Calcio miliardi e polizia un uccello fiabesco infondo al viale

Una sola parola d'ordine «Tutti a casa» lettere AL GIORNALE Calcio, miliardi e polizia; un uccello fiabesco infondo al viale Non distoglieteci dalla lotta al crimine Il Libero Sindacato di Polizia (Li. Si.Po.) di fronte alla girandola di miliardi che ruotano in questi giorni attorno alle principali partite di calcio, ritiene profondamente ingiusto che migliaia di poliziotti, ogni domenica, debbano essere distolti dalla lotta alla criminalità per prestare sei-vizio di ordine pubblico presso gli stadi in tutta Italia. E' giusto che la polizia di Stato e le altre forze dell'ordine prestino la propria opera quando si tratta di manifestazioni pubbliche, che coinvolgono un bene fruibile da tutti, ma non ritiene giusto che le forze dell'ordine, pagate da tutti i cittadini, debbano essere massicciamente impiegate per partite di calcio che fruttano fior di miliardi a imprese vere e proprie, quali sono diventate le società di calcio, e per i diritti televisivi delle quali una azienda televisiva ha ritenuto di investire molti miliardi e non crediamo che lo abbia fatto, certamente, per filantropia. Il Li.Si.Po. ritiene che le forze dell'ordine, sia pure poco pagate, non debbano essere impiegate per partite di calcio che, a questo punto, cessano di essere un bene pubblico, come poteva essere considerato se le riprese televisive fossero state appannaggio dalla tv pubblica, ma diventano un'impresa privata, per cui le spese sopportate dalla pubblica amministrazione per il settimanale impiego di appartenenti alle forze dell'ordine, in occasione di manifestazioni sportive oggetto di contratti miliardari, debbano essere interamente a carico delle società calcistiche e di chi ne sfrutta i diritti televisivi. Il Li.Si.Po. ritiene che la polizia debba essere al servizio di tutti i cittadini e debba servire lo Stato, non alcuni cittadini o aziende private e che debba sempre e comunque essere gratuitamente presente in quelle manifestazioni sportive dove l'unico interesse è l'amore per lo sport. Luigi Ferone, Roma segretario generale del Li.Si.Po. Troppo poche le donne in lista Poche righe per confermare la mia personale solidarietà alla Presidente della commissione nazionale pari opportunità, on. Livia Turco, che ha pubblicamente rimproverato ai leader dei vari schieramenti politici il mancato inserimento di un numero sufficiente di candidate alle prossime elezioni. Mi auguro non si debba rimpiangere la tanto discussa legge che prevedeva la percentuale fissa di presenza femminile nelle Uste elettorali. Qualora, scaduto l'obbligo legislativo, diminuisse ancora il numero di donne in Parlamento, significherebbe che il tema delle pari opportunità rimane sulla carta e tutto da ridiscutere, mentre a livello decisionale non ci saranno ancora una volta i numeri sufficienti per portare avanti le istanze del mondo femminile: anche noi donne dovremmo assumercene doverosamente una buona parte di responsabilità. Aurelia Della Torre, Cuneo Consigliere comunale L'influsso di Proust su Alvaro In merito all'articolo di Paola Decina Lombardi sulla Stampa dell'8 marzo, vorrei comunicare quanto segue: l'intuizione dell'autrice riguardo all'influsso di Proust sul romanzo di Corrado Alvaro, Domani, con presentazione di Enzo Siciliano, trova conferma nella riscoperta di pezzi dimenticati pubblicati da Alvaro nel Mondo di Amendola, dal 1922 al 1925. Nel corso di una mia ricerca ho trovato 45 articoli non registrati nelle Opere del 1990 e del 1994, né negli Scritti dispersi del 1995, che costituiranno materia per un volume in preparazione. Fra questi, al cuni bozzetti mandati da Parigi che poi saranno utilizzati da Alvaro per racconti, degli scritti autobiografici particolarmente interessanti, inol tre una novella sul trapianto dal paese alla città e la traduzione di alcune pagine della Recherche du temps per du. Che Alvaro avesse tradotto Proust era noto, ma ogni traccia si era perduta. La traduzione firmata e pubblicata dal Mondo, nel febbraio 1923, riveste quindi un'innegabile importanza. Si tratta nientemeno che delle pagine della Prisonnière, mandate dalla Nouvelle Revue frangaise allo stato di bozze, sulla morte dello scrittore Bergotte alla mostra dove La veduta di Deft di Vermeer gli rivela il senso profondo