KIESLOWSKI addio al poeta del Decalogo

Il grande regista polacco è morto ieri per attacco cardiaco dopo un intervento chirurgico. Aveva 54 anni LA STAMPA, SPETTACOLI Giovedì 14 Marzo 1996 21 Il grande regista polacco è morto ieri per attacco cardiaco dopo un intervento chirurgico. Aveva 54 anni KIESLOWSKI addio alpoeta del «Decalogo» KRZYSZTOF Kieslowski, il regista polacco del «Decalogo», uno dei pochi grandi talenti del cinema contemporaneo, se n'è andato ieri mattina a Varsavia. Da mesi il cuore lo faceva star male, l'hanno operato per mettergli un by pass. Qualche ora dopo l'ha colpito un infarto, ed è morto. Avrebbe compiuto cinquantacinque anni a giugno. Una specie di morte artistica l'aveva già annunciata nel 1993: «Non farò più cinema. Me ne starò in campagna, sdraiato sul divano, senza scarpe, a fumare sigarette». La decisione somigliava a quella della sua protagonista Juliette Binoche in «Film Blu» («Ho deciso di fare niente. Niente più conta»), però la faccia così intelligente di Kieslowski era ridente, gli occhi bellissimi avevano un luccichio ironico, magari scherzava, pochi gli credettero: e infatti un mese fa a Torino, il dieci febbraio, a un convegno in cui si discuteva di musica nei film, disse d'aver cambiato idea, ripetè di voler realizzare una trilogia dalla Commedia di Dante, un Inferno, un Purgatorio, un Paradiso. Gli era tornato il desiderio, non ha avuto tempo di appagarlo. Regista straordinario, col suo cinema d'ansia e d'inquietudine Kieslowski ha riportato sullo schermo la cognizione del dolore e il dubbio morale, la dimensione metafisica e l'esperienza della colpa. Senza certezze: «Non ho il diritto di prescrivere ricette, di offrire formule, di fornire risposte. Posso soltanto dialogare con gli spettatori su cose che considero essenziali». Senza astrazioni: l'ambiente realistico dei suoi film nasce dall'osservazione quotidiana della vita affinata per anni nel lavoro di documentarista, da uno sguardo esatto e pessimista, da un approccio di limpida profondità, d'alta semplicità. E ogni sua immagine è perfetta, perfetta mente eloquente, perfettamente originale e sorprendente, perfettamente emozionante Lo conoscevano in pochi sino al 1988, quando arrivò al festival di Cannes «Non uccidere», resoconto senza enfasi, insop portabile per l'intensità quasi ipnotica, d'un omicidio privato e d'un pubblico omicidio, d'un ragazzo assassino d'un tassista e dello Stato assassino del ragazzo, di due modi diversi ma parallelamente inaccettabili d'infliggere la pena di morte. Era la versione particolare d'u no dei dieci film realizzati per la televisione polacca sui Co mandamenti della dottrina cat tolica, quel «Decalogo» giustamente considerato il suo capolavoro, che aveva assorbito tanta parte della sua vita creativa guadagnandogli l'ammira zione del mondo. Anche i non specialisti impararono a cono scere questo autore censurato in Polonia e premiato ai festival occidentali, nato a Varsa via, segnato da un'infanzia sra dicata (diciannove traslochi in sedici anni, per seguire sino alla morte il padre malato di tu bercolosi), con l'ambizione d'essere regista teatrale, arrivato al cinema per puro caso: «I cineasti dicono sempre d'aver amato il cinema fin da bambini. Io non l'ho mai amato, non sono mai stato sedotto da un film...». Allievo della famosa Scuola di cinema di Lodz, realizzò lì i suoi primi saggi; poi, una lunga e decisiva attività nel documentario, i primi film di fiction per la tv, altri film che lo fecero giudicare un autore politico, sino all'insolito affascinante «Decalogo»: «Un punto di vista non religioso, piuttosto laico, su un sistema di norme, una convenzione, una sorta di Costituzione universale riguardante tutti, che vige da migliaia di anni e che nessuno sinora ha messo in discussione». Sempre rimasto in Polonia nonostante ogni pressione poli¬ tico-censoria, Kieslowski lasciò il suo Paese nel 1990 per ragioni economiche, perché il cinema polacco senza soldi non gli avrebbe consentito di seguitare a lavorare come voleva, ed emigrò in Francia: dove girò una parte del thriller metafisico «La doppia vita di Veronica» con Irene Jacob protagonistarivelazione, e i tre film illustranti con i colori della bandiera di Francia le parole-concetto essenziali della Rivoluzione francese e della civiltà moderna, libertà, uguaglianza, fraternità. «Film blu» (1992), con Juliette Binoche meravigliosa, esprime il sentimento ineffabile della libertà nel dolo- re raccontando l'autoreclusione dalla vita, la scelta di solitudine, ma anche l'impossibilità di liberarsi di se stessi e di esistere senza amore. In «Film bianco» (1993), girato in parte in Polonia con il grande Zbigniew Zamachowski, il candido vuoto dell'assenza simboleggia la nuova uguaglianza dell'avidità egoista, della povertà e del capitalismo selvaggio, ormai simili nell'Europa occidentale come in quella centrorientale. «Film rosso» (1994), con JeanLouis Trintignant bravissimo, condensa tanti elementi del cine-universo di Kieslowski: il voyeurismo, lo spionaggio della vita altrui nella vacuità della propria; il vivere vicini ed estranei, sempre sfiorandosi senza mai conoscersi; la casualità che governa le cose umane; il personaggio onnisciente e preveggente che come un regista modifica o determina il destino degli altri. Quasi una sintesi di congedo: sarà certo stupido, sarà abusivo, sarà sentimentale, ma è difficile non pensare alla morte tanto prematura di Kieslowski come all'addio di chi sa che non c'è più posto per lui nel mondo spettacolare incarognito e degradato, senza pensiero e senza rimorsi. Lietta Tornabuoni Si rivelò nell'88 a Cannes con il film «Non uccidere» Da allora fu ammirato dal mondo intero i m o a l o e Il regista Gillo Pontecorvo direttore della Mostra di Venezia