MILANO CONTRO ROMA

Caianiello sull'arresto di Squillante: attenti a non perseguire fini politici MILANO CONTRO ROMA Gherardo Colombo, 50 anni, due matrimoni, due figli, metà della carriera passata a farsi scippare inchieste dalla flemmatica voracità romana che gli ha inghiottito (e poi insabbiato) tre pezzi di storia italiana: l'inchiesta sulla P2, quella sui fondi neri Iri, quella su Michele Sindona e il crack dell'Ambrosiano. Jeans, unghie rosicchiate, aria da ex studente del Parini. Stupore e apprensione, come no. Per questo bagliore di Mani Pulite che (d'improvviso) illumina uno dei luoghi - il Tribunale di Roma che per tradizione ha sempre assorbito luce, senza restituirne mai troppa. Il bagliore, appunto, arrivato da quel mondo opposto - il Palazzo di Giustizia di Milano - di cui Gherardo Colombo è una delle sintesi più consone. Già perché l'altra metà della carriera di Gherardo Colombo e dei suoi colleghi - in primis l'affiatatissimo Piercamillo Davigo che dall'addio di Di Pietro lavora con lui spalla a spalla - è cronaca di oggi anche se discende dalla storia di ieri - Anni 70 e '80 - quando magistrati come D'Ambrosio provarono a intercettare scampoli di verità su Piazza Fontana, che poi divennero polvere e carte ormai illeggibili tra Roma e Catanzaro. Anni non proprio formidabili. Che Gherardo Colombo ha provato a contrastare con una rispettabile (e rara) ostinazione. Oggi ti racconta con un sorriso i muri di gomma su cui ha continuato a rimbalzare. Gli elenchi della P2 trovati in Castiglion Finocchi, armo 1981, e poi spariti nella voragine romana. I 300 miliardi dei fondi neri dell'Iri, anno 1984, avocati per decisione della Cassazione, e archiviati dentro al grande specchio del Tribunale di Roma con il suo seguito lussuoso di indagati eccellenti, Fausto Calabria, Giuseppe Petrilli, Ettore Bernabei. I misteri di Michele Sindona, sondati non abbastanza in fretta e perciò anche loro spariti sotto alla sabbia romana. Colpi che-hanno lasciato un sedimento di insofferenza/magari anche di impotenza, ma che infine sono transitati in un bisogno di legalità che ha coinvolto molto di più del solo tribunale di Milano, e che dai «magistrati d'assalto» è diventato anche cultura politica. Non per caso Colombo è stato uno dei fondatori (con Nando Dalla Chiesa) del movimento Società Civile, che ha contato nella divaricazione tra Milano e Roma, accelerando la doppia e formidabile rottura costituita prima dalla ventata leghista e poi dalla rivoluzione di Mani Pulite. Il bagliore di oggi restituisce l'ampiezza di quella divaricazione. Restituisce - anche per la spettacolarità dell'evento - quell'insofferenza milanese che trapelava un paio di anni fa nelle parole (discutibili e assai discusse) di Piercamillo Davigo: «Rivolteremo l'Italia come un calzino». Il paradosso, forse, è che ciò avvenga proprio quando Mani Pulite, da onnipotente che fu, torna a sentire sul collo il fiato dell'isolamento. Roma riacquista potere nei confronti di Milano. E lo stesso Colombo, togliendosi magari la soddisfazione di una «visita» romana sognata da chissà quanto tempo, rischia di trovarsi insabbiato per la quarta volta. PinoCorrias