Riddoti come Cuba

Ridditi come Cuba LA NUOVA JUGOSLAVIA Ridditi come Cuba Belgrado, 20 mila contro Milosevic SZAGABRIA LOBO deve andare via», «Slobo-Saddam Hussein», «l'Europa in Serbia, la Serbia in Europa». Protestando contro il regime di Slobodan Milosevic ventimila manifestanti sono scesi ieri in piazza a Belgrado. Studenti e operai, giovani e vecchi, guidati dai leader dei partiti di opposizione, hanno gridato la loro rabbia contro «la dittatura di Milosevic» e il suo governo «di occupazione». Alla testa dei corteo hanno sfilato Vuk Draskovic, il capo del Partito del rinnovamento serbo; Vesna Pesic, leader della Federazione dei cittadini della Serbia, e Zoran Dzindzic, capo del Partito democratico. Ma si sono sentiti anche slogan monarchici. Il raduno è stato organizzato nel quinto anniversario della grande manifestazione del 9 marzo del '91, quando nelle vie della capitale jugoslava centomila persone protestarono contro Milosevic. In quell'occasione il Presidente serbo chiamò i tank dell'Armata federale per fermare la rivolta. Ci furono due morti: un manifestante e un poliziotto. Da allora l'opposizione serba è rimasta emarginata. «Loro sono il passalo, noi siamo il futuro», ha dette Vesna Pesic che combatte sin uall'inizio contro il regime di Milosevic. La sua Federazione dei cittadini della Serbia ha fatto per tutti questi anni da guida agli intellettuali democratici rimasti a Belgrado. «Vogliamo uno Stato di diritto, una democrazia, lo sviluppo economico» ha affermato la Pesic. Il capo del Partito democratico Dzindzic ha accusato il regime di Milosevic di tenere la Serbia sotto occupazione. «E' un regime di polizia», ha detto Dzindzic, che in alcune occasioni si è dimostrato però più nazionalista dello stesso Milosevic. Anche il capo storico dell'opposizione, Vuk Draskovic, che insieme con la moglie ha trascorso alcuni mesi nelle prigioni di Milosevic, ha duramente criticato il «padre della patria». «La Serbia era grande fino a quando Milosevic non ha cominciato a costruire la grande Serbia - ha detto Draskovic, acclamato dalla folla - tutti i serbi hanno vissuto in uno Stato prima che Milosevic cominciasse a unificarli». Draskovic ha accusato Milosevic di aver fallito nella realizzazione della sua politica «granserba» nel nome della quale ha trascinato il suo popolo in una guerra che non ha portato alcun risultato. «Vogliamo la bandiera serba sull'edificio del Parlamento europeo - ha continuato Draskovic - mentre Milosevic vuole trasformare la Serbia in una Corea o in Cuba». Tra le colpe del Presidente ci sarebbe anche quella di finanziare il ritorno di regimi comunisti in Albania, Bulgaria e Russia. Considerato sul piano intemazionale come il protagonista chiave della pace in Bosnia, in politica interna le ultime mosse di Milosevic non possono di certo definirsi democratiche. Poche settimane fa il governo di Belgrado ha vietato infatti l'attività della Fondazione Soros nella Federazione jugoslava. Subito dopo l'unica rete tv privata, lo Studio B di Belgrado, finanziata da Soros, è stata praticamente nazionalizzata, ovvero messa sotto il controllo dello Stato. Le due decisioni hanno provocato la reazione del segretario di Stato americano Christopher, che ha chiesto a Milosevic di revocarle. Ma il leader serbo si sta preparando alle prossime elezioni e non può permettere ai media d'opposizione di intaccare la sua immagine. ti. b.] Il leader serbo Slobodan Milosevic contestato ieri, e, nella foto in alto, una delle agghiaccianti immagini della strage di luglio a Srebrenica