A 11 anni strangolato e poi gettato nell'acido

«Le immigrate nuove vittime di una piaga mai cancellata» Palermo, la vendetta contro un pentito All anni strangolato e poi gettato nell'acido //padre rivelò i misteri di Capaci La prigionia del piccolo durò 18 mesi PALERMO. Aveva solo 11 anni, ma Cosa nostra aveva deciso di ucciderlo e di far sparire il suo cadavere in un bidone di acido, per punire il padre che aveva «sgarrato», offrendosi come pentito all'autorità giudiziaria. Così è morto Giuseppe Di Matteo, figlio di Santo, uno dei killer, ora pentito, che avevano partecipato alla strage di Capaci, in cui morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie e gli agenti di scorta. Il bambino era stato rapito nel novembre del 1993, e nessuno ne aveva saputo più niente. Ora la verità è venuta a galla, anche se quasi nessuno sperava più di vederlo tornare a casa. Giuseppe era rimasto prigioniero di Cosa nostra per circa 18 mesi, poi era stato strangolato. Il suo corpo, dissolto nell'acido. La sua morte venne decretata da Giovanni Brusca, subito dopo la cattura di Leoluca Bagarella. La ricostruzione di uno dei più orridi delitti di Cosa nostra è stata fatta da Giuseppe Monticciolo, uomo di fiducia di Brusca. Arrestato circa un mese fa e subito pentitosi, Monticciolo ha indicato vari covi nei quali la Dia ha già trovato numerose armi, anche pesanti. Tra queste, un lanciamissili e dieci bazooka. Monticciolo ha detto di essere stato presente quando Brusca e un complice strangolarono il bambino in un casolare dove l'ostaggio era stato custodito, alla periferia di San Giuseppe Jato. Le rivelazioni di Monticciolo integrano quelle fatte da altri pentiti sul sequestro del bambino. Tra esse la più importante era stata finora quella di Pasquale Di Filippo, che aveva riferito che il killer Salvatore Grigoli, latitante, gli confidò sia Il latitante Giova nni Brusca di avere ucciso il parroco di Brancaccio, don Giuseppe Puglisi, sia di avere partecipato al sequestro del figlio di Santo Di Matteo. Giuseppe era stato rapito per ricattare suo padre e costringerlo a ritrattare. Il bambino scomparve da un maneggio, dove era solito recarsi, nella campagne di Monreale. Alcuni «picciotti» indossarono giubbotti con la scritta «Dia» e andarono a prelevare Giuseppe. «Ti portiamo in visita da tuo padre...», gli dissero, e il bambino rispose: «Sangue mio, sangue mio, andiamo subito». Santo Di Matteo, che era allora protetto a Roma, informato del rapimento, si sottrasse per 36 ore ai controlli e prese contatti con i suoi ex complici per salvare la vita del figlio. Si riconsegnò quindi alla polizia nei pressi della stazione di Terni. Santo Di Matteo ha avuto un ruolo chiave tanto nella strage di Capaci quanto nelle indagini che ne hanno svelato ogni aspetto organizzativo. Di Matteo venne arrestato dalla Dia insieme con Antonino Gioè e Gioacchino La Barbera. Le intercettazioni ambientali a loro carico erano inequivocabili: li indicavano come coinvolti nelle grandi stragi di Palermo ed in altre in progettazione. Gioè si impiccò subito dopo a Rebibbia. Di Matteo e La Barbera scelsero la strada del «pentimento», rivelando le proprie ed altrui responsabilità nella progettazione e nell'esecuzione della strage in cui furono uccisi Giovanni Falcone, la moglie e tre agenti di scorta. Dopo la scelta del «pentimento», Santo Di Matteo è stato «rifiutato» dalla moglie e dai familiari, [a. r.] Il latitante Giovanni Brusca

Luoghi citati: Capaci, Monreale, Palermo, Roma, San Giuseppe Jato