Bocca: i documenti d'archivio non sono tutto di Giorgio Bocca

Bocca: i documenti d'archivio non sono tutto II giornalista ripubblica il suo libro sull'Italia nella guerra fascista. E polemizza con gli storici Bocca: i documenti d'archivio non sono tutto «Ho scritto per togliermi i dubbi. Contro le deformazioni professionali» ^jjH MILANO I L mio libro di storia più I documentato» definisce I Giorgio Bocca questa *■ I Storia d'Italia nella guerra fascista in uscita da Mondadori. Venne pubblicato la prima volta nel '69 e Laterza «ha fatto un grosso errore a venderlo alla Mondadori insieme con gli altri miei due libri La guerra partigiana e La Repubblica di Mussolini, che nella riedizione hanno venduto più di centomila copie ciascuno». Bocca non ha toccato nulla del testo. Ha soltanto aggiunto tre secche pagine d'introduzione: se ne approfondiscono qui alcuni spunti. Lei scrive che con la guerra scompare un vero esercito italiano... «E la politica estera, perché senza esercito una politica estera non la fai. La scomparsa dell'esercito ha creato un notevole vuoto... Mi ricordo di mio nonno Giovanni Re, maresciallo, che aveva fatto tutte le campagne risorgimentali comprese le cac- ce ai banditi nel Sud. Le sue medaglie in una teca erano per me un sacrario. Vivevamo in tre stanze alla periferia di Cuneo e andavamo insieme a pigiare le uve in cantina e a metter le uova nella calcina per conservarle. Mi raccontava storie e battaglie come quella di Custoza del 1866: "Ci hanno dato l'ordine di attaccare, ho fatto i 36 movimenti per caricare il fucile e quando ho finito suonavano già la ritirata"». Come sintetizza le caratteristiche di questa sua «Storia»? «Trovo più naturale che le scoprano i lettori. Dico soltanto che è l'unico testo che racconta tut¬ ta la guerra. E ha un brutto titolo: oggi sarebbe più giusto togliere il "fascista" perché è stata una guerra italiana, una guerra vissuta non come fascista ma come sbagliata. Durante la non belligeranza gli italiani - tutti, anche i fascisti - hanno sperato con una speranza enorme che Mussolini non entrasse in guerra. C'era più odio e timore verso l'alleato che verso i nemici: quando venne bloccata la corazzata tedesca Graf Spee al Rio della Piata, al caffè Prato di Cuneo si fece un brindisi di gioia. E quando Mussolini dichiarò la guerra ci fu l'adunata davanti alla Casa Littoria: non un applauso ma silenzio, gelo». Perché ha scritto questo libro? «Per togliermi i dubbi, per capire. Noto una deformazione professionale negli storici, anche nei più intelligenti come Pavone: la fede totale nei documenti d'archivio. Chi come me ha partecipato a quegli avvenimenti sa invece che anche i documenti sono da osservare in modo critico. Oggi si assiste in tutti i giornali italiani a un'ondata di revisioni storiche assolutamente demenziali, fatte su documenti di nessun valore. Che uno come De Felice dia credito a uno del servizio segreto inglese che aveva tutto l'interesse a dire d'esser stato lui ad arrestare Mussolini...». Lei scrive che nella guerra c'è stata una sola nota positiva: l'economia nazionale. «Le potenze sconfitte esprimevano, nel loro tentativo bellico, crescita, vitalità. Questo sentimento l'ho vissuto in modo chiarissimo nei primi giorni del dopoguerra: ero a Torino e amvarono gli inglesi e gli americani con carri armati grandi come una casa ed era come se non ci fossero, non abbiamo pensato neppure per un attimo di essere una nazione in declino per sempre. C'era povertà, mai disperazione. La consapevolezza del declino è venuta dopo, in questi ultimi anni». Alla fine lei accenna a una crisi delle democrazie. «Sono impotenti verso le richieste della rivoluzione tecnologica (che crea più disoccupati che occupati), verso la crescita del Terzo Mondo, verso il revival del fanatismo religioso, e stanno crollando tutti gli Stati sociali. Sempre ho pensato che la vita fosse affrontabile e che i problemi delle nazioni europee fossero risolvibili, ma ora comincio a credere che non è più improbabile una guerra di religione. Ho una sorta di angoscia nel capire che la storia non è progressiva, come ci avevano illuso sia la rivoluzione industriale sia la rivoluzione comunista in una specie di Ballo Excelsior. Nella seconda guerra mondiale c'è stata nei regimi autoritari un'idea utopica e pazzesca, un tentativo di trovare una sistemazione millenaria del mondo: l'Europa si sentiva accerchiata, minacciata. Nella confusione della storia questo disegno di sopravvivenza forse si ripeterà». Claudio Alta rocca Giorgio Bocca

Persone citate: Bocca, De Felice, Giorgio Bocca, Giovanni Re, Graf, Mussolini

Luoghi citati: Cuneo, Europa, Italia, Milano, Mondadori, Pavone, Prato, Torino