Tutti i volti di Ulisse

17 Una rassegna a Roma scandaglia il più moderno eroe omerico Tutti i volti di Ulisse Così il mito ha ispirato l'arte 1ROMA NCREDIBILE pensare che tutto questo nasca quasi per caso, per un'ondata di influenza asiatica che colpisce Roma nel 1957 ed anche uno straordinario personaggio qual è l'archeologo Bernard Andreae. E' il medico che consiglia una convalescenza al mare; Andreae, che da sempre è sedotto dal mito di Ulisse, sceglie come luogo elettivo il Monte Circeo, là dove la leggenda vuole che la maga Circe trasformasse in porci i compagni dell'Irrequieto Pellegrino. C'è una punta di romanzescheria civettuola, nel racconto: par di assistere ad uno di quegli episodi, leggendari dei Viaggi in Italia di Winckelmann o di Stendhal. «Mentre facevo colazione, l'oste si accostò al tavolo con tutta la teatralità di chi ha da riferire una notizia straordinaria e mi disse. "I suoi colleghi archeologi hanno trovato il Laocoonte nella grotta di Sperlonga!"». E' da oltre quarant'anni che si lavora alla ricostruzione romanzesca, quasi come in una detective story, del faraonico ninfeo della villa di Tiberio. Il quale in questa sorta di lambiccata piscina artificiale poteva assistere al trionfo della propria genealogia, ammirando una scenografica «Odissea in marmo». Senza il furto del mitico Palladio e la distruzione di Troia, Enea non avrebbe mai raggiunto le coste italiane, fondando la stirpe imperiale della gens julio-claudia. Ma senza il contributo investigativo del sottilissimo Andreae e la pazienza di chi ha tentato di ricostruire un puzzle smembrato in mille frammenti (forse anche per il furore iconoclasta di una comunità di monaci installatisi in quel sito) oggi nulla si afferrerebbe di quella composita iconografia (perché mai Ganimede insieme a Polifemo? perché Scilla insieme al Pasquino e a Menelao che trascina il cadavere di Patroclo fuori della mischia?). Iconografia al tempo ancora misteriosa, che riguardava un'avventura sensazionale: una delle maggiori scoperte archeologiche del ventesimo secolo, casualmente riportata alla luce dalla rete di un pescatore, che si era incagliata a poca profondità tra questi pulviscolari frammenti di magistrale arte di Rodi. Chi ha avuto la ventura di leggere quel meraviglioso, avvincente «romanzo» che è l'Immagine di Ulisse di Andreae, uscito dall'Einaudi nel 1983, così scmtillante d'intelligenza, di divertente erudizione, di pratiche dimostrazioni di che cosa significhi oggi essere archeologo, ha ora un'occasione più che unica. Di vedere trasformarsi quel libro articolato e dotto in una sontuosa, spettacolare mostra al Palazzo delle Esposizioni: «Ulisse, il mito e la memoria». Senza la faticosa ricerca delle note a pie di pagina, senza nemmeno dover girare fogli alla ricerca spazien tita dell'immagine fotografica, che a quel testo si riferisce: con le opere stesse a portata di ma- no. Un vero prodigio omerico! Lo stesso Andreae, edotto dallo pseudo-scacco di Schliemann, «che pensava di aver locahzzato le vicende dell7ftade», ci spiega che non si tratta di «ridurre un'opera poetica a realtà afferrabile archeologicamente, riportabile alla luce con la vanga». Nulla di tutto questo. La mostra cerca soltanto di verificare come questo personaggio dalle molte qualità e dai troppi aggettivi, l'astuto, l'irrequieto, il melanconico che «al mare mai stanco guardava/ lasciando le lagrime scen- dere», l'uomo fedele «capace di molta sopportazione e mai sazio di fatiche», responsabile anche del destino dei suoi compagni, ma pure l'anti-eroe subdolo e amorale, bugiardo e vendicativo, abbia influenzato l'arte statua ria e pittorica. Se è vero che la sua figura asciutta e scattante la si ritrova assai presto nei grandi reperti vascolari del periodo orientalizzante, a ridosso del poema stes so. (Ma attenzione, sono proprio questi documenti fittili a per mettere la datazione del poema e i o i n i e e g e i o a a ] a mettere in dubbio la leggenda che sia stato un unico Omero, il poeta cieco che trae il suo sapere da un «occhio interno», a scrivere ad un tempo l'Iliade e l'Odissea. Due mondi troppo lontani: se l'eroe