Abbado: nel mio Otello Jago è feroce e razzista di Sandro Cappelletto

Salisburgo, dirigerà Verdi con la regia di Olmi Salisburgo, dirigerà Verdi con la regia di Olmi Abbado: nel mio (Hello Jago è feroce e razzista SALISBURGO. «Perché ho scelto Ermanno Olmi?». Un sorriso, uno dei suoi fuggitivi, pudichi sorrisi attraversa volto e voce di Claudio Abbado. «E' semplice, per la sua umanità, che emerge così chiaramente dai film e dalle regie liriche». La coppia che da vent'anni si è sempre inseguita e mancata, finalmente si congiunge. Con l'«0tello» di Verdi, fra due settimane a Salisburgo, al festival di Pasqua. «C'è qualcosa di speciale nel rapporto, nella dedizione di Olmi al proprio lavoro: fa un'opera o un film ogni due-tre anni, con ritmi assolutamente personali - insiste . Poi, appena si alza il sipario, non hai dubbi che sia "un" Olmi. E' abilissimo: riesce a nascondere il suo segreto fino all'ultimo». Dopo Salisburgo, nella prima metà di maggio, il maestro e i Berliner Philharmoniker verranno in Italia, a Napoli, Roma, Venezia, Ferrara, al Lingotto di Torino. A Firenze, per il Maggio Musicale, eseguiranno «Elettra» di Richard Strauss, regia del russo Lev Dodin, coproduzione con Salisburgo. L'opera doveva essere rappresentata alla Scala, segnando il ritorno di Abbado nel teatro che ha diretto prima di Muti. Progetto fallito: «problemi di costi», spiegò allora il sovrintendente Fontana. I rapporti restano tesi, Milano non figura tra le città toccate dalla tournée. «Un anno fa, ho invitato Olmi ad assistere ad un'esecuzione in forma di concerto di Otello; subito mi ha chiesto come vedevo il rapporto scenico tra luci e ombre relativamente alla musica, ha fatto domande ai protagonisti, Placido Domingo e Ruggero Raimondi. Questo avvicinamento progressivo è decisivo: un'opera di Verdi, di questo Verdi estremo soprattutto, non si può pianificare in poco tempo». Questo metodo di lavoro non è l'abitudine? «Ci sono direttori e registi che si incontrano un giorno prima della prova generale: un metodo assolutamente contrario alla mia mentalità. La preparazione del lavoro deve essere progettata e seguita insieme. A Salisburgo le scene saranno di Luigi Fanti, un grande pittore che ha avuto una magnifi- ca idea per l'allestimento visivo, parte integrante del progetto». Quale aspetto del dramma Verdi ha più sviluppato? «Nel "Gattopardo" Tornasi di Lampedusa scrive che gli italiani, purtroppo, conoscono solo l'"Otello" di Verdi e Boito. Anch'io, quando ero giovane, ho visto le opere liriche da Shakespeare e ho pensato che fossero meglio dell'originale: ero evidentemente un giovane italiano tipo. Crescendo, scopri che non è vero: Shakespeare rimane l'apice, ma a Verdi è riuscita in modo mirabile la caratterizzazione dei personaggi. Dal dramma all'opera ci sono molte differenze, e una che mi pare essenziale: in Shakespeare, Jago non è così feroce». Otello, secondo Shakespeare a 40 anni da Macbeth. Verdi è lo stesso? «No, assolutamente no. E' sempre più moderno. Ha voluto riscrivere il concentrato finale del terzo atto. Aveva ottant'anni e ancora una tale energia. Ci sono le lettere in cui ripete a Giulio Ricordi che non è contento della prima soluzione, andata in scena alla Scala: "Isolare Jago perché possa dominare"». Per Olmi in Verdi c'è già l'intuizione del conflitto razziale e l'odio di Jago è anche timo re per la supremazia virile del generale «moro»... «La frase tremenda di Jago mentre Otello è a terra, tramortito: "Il mio velen lavora. Chi può vietar che questa fronte/io prema col mio tallone?". Olmi ha ragione: Verdi voleva porre Jago al centro dell'azione, con più disincanto, più crudeltà. Noi lo seguiremo, con forza». Sente il fascino di Jago? «Scherza? E' una figura terribile, proprio non vorrei avere una persona simile come amico. Del resto, lo dice lui stesso». Lei e Pierre Boulez siete considerati i direttori più attenti all'aspetto visivo e registico di un'opera. «La sintonia tra direzione e regia è decisiva per la riuscita di uno spettacolo. Purtroppo, non mancano i casi contrari, figli evidentemente della fretta, della mancata collaborazione». Può fare un esempio? «Sì, in positivo. Klaus Griiber è un grande regista, un genio scenico. Ho lavorato con lui a un'opera di Janacek, "Da una casa di morti". All'inizio non capivo che cosa voleva: ma poiché quello che voleva era dentro la musica, si è tutto risolto. Ci siamo reciprocamente aiutati. Una direzione e una regia non s'improvvisano». Claudio Abbado compirà a giugno 63 anni. Ha smesso di lavorare con le istituzioni italiane dal 1986, quando divenne direttore della Staatsoper di Vienna. Tre anni dopo, i Berliner l'hanno voluto alla loro guida, e il contratto è stato rinnovato fino al Duemila. Una continuità che si avvicina ai record di Furtwaengler e Karajan. Perché giorni fa ha firmato il documento in cui 200 musicisti italiani protestano per la scarsa attenzione dedicata dai nostri media alla musica? «Resto italiano, ogni anno torno a dirigere, a Ferrara Musica abbiamo attività stabili, progetti di formazione. Sono totalmente d'accordo con quella lettera aperta. E' una scelta culturale penalizzante, un brutto primato». Sandro Cappelletto Claudio Abbado