dell'arte, e sono le pagine destinate a diventare le più famose. Alvaro, traduttore provetto, si concede varie omissioni, aggiunte e infedeltà, spesso rivelatrici della sua personale prospettiva. La svista di maggiore rilievo è nel finale sui libri di Bergotte esposti come angeli ad ali spiegate, simbolo di resurrezione, quando Alvaro sceglie scaffali e non vetrine per vitrines. Un mese dopo, in tono polemico, sostiene la sua tesi, che riduce il messaggio dell'opera dello scrittore dalle vetrine dei librai alla biblioteca privata, errore significativo su un punto confermato del mano¬ scritto di Proust e fedelmente reso dai traduttori successivi. Sempre nel Mondo una recensione e il necrologio di Proust, sebbene non firmati, sono chiaramente di Alvaro. L'ipotesi di Paola Decina Lombardi, che interroga al riguardo Giovanni Macchia e Walter Pedullà, è avvalorata da questa riscoperta di una traduzione le cui infedeltà ci aprono uno spiraglio sulla personalità di Alvaro. Anne-Christine Faitrop-Porta ordinario di Letteratura italiana all'Università della Corsica Il colonialismo deiritalietta A Adua, nel giorno 1-2 marzo 1896 dalle 15,30 all'1,30, dopo Khartoum, si combattè la più grande battaglia coloniale del secolo scorso: la nostra armata di 14.000 uomini cedeva a fronte di 135.000 abissini. Si disse che in quel giorno gli italiani avevano perduto un maggior numero di vite umane che non in tutte, insieme, le guerre del risorgimento. Alle celebrazioni del centenario ha partecipato il senatore Gian Giacomo Migone le cui parole, riportate da La Stampa del 5 marzo, possono ricondurre a una misurata ricerca negli archivi im polverati del tempo. A quel tempo di fine secolo tutte le nazioni europee, dalle più grandi (Francia, Inghilterra, Germania) al le più piccole (Spagna, Portogallo, Turchia, Belgio) avevano acquisito, fin dal 1830, una o più porzioni nel continente africano o asiatico sui presupposti di una politica «colonizzatrice». In virtù di questa dot trina, gli spagnoli avevano già distrutto le popolazioni aborigene del Sud America tutt'altro che incivili, gli inglesi in India fecero di peggio, in Sud Africa (Transvaal) fecero una guerra, senza esclusione di col pi, ai Boeri che non avevano voluto associarli agli utili di ricche minie re d'oro e diamanti, mentre, quel che stavano facendo i loro cugini americani nelle terre indiane è documentato tuttora dalla loro «antologia» del West cinematografico. E allora, «rebus sic stantibus» che avrebbe dovuto fare l'«Italietta» post-risorgimentale per mettersi anch'essa all'onor del mondo? Noi in Africa non approdammo armati ma per pacifici acquisti commerciali. La compagnia di navigazione Florio-Rubattino nel 1880 acquistò per 23.500 talleri, da sultanati locali, un tratto di costa e alcune isole nella baia di Assab, per un totale in superficie di 630 km quadrati e 30 miglia di costa sul Mar Rosso, poi nel 1882 cedette il tutto al governo italiano per la somma già esigua, anche in quel tempo, di lire 416.000. Fu dunque il nostro un «colonialismo di maniera» che ci portò al primo conflitto etiopico per una questione di confine e per un equivoco su una clausola del trattato di Uccialli (2/5/1889). Qui un altro particolare curioso: quando fu sancita la pace nel trattato di Addis Abeba (26/10/1896) tra l'Italia e l'Etiopia, Menclik volle apporre una strana clausola: «L'Italia non potrà rinunciare alla colonia Eritrea senza il consenso dell'Imperatore d'Etiopia». Evidentemente, al confine eritreo, l'Italia, come potenza «coloniale», faceva paura meno di qualsiasi altra. Guido Candido Priola-Pievetta (Cuneo) Dove Camasio ideò la sua commedia Chi a Nizza Monferrato percorre quello stupendo viale di platani centenari, noto come «viale dei sospiri», troverà, alla sua fine, un cancello con la scritta «Villa Pacioretta». Introdottosi nel giardino e raggiunto l'edificio da una lapide apprenderà che Camasio, in quella villa, ideò e scrisse la commedia. Camasio conobbe la signora Dorina a Nizza, perché la stessa abitava nella villa famigliare «Ronga» posta sulla destra e al principio della provinciale per Alessandria, poco dopo lo svincolo della provincia per Acqui. La villa era a noi, ragazzi, ben nota in quanto nel suo giardino si poteva ammirare un pavone, animale, allora, a noi ignoto. Un vecchio nicese I