La scelta obbligata del male minore di Ferdinando Camon

La scelta obbligata del male minore La scelta obbligata del male minore Nella giungla della crisi di chi è senza lavoro DEI tanti significati che ha la strage di Civitavecchia, possiamo ricavarne solo una minima parte, il resto è buio e follia. Un padre messo in cassa integrazione ammazza le tre figlie a coltellate, una alla volta, senza far rumore (nessuno se n'è accorto), poi dà fuoco all'appartamento e si pianta il coltello nel torace per ammazzare se stesso. Non aveva più i soldi per pagare il mutuo, affrontare i bisogni elementari della famiglia, non vasta: allora ha preferito toglier la vita a tutti. Con questo gesto afferma che chi non ha lavoro non può trasmettere la vita, e se l'ha trasmessa è meglio che la tolga e se la tolga. E dunque, che togliere il lavoro vuol dire togliere la vita al lavoratore e a tutti i familiari che dipendono da lui: è, letteralmente, come tagliargli la gola con un coltello. Chi è d'accordo con me su questa interpretazione, sarà d'accordo anche su quel che ne segue: non è lui che uccide e si uccide, è la società, l'impoverimento della società, la crisi occupazionale della società, la difficoltà dell'economia, che uccide lui e attraverso di lui la sua famiglia. Ha lasciato due letterine, una alla madre e una alla suocera, per spiegare le ragioni della sua disperata, e perciò pazza, impresa. Chi scrive in queste circostanze (è un gesto tipico di coloro che sentono di commettere lo sbaglio estremo e imperdonabile, per colpa degli altri, perché costretti) lo fa per scaricare la colpa (l'omicidio, il suicidio), be- ne espressa, ben chiara, nero su bianco, sugli altri; per dire: «Siete voi che lo fate». Però, se si uccide, forse, nel profondo, sente anche una colpa sua: la colpa di perdere la gara selvaggia della sopravvivenza, di non riuscire a dare alla famiglia ciò che le danno gli altri uomini. La condizione dei senza-lavoro è una giungla. Non è il primo che fa un gesto del genere, uccide o si uccide solo o soprattutto perché non ha lavoro. Ricordo altri casi, negli ultimi tempi: li ricordo da lettore. Un ragazzo di Genova, di 25 anni, si è impiccato a una ringhiera, spiegando tutto per let¬ tera alla sua ragazza. Un ragazzo di Catania, 22 anni (stiamo andando su e giù per la nazione: è un dramma che scatta per tutti, non dipende dalla cultura o dall'ambiente), che ha scelto un modo crudele, si è dato fuoco. Crudele, ma economico: aveva una tanica di benzina, l'ha usata. Un uomo di Novi Milanese, 57 anni, con moglie e figlio: anche lui in cassa integrazione, conosceva cos'è il lavoro, e rimasto senza lavoro non voleva più vivere: il lavoro non è solo denaro, è anche dignità. Perdere il lavoro non ti fa solo bisognoso, ti fa anche vergognoso. Un ragazzo di Caltanissetta, 22 anni, che aveva provato tanti lavori occasionali ma mai un lavoro fisso: muratore, panettiere, pizzaiolo, meccanico... Stanco di girare a vuoto, si è seduto in cucina e si è sparato alla testa col fucile di papà. Avere lavoretti saltuari ma non avere mai un lavoro fisso è come, da innocente, venir incarcerato e liberato ogni mese: la società ti accoglie e ti ripudia a intermittenza. Anche i più forti impazziscono. La disperazione li porta a misurare la vita, il senso del vivere e del morire, con un metro che gli altri, i lavoratori, han dimenticato o non hanno mai conosciuto. I senzalaT-oro, uccidendo e uccidendosi, scelgono il male «minore». Una vita così è peggio che morire. Ieri nel Milanese un giovane padre disoccupato s'è buttato dalla finestra col figlioletto in braccio: nella scala della disperazione, lui ha inteso «salvare» il figlio, regalargli qualcosa di grande, di amorevole: la fuga da una vita senza senso. Troverei umano, marxiano e cristiano che la mancanza di lavoro fosse il grande tema della politica in questo momento. Che non si parlasse d'altro. Parlare d'altro, quando c'è chi muore, è come collaborare alla sua morte. Così com'è praticato ora, il sistema dei licenziamenti è come una roulette russa: chi muore resta lì, chi si salva ringrazia e se ne va. La crisi, scaricandosi solo su pochi, li fa stare così male che li uccide. Se potesse scaricarsi su tutti, tutti staremmo meno bene, ma nessuno morirebbe. Ferdinando Camon «Pensavo di farlo da solo, ma poi ho deciso di portare con me le mie figlie perché non è giusto continuare a vivere in un mondo del genere». Un disegno fatto / 'i, . da una delle ' ( bambine uccise a Civitavecchia

Persone citate: Crudele, Milanese

Luoghi citati: Caltanissetta, Catania, Civitavecchia, Genova