Elogio del FARISEO

Elogio ^/FARISÈO Elogio ^/FARISÈO PARIGI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Da sepolcri imbiancati a eroi liberal-democratici. Fariseo è bello, predica per 481 pagine Armand Abé:assis. E riesce a dimostrarcelo. Accomunando nella riabilitazione gli Scribi (leggi Intellettuali), altra bestia nera delle invettive evangeliche. Per chiunque altro l'impresa sarebbe apparsa velleitaria, se non disperata. Con due millenni di tradizione alle spalle, l'antifarisaismo primario è uno tra i rari ubi consistam cristiani su cui più non ci si interroga. Quasi un must ecumenico. Teologi libertari e neotomisti, popi e papi, pastori e parroci sparano da sempre a man salva sull'ipocrisia flagrante, il formalismo deteriore, l'esibizione pretenziosa che nell'aggettivo «farisaico» (d'uso ormai extrateologico) trova definitiva consacrazione. E da quando l'antisemitismo è fuorilegge per le Chiese e il deicidio un pallido ricordo, inveire contro Scribi & Farisei sponsor Gesù - costituisce in fondo un rassicurante, innocuo residuo del buon tempo antico. Ma bisognerà ormai vedersela con il massiccio ancorché tascabile volume di Abécassis. Quarto d'una serie sul «pensiero ebraico». Integralisti ante litteram Malgrado il titolo da tesi dottorale - Messianismo: eclissi politica e fioriture apocalittiche, edizioni «Le Livre de Poche» - è dinamite. Nulla, forse, che gli studiosi ignorino davvero. Ma lanciare in versione pocket un elogio dei più zelanti avversari che Gesù vantasse, e ai quali deve - non ultimi - la Croce, è ini ziativa comunque coraggiosa. Riassumiamo un attimo, per comodità, i luoghi comuni sui Farisei. Ultrascrupolosi nell'os servanza della Torah sino a per vertirla, egocentrici, melliflui, ostentatori, persuasi che la Ve rita non abbia altri detentori, crudeli, affamapopolo - per arricchire la Sinagoga - e elitari Volendo aggiornare lo stereotipo, potremmo bollarli con la scomunica senz'appello in voga nell'Evo Moderno: integralisti. Caricatura, insomma, dei già caricaturali - per l'immaginario storico cristiano - Ebrei. Sarebbero, nel giudaismo, la sentina. Donde le omelie che dopo il «Vae Pharisaeis!» ammoniscono sul finale, concilianti: «Ma erano solo una minoranza». Lasciando intendere che il verace Pio Israelita lo si può trovare in natura, ma occorreva cercarlo altrove nella Palestina dell'Anno Zero. Ebbene, l'implacabile Abécassis rovescia l'assioma facendoci toccare con mano che i Farisei erano, al contrario, i Migliori. Sotto la dinastia asmonea, per esempio, ne vennero crocifissi migliaia, c'informa Giuseppe Flavio. E per motivi non troppo dissimili da quelli che dovevano portare al supplizio Gesù: fedeltà alla Parola, rifiuto di compromissioni con il Potere, piena apertura verso il popolo, feroci critiche antisacerdotali. Il loro stesso nome ne testimonia. «Separati». Ovvero non integrabili nella secolarizzazione a carattere sincretistico cui la cultura ellenica sottoponeva da decenni l'ebraismo. Trasformando gli israeliti in «ebrei sociologici» diremmo oggi - dunque amorfi o quasi sul piano religioso. La stessa linea, a ben guardare, che difesero Mose, il profetismo, Ezra... Una battaglia riassumibile in quattro parole: «Non basta essere Ebrei». Lungi dal garantire l'Elezione, l'autosufficienza etnica o la pura osservanza rituale ostacolano il dialogo con Jahvé; inimicandosi non poco l'establishment dell'epoca, i Farisei esigevano che la fede recasse frutti tangibili. Al «sei nato ebreo» subentra il «divienilo!». E non attraverso pratiche esteriori La precettistica va interiorizzata. Adempierla per scrupolo formale non garantisce all'uomo la Salvezza. Inoltre - le polemiche forzature che trapelano in alcuni passi neotestamentari non ingannino - il fariseo era ben più lassista, in materia, di Samaritani ed Esseni. La sua ricchezza? Il non basarsi esclusivamente sull'interpretazione letteralistica ma arricchirla con il patrimonio complessivo - incluso quello orale - d'Israele. Lo dimostra la 1 