Insegnante, fa' lo sceriffo di Alberto Papuzzi

Società e Cultura il caso. Un intervento di Julliard su «Reset»: la sinistra riscopre l'autoritarismo Insegnante, fa' lo sceriffo La scuola è un Far West: ci vuole un capo EROFESSORI, siate autoritari: la democrazia nuoce alla scuola. Non lo dice un allievo di Ugo Spirito, Filosofo di destra, non lo dice un esegeta di Julius Evola, ideologo reazionario, ma un intellettuale di sinistra: Jacques Julliard, vicedirettore del Nouvel Observateur, in un incandescente intervento, con un titolo che è un programma «A scuola di tirannide, niente compassione» -, sull'ultimo numero del mensile Reset, in edicola oggi. Si tratta di una provocazione, nello stile radicale degli intellettuali francesi: sessanta righe compatte e polemiche, con il gusto della retorica e con quello della metafora. «Che cosa dovremmo fare, dare agli insegnanti il porto d'armi per l'esercizio del loro mestiere?», do- manda Julliard. Il mondo scolastico francese diventa, con un'immagine di sicuro effetto, «un western senza sceriffo». L'insegnante deve trasformarsi nello sceriffo che non c'è. Il contesto di questa saettante polemica è il dibattito elettorale, in vista del 21 aprile. Voce critica della sinistra, la rivista di Giancarlo Bosetti esamina tre punti chiave del programma progressista: scuola, famiglia e trasparenza economica, con interventi di Alessandro Cavalli, direttore del Mulino, del sociologo Arnaldo Bagnasco, e del letterato Giulio Ferroni. Il contributo di Julliard è mio sguardo dall'esterno, che proietta foschi scenari anche sulla scena italiana. Il punto di partenza è la violenza nella scuola. Che sembra diventata una drammatica questione della società francese. Julliard cita i dati - in verità un po' vecchiotti - della Direzione centrale della sicurezza pubblica, che registra un aumento dei reati nella scuola del 21,4% fra '92 e '93, ed episodi come l'aggressione di un preside, che scampato alla morte per miracolo non ha denunciato lo studente aggressore. Dietro la spirale di violenza, Julliard individua una colpevole ri- nuncia all'autoritarismo. «Guardiamo come stanno realmente le cose: la scuola è nella sua stessa essenza un luogo chiuso, in cui vige il non diritto, la non democrazia». Siamo nel cuore dell'articolo, questa è la pietra di volta. L'introduzione nella scuola della logica dei diritti e di un modello democratico è stata «una stupidaggine». Perché il rapporto fra maestro e allievo «è di ineguaglianza e dipendenza». Ancora: «E' proprio l'autorità del maestro, liberamente accettata dall'allievo, che dà vita a quella cosa un po' misteriosa, e non Ìi||ii:; riconducibili; ad un semplice transfert di conoscenza, che si chiama educazione. Altrimenti risparmiamo i milioni di stipendi che versa l'Educazione Nazionale e distribuiamo in massa cassette e cd-rom a tutti i bambini francesi». E' una pugnalata alla tradizione pedagogica italiana di questo dopoguerra, che ha privilegiato un rinnovamento in chiave antiautoritaria. La spina dorsale di questo rinnovamento è stato il filone della pedagogia attivistica, ispirata alle teorie del filosofo americano John Dewey e dell'educatore francese Celestin Freinet, organizzata secondo una «cultura del bisogno», che determina un passaggio dalla scuola centrata sull'insegnante alla scuola centrata sullo studente. Su questo tronco, dalle nobili radici - si pensi alle avventurose esperienze ottocentesche di Johann Pestalozzi -, si è innestata negli Anni Sessanta e Settanta la critica del potere dell'insegnante del Movimento di cooperazione educativa (in cui lavoravano Gianni Rodari e Mario Lodi). Ma il vicedirettore del Nouvel Observateur parla esclusivamente della scuola quando invoca l'autoritarismo? «Abbiamo voluto aprire la scuola ai valori della vita - scrive Julliard -, l'abbiamo aperta ai valori della televisione: soldi, droga, corruzione, racket, violenza, oscenità, stupidaggiiù». Dietro la violenza nella scuola ritorna a galla in realtà il tema della violenza nella società. Qual è infatti la conclusione della polemica? «Una società che lascia i propri insegnanti in balia di accuse ed attacchi è matura per il deterioramento». Dietro l'insegnante indifeso o imbelle, s'avanza il fantasma del tiranno che finirà per prenderne il posto. Ecco spiegato il titolo dell'articolo: la scuola democratica preparerebbe alla tirannide. Il merito dell'articolo, la vera provocazione - anche pensando all'attuale dibattito sulla scuola meritocratica che ha coinvolto il ministro Giancarlo Lombardi - è di mettere sul tavolo senza mediazioni, con la carica anzi di chi vuole èpater le bourgeois, il rapporto organico fra scuola e società. La scuola è un laboratorio in cui la società collauda il grado di autoritarismo o democrazia, violenza o tolleranza, come ci ha spiegato Michel Foucault ^Sorvegliare epunire - identificando la scuola come una istituzione in cui si esercitano i controlli e le repressiom della «società disciplinare» - e come ci ha raccontato un florido filone del cinema hollywoodiano, dal Seme della violenza (1955), con Glenn Ford professore impavido, al recente Pensieri pericolosi, con Michelle Pfeiffer, professoressa ex marine. Alberto Papuzzi Una pugnalata alla tradizione pedagogica italiana del dopoguerra «Basta con la democrazia, fra maestro e allievo deve esserci ineguaglianza» Ìi||ii:; Michelle Pfeiffer nel film «Pensieri pericolosi» è una professoressa ex marine Un disegno di Dave Cutler