Da New York la benedizione per Dole di Paolo Passarini

Il senatore è già in Florida, in attesa della grande battaglia del prossimo Supermartedì nei 6 Stati del Sud-Est Il senatore è già in Florida, in attesa della grande battaglia del prossimo Supermartedì nei 6 Stati del Sud-Est Da New York la benedizione per Dole La sfida è con Forbes, che gioca la sua ultima carta WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Convinto di avere in tasca la vittoria nelle primarie dello Stato di New York, dove si è votato ieri, Bob Dole è andato a coltivare la Florida, che rappresenterà una delle grosse poste in gioco nel prossimo «Supermartedì». A chi gli ha chiesto se Dole non tema a New York gli effetti dell'appoggio offerto a Steve Forbes dall'ex ministro Jack Kemp, il capo della sua campagna Scott Reed ha commentato: «Così finalmente si vedrà che Forbes non può vincere in nessun modo da nessuna parte». Non è chiaro quali siano le speranze del ricco Forbes, che ha già investito parecchi miliardi del suo patrimonio in una battaglia elettorale che ormai chiaramente non può vincere. E' probabile che Forbes voglia consolidare e mantenere un personale gruzzolo di voti da spendere in cambio di un posto nella futura amministrazione Dole, se esisterà mai una cosa del genere. Il gioco di Patrick Buchanan, l'altro candidato rimasto in corsa, appare più chiaro. Il fiammeggiante Buchanan ha già riconosciuto che a questo punto nessuno è in grado di strappare la «nomination» del partito a Dole, ma appare particolarmente soddisfatto di essere riuscito a schierare dietro le sue bandiere una parte dell'elettorato repubblicano alla quale nessuno aveva mai dato voce: la classe operaia bianca tradizionalista, terrorizzata dalle aperture commerciali e dall'immigrazione. E Buchanan, che a differenza di Forbes non sembra nutrire alcuna ambizione ministeriale, appare intenzionato a schierare le sue brigate alla Convention di San Diego per rendere diffi¬ cile a Dole una più accentuata conversione al centro e la scelta di un vicepresidente «prò choice» in materia di aborto. Ma il problema più grosso di Dole, adesso che ha preso decisamente la testa della muta repubblicana, è quello di apparire più che mai un vincitore azzoppato. Non sembra esserci nessuno in America - e se c'è non lo dice - disposto a credere che alle presidenziali del prossimo novembre Dole possa essere capace di battere Bill Clinton. I punti deboli del presidente uscente sono numerosi: acrobatici rovesciamenti di linea e questioni etiche varie. Ma Dole, anziano uomo del palazzo senza un messaggio chiaro e con scarse capacità di mobilitare i suoi stessi elettori, non sembra l'uomo in grado di trarre vantaggio da queste debolezze. Clinton, come uomo da campagna e da stretto contatto con la gente, lo sovrasta letteral¬ mente. L'unica speranza di Dole ò che in sette mesi possono succedere molte cose, anche se non è necessariamente detto che queste cose debbano essere a suo vantaggio. La sua campagna, a questo punto, sembra uno sparo nel buio. Clinton, unico candidato democratico, non ha speso fin qui quasi una lira ed è ancora dotato quindi di un potere di fuoco impressionante. Paolo Passarini Il miliardario Steve Forbes: a New York è l'unico vero rivale di Dole

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