L'ora della vendetta catalana

Pujol chiede al vincitore poteri autonomi più ampi per Barcellona Pujol chiede al vincitore poteri autonomi più ampi per Barcellona l'orti della vendetta catalana «Aznar, il nostro appoggio costa caro» I TORMENTI DELLA SPAGNA DOPO IL VOTO barcellona DAL NOSTRO INVIATO Quando si è svegliato, il mattino di lunedì scorso, ed erano già passate le 10 perché la festa della vittoria era andata avanti per tutta la notte di domenica, José Maria Aznar la prima cosa che ha fatto è stata di prendere su il telefono e chiamare Barcellona. Glielo avevano detto fuori dai denti il suo braccio destro, Rodrigo Rato, e il segretario del Partito Popular, Cascos: «Ti tocca, Josemari, devi farlo». A mano a mano che, nella notte, il conto dei voti si era andato chiarendo e che si vedeva bene come il trionfo del Pp fosse sì ima vittoria, ma assai più magra di quanto il più pessimista avrebbe potuto calcolare, i tre moschettieri del neothatcherismo spagnolo avevano capito che c'era una medicina assai amara da trangugiare. La medicina si chiamava Pujol, 1 militanti che si accalcavano fuori dalla sedo del partito, in calle Genova, naturalmente non avevano capito un bel nulla: presi in inganno dai primi risultati assolutamente inattendibili (e che pero lo stesso Cascos, con un'avventatezza che la diceva lunga, era andato in tv a confermare e rafforzare), quel migliaio e passa di fedelissimi s'erano messi a ballare felici nel freddo della notte madrilena, per scaldarsi le ossa, e cantavano in coro, illusi, sardonici: «Pujol' enano/ habla castellano». E volevano dire: Pujol, ora che abbiamo vinto noi che odiamo le pretese autonomistiche, toglili una volta per tutte dalla tua testa le fissazioni sul catalanismo, e piegati a riconoscere che ti abbiamo stracciato. Parla la lingua dei cristiani. Altro che stracciato. Più il coro cresceva e riempiva la stanza del settimo piano dove i tre moschettieri facevano i conti, e più quei conti dicevano che il «nano» li aveva fregati ancora una volta; che la chiave del futuro di Spagna non stava affatto in Calle Genova, come quel migliaio di disgraziati infreddoliti credeva ancora, ma era tornata un'altra volta qui, a Barcellona, nel vecchio Palau de la Generalitat dove Jordi Pujol si muove come l'unico, riveritissimo, padrone di casa. «Josemari, ti tocca», gli dicevano gli altri due; e Aznar, che aveva appena ricevuto la telefonata di felicitazioni da parte di Felipe Gonzalez, non poteva nemmeno godersi il piacere di quel riconoscimento atteso da almeno 6 anni, perché ora doveva piegarsi lui, a telefonare al (verol vincitore, e chiedergli la bontà di aiutarlo con i suoi 17 voti. Senza i quali voti, la sua nomina a presidente del governo diventava impossibile. «Ti tocca». E ora, lunedì mattino, con l'ultima edizione dei giornali tra le mani - e però, dannazione, non era cambiato niente: i risultati erano quelli della notte, e quelli restavano - ecco che trangu- già la medicina e telefona al «Presidente Pujol». La telefonata la fa lui, personalmente, e lo schiaffo in faccia se lo prende proprio lui: «Il Presidente non c'è... Il Presidente nessuno sa dove sia, riprovi più tardi, senor, e f"li citazioni per la sua vittoria». Cne malditos, quei catalani, lo prendevano anche per il naso. La vittoria, la vittoria: ma quale vittoria, se tutto dipende poi dal «nano» che non si fa trovare al telefono. La storia della telefonata l'ha raccontata al cronista in visita un divertito «uomo di apparato» della