«lo cacciatore di mostri nell'America degli orrori»

Escono le memorie del detective che ha guidato la sezione serial-killer dell'Fbi SANGUE E PSICOLOGIA Escono le memorie del detective che ha guidato la sezione serial-killer dell'Fbi «lo, cacciatore di mostri nell'America degli orrori» IWASHINGTON L cacciatore di menti guida una vecchia Bmw rossa, rossa come la cravatta die porta, rossa come le calze che si intravedono sotto i pantaloni, rossa come il sangue nel quale ha nuotato per 15 anni e che sarà con lui per tutto il resto della sua vita. John Douglas non ha mai ucciso nessuno, «nemmeno uno scarafaggio», dice, non è un criminale, non è un macellaio. Raramente ha veduto sangue vero, fresco di ferite, sul corpo delle vittime, degli uomini, delle donne, dei bambini che ha incontrato quando erano ormai corpi gelidi sui tavoli degli obitori o sterilizzati nelle livide immagini dei flash scattati dai fotografi della polizia. Nei suoi tre lustri a capo della «Sezione Ricerche Comportamentali» dell'Fbi, Douglas non si è sporcato di sangue le mani, ma il cuore. Non si indaga per 15 anni esclusivamente sui «mostri», sui serial killer, sui predatori che decapitano, smembrano, cannibalizzano, torturano innocenti in serie, senza che qualche schizzo di quell'orrore ti raggiunga e si stampi. «Quando uno dei miei figli cade dalla bicicletta e sanguina, mi tornano in mente tutti i cadaveri di bambini che ho visto ricuciti con il filo grosso dopo le autopsie». Forse per questo John Douglas ha lasciato nei mesi scorsi il Federai Bureau of Investigation, dopo 25 anni di servizio, e ha cercato di esorcizzare l'orrore in un libro di memorie, «Mindhunter», il cacciatore di menti, che uscirà domani in America ed è certamente un'autobiografia, una cronaca, un racconto, ma è soprattutto il grido di un uomo che non ne può più del Male. Douglas, che ha una laurea in psicologia, cominciò nell'Fbi di J. Edgar Hoover come investigatore di rapine alle ban che ed ebbe immediatamente successo, usando metodi molto diversi da quelli tradizionali Mentre i suoi colleghi, gli altri GMen, studiavano impronte digitali, Douglas studiava le impronte psicologiche, le tracce impalpabi li ma rivelatrici che lasciavano non le dita o i piedi, ma la mente del rapinatore. Come «lavorava»? Quali erano i suoi tic, le sue abitu dini, i suoi gusti? Perché aveva scelto un certo tipo di maschera, o di arma, o di atteggiamento ver so le vittime? «Ogni criminale, sia esso uno strangolatore di ragazze o uno scassinatore di apparta menti, firma sempre il suo capo lavoro», dice. Fu da quei primi successi che nacque l'idea di creare una sezio ne speciale per lo studio e le inda gini del più orribile, e del più difficile, dei crimini: il delitto in serie, la catena di omicidi commessi da un killer che non ha altro obiettivo che quello di uccidere chi gli capita a tiro. «Quando l'as sassino è il figlio che vuol ereditare, il socio che vuol tenersi tutti i soldi, il coniuge cornuto, il rapi natore che cerca i gioielli, le inda gini sono facili, perché dal movente si risale al colpevole. Ma il serial killer, il mostro, come dite voi giornalisti, non ha interessi economici, non conosce mai le sue vittime, non profitta dai suoi delitti. Uccide come la scarpa del passante che senza neppure ac corgersene schiaccia una formica». L'arma del delitto non è il col telio che usano per sgozzare, la pistola che adoperano per colpire le mani che strangolano. L'arma è la mente e in quella Douglas cominciò ad addentrarsi. Studiava i rapporti e le cartelle, guardava per ore e ore le immagini autopti che, per vedere come la lama era penetrata nella carne, come il proiettile era stato indirizzato, quali mutilazioni erano state inflitte ai cadaveri, come si presentava la scena del delitto, per capire che l'assassino era una persona ordinata o disordinata, precisa o pasticciona, sbrigativa, come chi uccide per impulso, o capace di assaporare a lungo il gusto della tortura, le grida delle vittime, gli inutili pianti dei moribondi. «Ci sono serial killer che vogliono sentire le vittime gridare, altri che le preferiscono silenziose e mansuete». Andava poi nei penitenziari per incontrare l'uomo che stava dietro quelle immagini, per adularlo, lusingarlo, dargli quella attenzione che tanti di questi predatori di vite umane desiderano. Ore e ore, giorni e notti ad ascoltare il racconto del killer delle autostrade, che raccoglieva, violentava, uccideva e poi tornava a violentare anche dopo la morte, giovani donne. Sedici in tutto. Ascoltò per 48 ore filate, interrompendolo solo per un panino e una corsa in bagno, Edward Kemper, ventemie ragazzo per bene, primo d .Ha classe, tutto chiesa e casa e scuola, che pazientemente gli spiegò di non essere un «macellaio» come avevano