudici - che Pacifico ha la disponibilità di conti esteri dai quali preleva le somme necessarie, come evidenziato con riferimento alla giornata del 15-196». Quel giorno Pacifico aveva perso venti milioni al Casinò di Campione d'Italia, pagati l'in¬ domani con denaro contante. Il che, secondo i giudici, «suffraga l'ipotesi che egli abbia disponibilità dei fondi all'estero». Scattano le intercettazioni telefoniche e ambientali, i pedinamenti dai quali si evidenziano i frequentissimi contatti tra Pacifico e Squillante. Il 21 gennaio viene trovata la microspia nel bar «Tombini», il capo dei gip e gli altri personaggi coinvolti diventano sospettosi. Dieci giorni dopo, il 1° febbraio, allo studio di Pacifico arriva la telefonata di «un tale M.», che dice: «Senti, io il 7 febbraio ho l'appello della causa contro...» Pacifico: «Eh». M: «Ho scoperto che si gioca tutto in una mattinata, si va subito in decisione...» P: «Ma che è una causa di lavoro?». M: «Sì». P: «E chi la fa?». M: «La fa il relatore, che è una persona molto in gamba...». Più avanti M. chiede: «Ecco, io volevo sapere, io le volevo tentare tutte e... Non è possibile che si possa magari... tramite... che ne so, qualcuno... tramite...... P: «Ma tramite che, che vuoi fare?». M: «Che so, Rena...» P: «Non ho capito, ma come ti vengono certe idee... Poi al telefono... (ride)... ma che vi siete tutti impazziti in questi giorni? Evidentemente l'aria che tira... non è buona, gli astri non sono favorevoli». M: «Ah». P: «E sì, perché... Che cosa posso fare, io mi occupo di cose completamente diverse». Per i magistrati - che sottolineano il passaggio dove M. parla di «Rena» - questi brani sono un altro riscontro delle dichiarazioni raccolte su Pacifico, «indicato come colui che aveva il compito di tenere i rapporti con i magistrati, con particolare riferimento a Squillante». E aggiungono: «Pacifico non si meraviglia della richiesta, ma che venga fatta "al telefono" e "in questi giorni": data "l'aria che tira" dopo il rinvenimento della microspia, la reazione dell'avvocato è pienamente comprensibile». Il ritrovamento della microspia al bar fa scattare le «contromisure» negli indagati. Per telefonare Squillante si reca spesso all'apparecchio pubblico del corridoio, ma è intercettato anche quello; e il giudice, notano gli intercettatori, usa un «linguaggio stringato», senza «parole esplicite o comunque comprensibili all'esterno». Gli agenti che pedinano Squillante rilevano che il giudice effettua «vere e proprie manovre di controsorveglianza come, per esempio, bloccare improvvisamente l'auto e guardare indietro, per poi ripartire improvvisamente ripetendo l'operazione poco dopo». Il 4 febbraio Squillante e Pacifico devono incontrarsi a casa del giudice, che aspetta l'amico avvocato per strada «per più di mezz'ora, benché ci fosse cattivo tempo, e nel mentre provvedeva a controllare l'interno delle autovetture in sosta lungo la strada. Giunto Pacifico rimanevano lì in conversazione. Si evidenzia come i due, nel concordare l'incontro, avevano evitato di indicare il luogo». Per sottolineare lo stretto rapporto tra Squillante e Pacifico, i giudici citano anche un viaggio del giudice a Zurigo a metà gennaio, tenuto riservato a tutti. «Ciò che desta sospetto è che, a differenza dei parenti di Squillante, Pacifico era a conoscenza della vera destinazione del viaggio». All'inizio di marzo viene intercettato il colloquio nel bar Mandara, vicino al tribunale, tra Squillante e il sostituto procuratore suo amico Francesco Misiani, dove si parla del «miliardo» che i giudici potrebbero trovare al primo, dei conti esteri, delle sue preoccupazioni. Alla fine Squillante dice: «Se non succede niente io me ne fotte.. Se la cosa è grave prendo la famiglia e me ne vado ai Tropici...». Pochi giorni prima, in- centrandolo ad un convegno, Misiani aveva chiesto al pm di Mani Pulite Francesco Greco notizie sulla microspia trovata al bar. Per il pool di Mani Pulite la conversazione al bar costituisce una «"confessione mediata" di amplissimo contenuto, sia in ordine alla sussistenza di un fatto di corruzione, sia in ordine all'esistenza di un conto per l'occultamento dei fondi». E l'insistenza con cui i magistrati romani chiedono notizie su quella «cimice» è più che sospetta, anche perché «non vi è stata nessuna desistenza neppure dopo la conclamata consapevolezza che la microspia non era stata collocata da servizi segreti eterogeni, investigatori privati o altri illegittimi operatori, ma dall'autorità deputata alla sicurezza pubblica». Peri magistrati milanesi l'arresto di Squillante diventa a quel punto inevitabile; «l'intensificazione dei rapporti tra i vari protagonisti va ragionevolmente ricollegata alla necessità di evitare che emergano indizi o prove sfavorevoli, e quindi alla volontà di occultare tali prove». Sussiste anche il «concreto pericolo che gli indagati si diano alla fuga», e «non minore è il concreto pericolo di reiterazione di condotte criminose della stessa specie di quelle per cui si procede»; basti pensare, osservano, alla telefonata tra Pacifico e il signor M. I reati non sono prescritti, la pena che rischiano gli indagati arriva fino a cinque anni, e gli arresti domiciliari vengono considerati non sufficienti; per Squillante, nonostante l'età avanzata, pesa il «fattivo e pressante interessamento di alcuni colleghi per la vicenda processuale». Giovanni Bianconi La super testimone racconta di cene a base di «aragosta, champagne e mazzette» I pm di Milano «Noi le crediamo» Le manette sono scattate perché esisteva «il concreto pericolo di fuga degli imputati» Il giudice sapeva di essere spiato «Temo sia una cosa grave» NelTordine di carcerazione il «primo avvocato» sarebbe Previti Dai dialoghi spuntano conti esteri e un miliardo misterioso I capo dei gip di Roma Renato Squillante 71 anni L'avvocato Attilio Romano Pacifico e qui sotto il pm Francesco Misiani Qui sopra il pubblico ministero Francesco Greco

Luoghi citati: Canottieri Lazio, Italia, Lazio, Milano, Roma, Zurigo