Convergòncia Democràtica de Catalunya, il partito di Pujol che, in alleanza con i democristiani di Duràn Lleida, ha resistito la resistibi¬ le avanzata spagnola del Pp ed è diventato l'ago della bilancia nella costituzione del nuovo governo. Il giovanotto era radioso, mentre raccontava l'umiliazione del nemico di Madrid, e attorno a lui tutti se la ridevano. Sono due anni che Aznar e i suoi «pepisti» spargono concime naturale su Pujol e sull'appoggio che i catalani stavano dando alla maggioranza socialista, li chiamavano mercanti e speculatori, li additavano al disprezzo degli altri spagnoli; ed ecco, ora, che dovevano invece venire loro a Canossa, piegarsi loro a telefonare, chiedere comprensione e aiuto. Nell'ufficio centrale di Cdc, in calle Valencia, ieri c'era ancora un andare di popolo ininterrotto, una sorta di processione allegra che diceva a tutti che guai a lui, Jordi, se pensava di mettersi d'accordo con l'Aznarìn di Madrid. «Che ingoi ora lui, quello che abbiamo ingoiato noi per due anni». Ma, poveracci, loro come quelli della notte di domenica a Madrid, non sanno che le cose che contano nella politica passano sulle teste della gente; e che l'accordo che loro, «assolutamente no», non vogliono, è invece già in via di costruzione. «Tutto sta nella definizione del prezzo», aveva detto al cronista l'altro ieri un altissimo dirigente della Confindustria spagnola. «C'è un prezzo a breve, e un prezzo più a lungo termine»; e per la definizione di questo prezzo si stanno muovendo i poteri forti, le banche internazionali, i partiti europei, perfino Kohl. La Spagna è troppo importante, in questa difficile fase dell'Unione europea, e la soluzione va dunque trovata subito. Il prezzo a breve sta già nell'offerta, ai catalani, della presidenza del Senato e di alcune commisioni parlamentari. 11 prezzo più grosso prevede invece un passaggio più ampio alla Catalogna di poteri fiscali diretti, e la redifinizione del sistema generale delle autonomie regionali (ma qui le chiamano «nazionalità»). Per un partito, e un elettorato, fortemente centralisti come sono Pp e «pepisti», quelle due concessioni sono un vero trauma; ma anche per la gente che andava ieri nelle sale della Cdc pattare con Aznarìn è una brutta botta da accettare. E' la solita vecchia storia dell'incomprensione tra spagnoli e catalani, i catalani ricchi, i catalani intelligenti, dinamici, pragmatici, industriosi (e anche antifranchisti), che in Spagna tutti disprezzano e però anche tutti invidiano. La Catalogna è il cuore pulsante dell'economia industriale del Paese, ne trascina l'export, anticipa tecnologie e sistemi produttivi, parla europeo, e però vuole il riconoscimento della propria identità distinta, oltre che il diritto a prendersi le tasse. Sono storie che, in queste settimane, si praticano anche in Italia. Mimmo Candito Il leader dei popolari ha sempre disprezzato questo popolo ricco, dinamico, vero traino dell'economia, e ferocemente antifranchista [ J PIL prodotto interno lordo ì TTrÉDDITO PRO-CAPITET7 BBBBSBHIIB3E QUANTO PESA LA CATALOGNA SPAGNOLO: 63 MILA MILIARDI DI PESETAS CATAIANO: 11.143 MILIARDI DI PESETAS (IL 19 % DI QUELLO SPAGNOLO) SPAGNOLO: 1.624.000 PESETAS CATAIANO: 2.023.842 PESETAS r ABITANTI II M OCCUPATI IN SPAGNA: 12.142.660 ■ OCCUPATI IN CATALOGNA: 2.132.380 ■ DISOCCUPATI IN SPAGNA: 3.579.340 (IL 22 % DELLA POPOLAZIONE ATTIVA) DISOCCUPATI IN CATALOGNA: 531.038 | IN SPAGNA: 39,5 MILIONI IN CATALOGNA: 6 MILIONI Jordi Pujol leader storico del partito catalano