virulenta controversia sulla Resurrezione e l'angelologia (in cui credevano), che li oppose agli ultraconservatori Sadducei. Trovando - in entrambi i casi - piena legittimazione uella catechesi cristiana. Infine, che i "arisei e il loro zelo incarnassero non un estremismo ambiguo la cui devozione bigotta giustificherebbe i peggiori abusi, ma il nucleo duro sul quale fondare per i secoli futuri l'identità ebraica, lo dimostra la loro sopravvivenza alla formidabile crisi nel 70 d. C. L'offensiva imperiale e i suoi inenarrabili incendi, massacri, distruzioni... squassarono Israele travolgendo le principali scuole di pensiero. Fu quella farisaica, resistendole vittoriosamente, a perpetuare il giudaismo preservandolo dalla soluzione finale romana. Gli ebrei contemporanei - chiosa Abécassis - ne sono figli legittimi benché immemori. Ma va ancora oltre, l'autore di La pensée juive. A suo giudizio, lungi dal rompere con la tradizione ebraica, l'insegnamento che Gesù - meglio, Joshun - impartiva, e gli stessi Vangeli canonici, ne rappresentano un neppur troppo originale sviluppo interno. Sarebbero «midrash», cioè argomentazioni esplicative che integrano il corpus dottrinario centrale. La Sinagoga può rivendicarle con ben maggiore legittimità della Chiesa allora in fasce. Alla quale si rimprovera un esproprio acritico. Nell'esegesi, contestabile ma stringente, sui passi in cui il «figlio d(ell)'uomo» - tradurre, come abituale per i cristiani, introducendo l'articolo determinativo contribuisce sì a deificare l'ebreo Gesù, ma sarebbe arbitrario - motiva la sua azione, Abécassis scorge un approccio forse eterodosso ma non empio. Quindi accettabile, tuttora, per i suoi correligionari. A suo dire, lo stesso rivendicarsi (il secondo - ancor più problematico - appellativo) «figlio di Jahvé» non costituiva blasfemia. Abramo e i suoi discendenti lo sono. Senza per questo autodivinizzarsi. Quanto alle «pecorelle smarrite» che il Buon Pastore - altra figura veterotestamentaria - raccoglie, leggervi un appello per evangelizzare i Gentili (di conseguenza in fatale rottura con l'eredità giudaica) sarebbe pura manipolazione. Joshua voleva reintegrare gli ebrei dispersi, salvarli - per usare una terminologia '900 - dall'imborghesimento spirituale cui li esponeva l'influenza di Roma, Atene, Alessandria. Una rivoluzione vera. Ma non solitaria: i Farisei - dipinti quali Cattivi Maestri solo per corroborare la secessione cristiana - ne condividevano strategia e parole d'ordine. Gesù non fu un impostore, argomenta il volume nello smentire il giudizio in voga per secoli tra i suoi detrattori. Definirlo tale equivarrebbe a consacrarne il carattere messianico. Nemici della teocrazia Ora, per primo Joshua non se lo attribuì. O piuttosto, lo visse in maniera tutt'altro che esclusiva. Spingeva all'estremo ciò che qualunque essere umano detiene in potenza: il legame con il Padre-creatore. Lettura certo riduttiva per il cristianesimo. Cui Abécassis non si esime dall'appioppare un'ultima lezioncina. Opporre l'universalità cristiana al particolarismo ebraico è surreale, beffardo. Incongruo se pensiamo che l'«extra ecclesiam nulla salus» - papale regola aurea - non trova alcun corrispettivo israelitico. I Farisei non pagarono con il sangue proprio la determinazione nel combattere ogni pretesa assolutistica sul sacro? Abolire la teocrazia di casta fu il loro grido. Profetico. Ma il «ritorno d'immagine» non doveva rivelarsi pagante. Oggi tenterebbero una campagna di rilancio con spot, adesivi e gadget. «Fariseo è bello». Troppo tardi. Enrico Benedetto Sono diventati simbolo d'ipocrisia in realtà i veri «libertari» erano proprio loro Tutto cominciò con la celebre invettiva di Gesù: poi Vantisemitismo fece il resto nni ati ICAOrali riGesù tra i Farisei (Taddeo Gaddi, prima metà del '300) l ^/FARISÈO Per due millenni sono stati insultati Ora uno studioso li riabilita Gesù tra i Farisei (Taddeo Gaddi, prima metà del '300)

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