L'ultimo delirio di Pessoa e la strana passione di Cleopatra di Masolino D'amico

A TEATRO & TEATRO L'ultimo delirio di Pessoa e la strana passione di Cleopatra DNA volta volendo far teatro con un testo letterario, lo si adattava. L'ultima tendenza sembra sia di recitarlo, invece, così com'è, descrizioni comprese, senza peraltro rinunciare alla scenografia, alle luci, alle musiche, e insomma alla componente spettacolare che il palcoscenico può offrire. Così il Gadda che a Roma Ronconi fa leggere a cinquanta attori in costume; e così, più sobriamente, il Tabucchi al Piccolo di Milano (fino al 4 aprile), Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa - Un delirio, firmato da ben tre registi - Giancarlo Dettori, Lamberto Puggelli e Giorgio Strehler - ma con un interprete quasi solo. Pessoa, sommo poeta portoghese morto nel 1935, scrisse spesso più che nascondendosi sotto pseudonimi, calandosi come autore in personaggi inventati; e nel racconto in questione Antonio Tabucchi, suo grande profeta in Italia, lo immagina visitato da alcuni di costoro, come fossero persone vere, durante la malattia. Ma così come questi non sono che altre, estrose facce di Pessoa, è sempre Pessoa ovvero Giancarlo Dettori a incarnarli, sgusciando fuori dal letto dove dege e riapparendo con l'ausilio di un veloce travestimento, o, in un caso, come voce in un registratore. A intrattenere durante le rapide trasformazioni provvede la dolce voce di una cantante di fado lusitana, i cui due accompagnatori si prestano sportivamente anche ad apparire come infermieri o simili, dicendo qual- che battuta nella loro lingua. Dai colloqui di Pessoa con i suoi eteronimi poco se non un generico senso di sogno o di rincorsa della memoria giunge immagino a spettatori ignari delle premesse; in compenso si ammirano l'energia, la convinzione e anche la leggerezza con cui Dettori assume le varie personalità conservando una sorta di sorridente malinconia di fondo per i 70' complessivi, in una scena di Luisa Spinatelli bianca e sviluppata in profondità, le cui pareti ospitano sporadicamente proiezioni di immagini mentali. Per accentuare il carattere letterario dell'operazione, al proscenio è previsto anche un tavolino da caffè dove Tabucchi in persona, ovvero un attore, Giorgio Bongiovanni, truccato in modo da somigliargli, beve spumantino e forse crea quello che stiamo vedendo. Curioso come la stossa idea sia venuta contemporaneamente a Riccardo Reim, regista e adattatore di Tutto per amore di John Dryden, al Colosseo di Roma fino al 17. Questo lavoro seicentesco è l'unico tentativo riuscito del teatro inglese di pro¬ durre una tragedia statica, atteggiata ed eloquente sul modello di Corneille e Racine, ammirati da re Carlo II durante il suo esilio alla corte del Re Sole. Per dimostrarne la possibilità, Dryden scelse la materia già trattata da Shakespeare in «Antonio e Cleopatra» e la rielaborò con pochissimi personaggi e il rigoroso rispetto dell'unità di luogo, facendone un puro conflitto di passioni e di idee. Antonio viene convinto a lasciare Cleopatra (dovere che prevale sull'amore); poi ci ripensa (amore sul dovere); poi ci ripensa ancora, ecc., per cinque atti. Come traduttore Reim ha fatto un lavoro eccellente, riuscendo a dare il senso della altissima nobiltà e dignità del dettato di Dryden; come regista, ha ottenuto dallo scenografo Lorenzo Ghiglia una scena povera ma accettabilmente suggestiva di una classicità slabbrata. Ma perché poi fa aggirare per la medesima, accanto ai personaggi, un poeta (Dryden stesso? l'attore è Roberto Bisacco), che borbotta anche in pessimo francese, sbuccia una mela, si rade, e insomma fa le cose che fanno i poeti, anche loro, nella vita di tutti i giorni? Bisogna ricordare al pubblico, al Piccolo come al Colosseo, che i drammi hanno degli autori? Non fa niente, l'iniziativa (135') è meritoria, grazie anche alla passione non troppo statica di Francesca Benedetti, e soprattutto all'ironia di un eccellente Giampiero Fortebraccio, dalla maschera di pagliaccio triste e dalla bella vocalità. Masolino d'Amico ico^J A

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