Matteo Boe: Farouk l'ho preso io

«Ho obbedito ad un dovere morale nei confronti di chi è stato ingiustamente condannato» «Ho obbedito ad un dovere morale nei confronti di chi è stato ingiustamente condannato» Matteo Boe: Farouk l'ho preso io La verità in un memoriale CAGLIARI. Sì, ammette, l'ho preso io. Parola di bandito, parola di «baiente». Sì, l'ha preso lui, quel bimbo dal visetto paffuto, gli occhi smarriti e il sorriso triste. Inutile negarlo, anzi è opportuno ammetterlo: in gioco, forse, non c'è soltanto una condanna, la sua, ma pure una vendetta. Perché solo con quella potrebbero sentirsi appagati coloro che sono già in carcere e che dovrebbero rimanerci per 30 anni. Tutto per una foto. Sì, Matteo Boe, di Lula, cuore della Barbagia, confessa di aver tenuto prigioniero Farouk Kassam, che aveva sette anni quando fu strappato da casa in Costa Smeralda, nel gennaio '92, e che era tornato libero dopo sei mesi, dopo che gii avevano tagliato un orecchio. Lo fa con un memoriale di quattro pagine. Lui punta gli occhi sul giudice per le udienze preliminari, Michele Jacono, che scorre quei fogli. Il bandito è il solo a esser fuggito dall'Asinara: un tempo era studente di agraria a Bologna, si dava tono di rivoluzionario, e ora qualcuno lo lega agli «anarchici» delle bombe. C'è scritto, su quelle carte: «Mi sono risolto a fare questo passo non certo per fare atto di sottomissione a coloro che sono comunque rappresentanti di un sistema di potere ingiusto e colonialista che, attraverso falso informazioni fornite alla polizia francese, mi ha imposto ben 34 mesi di completo isolamento e una vita da cane e che anche qui, attraverso il ricorso al sistema di tortura dell'art. 41 bis, tenta di umiliarmi e di piegarmi col pretesto di inesistenti collegamenti con una non meglio identificata criminalità organizzata. Intendo semplicemente aderire ed adempiere a un dovere morale nei confronti di persone che sono state condannate ingiustamente, innocenti, per un reato che non hanno commesso e che sono state incastrate per un fatto del tutto fortuito, indipendente dal sequestro Kassam, fatto del quale, tuttavia, pur senza aver fatto alcunché per cagionarlo, sento la responsabilità». Il «fatto» sono le foto che gli vennero trovate in tasca, quando fu arrestato in Corsica, a Porto Vecchio, nel '92: e, sullo sfondo di una grotta, in quelle foto c'erano ritratti lui stesso, Ciriaco Marras e Mario Asproni. La grotta è stata riconosciuta dal piccolo ostaggio e i due sono già stati condannati a 30 anni per il «kidnapping». Ma, afferma Boe, «sono in grado di affermare con assoluta certezza che sono del lutto estranei al sequestro di Farouk, perché io vi ho preso parte». L'idea del memoriale, vista di buon occhio anche dal difensore, Franco Luigi Satta, è avversata dalla compagna del bandito, Laura Manfredi, quella che lo aiutò a fuggire dall'isola del Diavolo: «Se si è arrivati a questo punto, Io si deve all'azione di avvoltoi che hanno operato nell'ombra per far sì che tutto si concludesse senza che si sappia come sono andate realmente le cose». Va bene, Boe è stato il carceriere. Ma, sostiene, non si aspettava certo di vedersi recapitare un bimbo. D'altra parte, non gli passò neppure per la testa di rispedirlo subito a casa. «Durante la latitanza mi era stato proposto di custodire un uomo, un arabo, che doveva essere rapito in Costa Smeralda. Avevo dato il mio assenso e attendevo l'arrivo di quest'uomo, quando invece il gruppo di persone destinate al prelievo arrivò portando un bambino». Con il documento-confessione Boe chiede il rito abbreviato. Il gup ascolta il parere del sostituto procuratore distretturale Mauro Mura che evita di fare opposizione. Dunque, è fatta: giovedì 11 aprile, giorno di San Stanislao, il bandito Boe sarà processato. Primo risultato: se verrà condannato, avrà la pena ridotta di un terzo. Ma non è tutto, non sono carte leggere queste in mano al giudice Jacono. Dal processo esce anche Graziano Mesina, «Grazianeddu», ex re del Sopramonte e dintorni. E non solo lui. Sollecitato, si era dato da fare per il versamento del riscatto. Ora che la sua posizione è stralciata, come quella di Raimondo Crissantu, del mistero del pagamento si parlerà chissà quando. Perché quello fu un vero rompicapo: ufficialmente nessuno ha pagato, ma da notizie non peregrine si venne a sapere che parte del denaro era stato raccolto fra un gruppo di imprenditori sardi, parte messo a disposizione dai servizi, quelli segreti e un po' maldestri. La famiglia Kassam non aveva denaro, si disse. L'ultima offerta di Fateh Kassam, il padre, sarebbe stata di 611 milioni. A Mesina, che insisteva, avrebbe risposto: «Se li vogliono, li prendano e lascino libero Farouk. Se non li vogliono, che se lo tengano. Farò come se fosse morto in un incidente stradale. Non posso andare avanti così. Da oggi per me è come se avessi perso questo figlio: sono giovane, ne farò un altro». E il bimbo aspettava. Scrive Boe: «Ci rendemmo conto che l'arabo era disposto anche a cagionare la morte del bambino, cosa che nessuno di noi, ed io per primo, sarebbe stato mai disposto a determinare. A quel punto prendemmo tutti d'accordo la decisione di liberare il piccolo, senza insistere nel riscatto, ma facendo in modo che fosse ritrovato». Perché, aggiunge, 0 padre aveva già dimostrato di avere un bel cespuglio sullo stomaco: «Venimmo a sapere che, entrati in casa, avevano trovato solo un giardiniere». E quel «giardiniere» era Fateh il duro. «Girando, si erano imbattuti in due bambini. Dal basista sapevano che l'arabo aveva due figli, per cui, chiesto ai bambini il loro nome e accertatisi che erano effettivamente figli dell'arabo, prelevarono il maschietto». Quel bimbo che non dimenticherà più la Sardegna truce, quel bimbo che, perfido, insinua Boe il bandito, «l'arabo addirittura sospettava che non fosse figlio suo ma di un congiunto che l'aveva avuto da una relazione con la moglie». Dunque, niente riscatto, niente servizi, niente misteri, niente di niente. Anzi, sì, qualcosa c'è: il buon cuore dei rapitori, così diverso dalla freddezza del padre. Eppure quei teneri cuori non batterono neppure un po' più forte quando decisero di tagliare al piccolo l'orecchio. Per carità, scrive Boe, mica fu lui a compiere lo scempio ma un «personaggio alto che l'accusa ha cercato di confondere con me. Dopo la scadenza dell'ultimatum tornò con l'occorrente per tagliare l'orecchio, operazione che eseguì senza che Farouk quasi se ne accorgesse». Lui si limitò ad osservare. Impassibile. Come un «baiente». Vincenzo Tessandori Sospetti anche sul padre «Se non vogliono i soldi si tengano pure il bimbo» Da sinistra, Graziano Mesina, Matteo Boe e il piccolo Farouk Kassam. In alto, il padre del bambino, Fateh Da sinistra, Graziano Mesina, Matteo Boe e il piccolo Farouk Kassam. In alto, il padre del bambino, Fateh

Luoghi citati: Bologna, Cagliari, Corsica, Lula, Sardegna