E D'Angelo fa spot alla corto di re Artù di Osvaldo Guerrieri

«I cavalieri della tavola rotonda» andato in scena all'Alfieri «I cavalieri della tavola rotonda» andato in scena all'Alfieri E D'Angelo fa spot alla corto di re Arto Benvenuti nel Nirvana delia comicità cash & carry. E' il luogo nel quale ci conduce la commedia musicale di Rosario Galli e Alessandro Capone «I cavalieri della tavola rotonda» andata in scena all'Alfieri. Ed è il luogo in cui si cerca di suscitare divertimento nel modo più facile e diretto, senza tormentarsi sulle battute, poiché non ne vale la pena (devono aver pensato gli autori), poiché le battute esistono bell'e pronte nel gran mare degli spot pubblicitari e in quell'impetuoso ribollire dell'intelligenza che sono gli show televisivi. Per non faticare troppo, ma per ottenere il massimo, è stato assemblato un cast largamente noto di attori e di cantanti ai quali, per doverosa quanto risibile formalità, è stato affidato un personaggio. E cosi Gianfranco D'Angelo fa Gianfranco D'Angelo, mica re Artù; nel prefinale viene addirittura in proscenio, con la compagnia schierata alle spalle, per deliziarci con una decina di minuti di satira politica rigorosamente contemporanea. Stefano Masciarelli, entrato chissà come nel costume di Lancillotto e dimentico di un decoroso passato d'attore, riproduce più o meno lo stile goliardico-vaccinaro vulgato dallo studio di «Domenica in». Daniele Luttazzi, che dovrebbe essere Parsifal il puro folle, è il divagatore amabilmente surreale che da tempo conosciamo. Sabrina Salerno replica il proprio cliché di popstar e inciampa (ma non è colpa sua, poveretta) nel personaggio delia Fata Morgana. Accanto a lei, nella versione maschile del Male, ecco Adriano Pappalardo, nerissimo, cattivissimo e con conchiglia pubica, condannato a vociare da ossesso come se avesse inghiottito lo spadone di Capitan Spaventa. Le musiche sono di Enrico Riccardi. Un po' di teatro (ma della consistenza tele-promo-borgatara di cui si è detto) arriva con Nadia Rinaldi, sovrabbondante e simpaticissima regina Ginevra; con Gianni Cannavac- ciuolo, che dà vita a un Merlino napoletano sospirosamente gay; con Daniela D'Angelo nella parte malinconica del gufo e con tutti quei comprimari che sembrano messi lì per far numero, eccettuata Tosca d'Aquino cui è riservata una minuscola parentesi di tenera, procace innamorata. Ciascun interprete è assolutamente bravo nel porgere ciò che gli si chiede, ognuno è generosissimo d'impegno, ma se viene messo in rapporto con gli altri, addio. Purtroppo la commedia è de! tutto inconsistente. Mescolando un'idea buona con dieci superflue, sembra costituita da una serie di sketch unificati dalla cornice di Camelot e dalla parodia d'un mi- to che degrada la famosa tavola rotonda a un mobile di Aiazzone e la trasforma nella ruota della fortuna con Masciarelli che imita Mike Bongiorno. Eppur si ride. La comicità cash and carry trova sempre le sue vittime. Le quali vogliono forse proprio quel genere di divertimento che scaturisce dalle cose e dalle situazioni che si conoscono meglio, pensando che sia un modo di sentirsi rassicurati. E chi vorrebbe mai perturbare la tranquillità delle coscienze? Ormai sappiamo quanto possa essere intellettualmente e socialmente pericolosa la vera comicità. Meglio glissare. 0 no? Osvaldo Guerrieri Un cast di star tv e molti applausi per la facile parodia d'un mito D'Angelo e la Salerno

Luoghi citati: Ginevra, Salerno