scritto i giornali, perché lui si era limitato a tagliare la testa alle sue 10 vittime, tra cui la madre, e non a «macellarle». Una sola volta, con la madre si lasciò un po' andare, e le strappò la lingua, ma una volta, una sola. Poco alla volta, cadavere per cadavere, incontro per incontro, la caccia alle menti marce divenne una ossessione, un incubo. «Una sera tornai a casa - racconta Douglas - e in cucina mia moglie si tagliò un dito mentre affettava l'arrosto. Mentre lei si medicava la ferita, io mi sorpresi a studiare la disposizione delle gocce di sangue cadute sul tavolo, come si fa per capire da che tipo di ferita provengano». Come un'Alice entrata nel Paese degli orrori, così Douglas ha dovuto vivere per 15 anni nella dimensione surreale eppure concreta, come quei corpi massacrati, delle menti assassine. I suoi avversari più duri furono John Gacy, che uccise 31 bambini, ed è stato giustiziato, e Jeffrey Dahmer, il cannibale di Milwaukee, che uccise e fece a pezzi, conservando le parti diligentemente av¬ volte nella plastica dentro il freezer come una brava donnina di casa che fa la spesa grossa della carne, per mangiarsele con comodo più tardi. Ed era ovvio che questo cercatore di mostri fosse un film vivente. «Il silenzio degli Innocenti», il famoso film del 1991 tratto da un libro, lo ha visto nella parte del consulente. In casa sua, dove la moglie, che lo aveva lasciato, è tornata a vivere dopo che lui ha lasciato l'Fbi, Douglas ha fatto appendere come ricordo la spalliera della sedia con il suo nome, dove sedeva, accanto al regista, sul set. Ma neppure la moglie, o Douglas stesso, si illude di essere sfuggito al sangue. Troppe notti di interrogatori, troppi colloqui con i predatori di uomini, inva¬ riabilmente logorroici, invariabilmente orgogliosi di quello che hanno fatto, perché il sangue possa essere lavato interamente da un libro-esorcismo, da un'altra professione, o dall'essere diventato un semplice consulente, e non più un capo sezione, dell'Fbi. «Io sono come un bagnino in una piscina, non posso mai stare tranquillo, perché so, perché ho visto, quanta gente annega nel sangue». Ha indagato più di 5 mila casi di serial killer, e non solo in America. Anche le autorità italiane di polizia si rivolsero a lui, per le indagini sul mostro di Firenze. Ha sentito il killer delle autostrade raccontare come facesse a uccidere due donne con un colpo solo, allineando le teste delle vittime perché lo stesso proiettile le trapassasse entrambe. «Le munizioni costano, sa, perché sprecarle?», diceva. Ha sentito Richard Speck, che ammazzava sempre e soltanto infermiere. Ha visto Kemper illustrare con le mani come faceva a tagliare le teste delle sue vittime, «sempre con un coltello da caccia, perché viene un lavoro più pulito rispetto alle seghe elettriche». Ha dovuto consolare Ted Bundy, il «killer verde» di Seattle, che violentò e uccise donne sempre e soltanto nei boschi, perché amava la natura e si pentì. Ma non prima di averne ammazzate 31. Non avevo scelta, dice oggi il cacciatore di menti, perché soltanto capendo la psicologia di questi assassini a catena si può sperare di risalire a un nome, a un'identità. Ad Atlanta, Douglas riuscì a individuare il responsabile di 21 omicidi notando che il furgone dell'obitorio che andava a raccogliere i cadaveri aveva sempre lo stesso guidatore, qualunque ora del giorno fosse. L'assassino era proprio lui, il guidatore del furgone della morgue, che amava tornare a vedere quel che aveva fatto qualche ora prima. «Qualcuno deve provarci - dice adesso - qualcuno deve entrare nel labirinto di queste menti». Ma il problema è uscirne in tempo, come lui sta cercando di fare, prima di essere inghiottiti, come un esploratore conradiano, proprio da quel «cuore di tenebra» che si voleva illuminare. Lui ne è uscito in tempo? «Spero di sì», risponde, partendo sulla sua macchina rossa, con la cravatta rossa e le calze rosse. Vittorio Zucconi John Douglas: qualcuno doveva provare a entrare nel labirinto delle menti di quegli assassini E quell'uomo sono stato io Ha studiato e smascherato decine di «macellai», compreso Jeffrey Dahmer ed è stato consulente per il «Silenzio degli Innocenti» «lo, caccianell'AmeriFINuovo testFIRENZE. Ci sarebbe un n«Mostro» di Firenze. Qualcucostanze sulla presenza a Vl'uccisione di ria Rontini e Mario Vanni, l'ex postulo di scorso con l'accusa di aver due turisti francesi nella piasentito giovedì pomeriggio ndal pm Canessa, mentre alcuno impegnati in un sopralluerano stati ammazzati la RoJohn Dprovadelle mE queA fianco Jeffrey Dahmer Il detective Crawford del «Silenzio degli Innocenti» ispirato a John Douglas e jodie Foster e Anthony Hopkins A fianco Jeffrey Dahmer

Luoghi citati: America, Atlanta, Firenze, Milwaukee, Seattle