Non leggo e me ne vanto
Società e Cultura il caso. La prima indagine sui motivi per cui gli italiani rifiutane i libri Nqnleggo e me ne vanto «Attività da smidollati, meglio la tv IMILANO trenta intervistati hanno tutti ammesso di non aver mai letto un libro I nell'ultimo anno, come più della metà degli italiani. Sono equamente divisi tra maschi e femmine, hanno dai 18 ai 44 anni, abitano a Milano o ad Aci Trezza, hanno frequentato come minimo la media dell'obbligo e di soldi ne hanno abbastanza. Gente insomma nelle condizioni giuste per leggere. Perché allora non lo fa? Scatta l'indagine, la prima del genere, chiesta da Elena Salem, presidente dei piccoli editori, a Enrico Pinzi, presidente dell'Astra. Una ricerca che avrà pure «limiti fortissimi», come avverte lo stesso Finzi nel presentarla, perché è motivazionale e non quantitativa, però dà da pensare e da discutere. Succede che ogni intervistato sulle prime annaspa e si rifugia nei soliti alibi, perché si sa che non leggere è una mancanza. Ognuno dice che non ha tempo: il lavoro, la famiglia, la casa, i figli e i vecchi gli consumano la vita. E il tempo libero lo consacra ai nuovi bisogni primari: fare jogging, vedere la tv, ascoltare musica, andare per negozi e in discoteca ecc. Tempo veramente libero non ce n'è; e se c'è, e un tempo residuale, vuoto, inesistente. Gli psicologi sono soffici, astuti, non fanno sentire in colpa, ed ecco che gli intervistati mollano i freni e lanciano accuse tremende: leggere è solitudine, frigidità, incapacità di comunicare n di divertirsi, un concentrato di mali. Un libro fa dormire oppure crea tensione e costa fatica, per giunta una fatica insensata: molto meglio sudare facendo sport o scivolare nella catalessi, nel torpore beatifico di un sound in cuffia o di un teleschermo. Chi legge è uno «smidollato», uno a cui «mancano le palle», un «nevrotico» o un «handicappato»; leggere è lentezza esasperante e improduttiva, è rassegnazione, rinuncia e vecchiaia. A che serve? Non dà piacere, non aiuta neanche a crescere personalmente o socialmente. Di più. I libri sembrano scritti per una casta arrogante e «andrebbero sottotitolati come la pagina 777 di Televideo», dice un ragazzo. «Non hai il telecomando e devi leggere dall'inizio alla fine», dice un altro. Il non leggere come scelta orgogliosa, tuffo ebbro nella modernità che è velocità, accumulo fulmineo di informazioni. Chi ha detto che non leggere è sinonimo di analfabetismo e emarginazione? E' vero il contrario, assicurano gli intervistati. Dicono anche che un libro costa troppo, ma se anche costasse meno non 10 leggerebbero lo stesso perché non è un investimento. E le librerie sono «scomode e incasinate» e i commessi «non sanno nulla» e «ti guardano come un ladro». Allarmati i primi commenti. Il cardinale Martini si dichiara «sgomento» e trova «pericoloso» 11 formarsi di questi gruppi sociali. Chiama in causa la scuola e osserva che nei Paesi, «nei luoghi dove la lettura e lo studio della Bibbia sono in onore, è anche in onore la lettura. In questo senso anche la Chiesa ha una grande responsabilità». Giuliano Vigini, della Bibliografica, parla del venir meno della concentrazione e del silenzio, l'«ecosistema» da cui nasce la lettura. «Non è in gioco la cultura di massa - avverte lo studioso Ugo Volli - ma la libertà e l'autonomia collettiva. Una società di non lettori è destinata alla subordinazione economica e culturale». E il sociologo Marino Livolsi invita a «produrre più libri per chi li potrebbe leggere por piacere e non per dovere». L'unico a porsi dalla parte dei non lettori è il massmediologo Alberto Abruzzese: siamo a una svolta epocale, si cerca una nuova oralità e tutto il dibattito sul libro dovrà essere reimpostato. Claudio Altarocca meglio la tv
Persone citate: Alberto Abruzzese, Claudio Altarocca, Elena Salem, Finzi, Giuliano Vigini, Marino Livolsi, Ugo Volli
Luoghi citati: Milano
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