emblematico dell'Iliade è Achille, l'irriflessivo, che non pensa alle conseguenze delle sue titaniche imprese, ma risponde ad un mcontrollabile impulso, alla sua collera irrazionale, vittima d'un volere divino, Ulisse è in questo davvero l'uomo nuovo, il loico, che nella caverna di Polifemo ragiona, prima di ricorrere alla violenza: sa che senza l'aiuto della forza bruta del Ciclope non riuscirà a portare in salvo i compagni, «nello stesso luogo saremmo anche noi venuti a morte/ infatti non avremmo potuto rimuovere con le mani la pietra smisurata». Achille avrebbe risposto d'impulso, da intemperante, secondo la tenninologia di Platone: avrebbe trovato indegno il sotterfugio di neutralizzare il nemico con le insidie del vino, forse, più nerboruto, avrebbe sgominato il Ciclope, come Davide con Golia. Ma sarebbe rimasto prigioniero nella spelonca. Ulisse è invece l'uomo dell'inatti, della logica astuta. L'uomo interrogativo, che scandisce nella riflessione i tempi dell'azione: e che sa osare anche la via un poco subdola dell'inganno, per giocare il Ciclope che per primo non ha rispettato le leggi care a Giove dell'ospitalità. «Io sono Nessuno», gioca, forse primo nella storia, con le parole: inventa il calembour mitologico (e sappiamo che la prossima opera di Berio si chiamerà proprio così: Oun's. «Nessuno è il mio nome». Vero ossimoro drammaturgico: Chiamami: il Nulla»). Sì, anche Ulisse, l'uomo che non ha Dei alle spalle a decidere del proprio destmo romanzesco, scatenerà l'ira del padre di Polifemo accecato, Poseidon, «lo scuotitor della terra» che non cesserà di perseguitarlo. Ma diverso ò il suo rapporto con la divmità: non è più lo zimbello del Fato, e proprio con la sua perspicacia riesce a sottrarsi al condizionamento d'un destino superiore. E' il prototipo d'uomo moderno, non a caso scelto da Joyce come palinsesto dell'inquietudine novecentesca. E bisogna ammettere che si prova una certa commozione nel vedere quel formidabile microframmento di pelike attica, firmata dal Pittore dei Niobidi, in cui il mentitore Ulisse avanza travestito da mendicante, teatralmente calcando gli aspetti patetici, il fagotto sopportato da una stanca verga: il corpo ferito da tagli per essere credibile, entra nottetempo per spiare nel campo dei Troiani, e soltanto Elena, che pentita vuole espiare, lo riconosce, senza tradirlo. E' mcredibile quanta esattezza psicologica fuoriesca da questi antichi vasi o da frammenti di mosaico. Per esempio nella scena più sfruttata, anche per la sua smteticità narrativa, della caverna di Polifemo: con i preparativi del vino mentitore, o del palo lavorato con perizia d'artigiani. E poi la corsa, quasi un balletto, verso l'unico occhio, recando sopra la testa il legno arroventato come un remo, e il grasso ciclope che vacilla, la testa reclmata e i piedi per aria. Mentre in altri reperti, Polifemo sta seduto alla toeletta come una dama romana, attendendo paziente il supplizio. E che meraviglia quell'assembrarsi notturno, dentro un anello di sardonica, di guerrieri che escono dal Cavallo tra scale e scudi che sono già di Marino Marini, o che bardati come extraterrestri affiorano a degù strani finestrini lasciando irrealisticamente fuoriuscire braccia e lance dal pupazzone a ruote. O lo stile compendiario, serpentinato, alla Magnasco, con cui un affresco racconta tra le fiaccole la notte dell'Inganno. O il meraviglioso piede di tavolo di Villa Adriana, con le spume di pesce e le teste di mostro di Scilla fermate nel marmo. Quanto alla ricostruzione del Ninfeo acquatico di Sperlonga nella Sala Ottagonale già si sprecano le polemiche filologiche: e sia. Ma un po' di Disneyland per adulti non guasta. E una volta tanto un architetto-archeologo che se ne intende come Alessandro Viscogliosi ha dato i suoi soddisfacenti frutti. Marco Valloni a é a a a a a e i à Un anello di sardonica su cui è cesellata la presa di Troia. Sopra, testa di Polifemo e in alto episodio di Ulisse e le Sirene Un anello di sardonica su cui è cesellata la presa di Troia. Sopra, testa di Polifemo e in alto episodio di Ulisse e le Sirene

Luoghi citati: Italia, Rodi, Roma, Sperlonga