TRUCCHI CELEBRI «Monsignori e proustiani stregati dallo scaffale» di Nico Orengo

^1 ^1 TftUCCHB CELEBRE Monsignori e proustiani stregati dallo scaffale E| SISTE un inferno per il Voleur di libri? Non lo credeva il bel Monsignore di Novara che I entrava, con regolarità, in una vecchia libreria del centro di Novara e, con altrettanta regolarità, ne usciva con alcuni libri nascosti sotto la grande fascia rossa che gli avvolgeva, reggendolo, il ventre. Finché un giorno la libraia, desiderosa, anche se imbarazzata, di porre fine all'emorragia lo accompagnò sulla porta dicendogli: «Vada, vada, Monsignore, e dica tre avemaria per i miei poveri morti», accompagnando alle parole alcuni colpetti sulla rossa cintura. E i libri caddero. Sembra una storia alla Piero Chiara. Curiosamente lo sono un po' tutte. C'è quella della ricca signora che tutte le estati a Cortina s'infila in libreria e «prende» finché un giorno il libraio la chiama in ufficio e le dice: «Mi firmi un assegno da un milione e mezzo». Senza darle motivazioni. E la signora firma ed esce. A Milano un noto intellettuale «prende» sempre nella stessa libreria, tomi soprattutto d'arte, e i librai per quieto vivere fingono di non accorgersene, salvo poi addebitarglieli, scontati, a fine mese. «La tecnica del voleur di libri è elementare - dice il libraio torinese Piero Femore -: arrivano in tre. Due ti distraggono, il terzo prende. Oppure c'è quello che compra il libro da diecimila e intanto si è intascato un Meridiano, la collana più rubata in assoluto. Il più furbo voleur era un signore dall'aspetto inglese. Cambiava le etichette dei prezzi. Rubava libri d'arte. Sostituiva un'etichetta da centomila con una da venticinquemila. Si praticava un forte autosconto». Giulio Einaudi, quando la sua casa editrice ancora era in via Biancamano, faceva portare i libri appena pubblicati in uno stanzino e lasciava la porta semiaperta. In base ai «furti» avvenuti si faceva un'idea dei gusti e della possibile fortuna di ogni titolo. E' difficile però trovare qualcuno che, anche al passato remoto, si confessi un ladro di libri e c'è un perché. Giuseppe Pontiggia, trentamila libri in casa, spiega: «Ho un'idea così feticistica e sacrale del libro che l'idea di rubarlo mi ripugna. Una volta li imprestavo e consideravo un furto quando non me li restituivano. Preferisco regalarli». Antonio Faeti, ventimila libri ai muri, aggiunge: «Non potrei rubare un libro. Ho paura che li rubino a me. Mi motto nei panni, sempre, de! possibile derubato. E poi, il rituale del possesso prevede l'acquisto. Il furto lo tollero in un unico caso: quando qualcuno arriva ad un acquisto, tramite bollettino antiquario, prima di me». Antonio Tabucchi non ha mai rubato un libro «perché avevo uno zio con una buona biblioteca in casa. E poi, a Vecchiano, il mio paesn, non c'erano librerie. Capisco il furto se uno non ha i soldi: può prenderlo e poi restituirlo. Insomma rivalutiamo le biblioteche pubbliche». Dario Voltolini ricorda un vecchio compagno di scuola. Era innamorato di Proust, o «meglio, del cofanetto del tutto Proust Einaudi, sette volumi, qualche chilo. Fece il giro di un paio di librerie, misurò distanza tra gli scaffali e l'uscita, calcolò i pericoli. Optò, se non ricordo male, per la libreria Druetto. Decise di bruciarsi la zona. Un giorno entrò, rapido come la folgore, afferrò il cofanetto sulla scansia e sotto gli occhi di tutti sparì. Chissà se mai lo ha letto, il Proust». Nico Orengo goj

Luoghi citati: Cortina, Milano, Novara, Vecchiano