Telecalcio come specchio di Lietta Tornabuoni

F PERSONE Telecalcio come specchio UESTA faccenda dei diritti televisivi del calcio sarà importante in sé, ma è pure interessante come espressione, testimonianza e specchio delle contraddizioni e delle ipocrisie peggiori di governanti e dirigenti di aziende pubbliche. Adesso quel castigo di Dio che è la presidente della Rai diffida le organizzazioni del calcio dal dare applicazione all'asta perché il bando d'asta, dice, era lacunoso e impreciso: come se quelli della Rai lo vedessero ora per la prima volta, come se non lo avessero letto e studiato al momento di concorrere all'asta o come se, per qualche obnubilazione della mente o paralisi dell'intelligenza, allora l'avessero letto senza capirlo e lo capissero soltanto oggi. Adesso la Rai tenta di reagire alla fregatura presa (e pure le Commissioni parlamentari si adeguano) mettendo avanti il sacrosanto diritto dei telespettatori ad avere il meglio: come se l'azienda radiotelevisiva pubblica nell'ultimo tempo, al di là del calcio, non avesse spensieratamente dato al suo pubblico il peggio, gli spettacoli di varietà più monotoni e cafoni, i programmi più poveri, mutilati e ripetitivi, le repliche più sceme, antiche e logore. Adesso si proclama inviolabile e naturale il diritto degli italiani all'estero di vedere le partite trasmesse dalla Rai: come se molti si fossero preoccupati di diritti anche più elementari degli italiani all'estero, per esempio di quel diritto di voto intorno al quale si discute da una ventina d'anni e più, proponendo metodi e sistemi diversi senza mai arrivare a nulla. Votare pazienza, calcio per forza? Adesso il calcio diventa un servizio sociale essenziale da rendere alla collettività: e la sanità o la scuola cosa sarebbero, sport, intrattenimento? Ma quello che soprattutto colpisce in questa vicenda è la questione dei soldi e del libero mercato. In nome dei soldi, delle necessità di bilancio, del bisogno di cominciare almeno a tentare di far quadrare i conti e ridurre i passivi, la Rai ne ha combiI nate d'ogni genere: ha auI mentato il canone, ha licen- ziato centinaia di lavoratori con contratti a termine, ha tagliato le spese per i programmi impoverendoli oltre misura, ha unificato certi servizi dei telegiornali tanto che su ogni rete vedi sempre gli stessi identici réportages, ha pre-pensionato un gran numero di dipendenti, ha rinunciato a molto, ha ridotto l'attività dei suoi inviati in Italia e all'estero costringendoli anche a dormire negli alberghi più inadatti al loro lavoro. Ha mostrato quindi per i soldi il maggior rispetto al mondo: e adesso, dato che coi soldi è stato fregato il calcio alla Rai, di colpo per la presidente i soldi diventano sporchi, arroganti, vergognosi, sopraffattori, un mezzo che si direbbe quasi illegale e che non deve, non può rappresentare l'unica misura delle cose? Lo stesso per il libero mercato, feticcio inattaccabile e incontrollabile, pensiero unico. Prima, esaltazioni della competizione, della concorrenza, delle leggi di mercato che tutto definiscono e governano, di fronte alle quali tutti debbono arrendersi o piegare la testa. Adesso che la concorrenza ha fregato la Rai, il libero mercato diventa un abuso irresponsabile, un criterio che non può non venir corretto e limitato da considerazioni sociali. Adesso quel che Bertinotti e ogni persona di buon senso seguitano a ripetere da sempre diventa Vangelo per la presidente della Rai: s'aspetta solo di sentirla proclamare che la proprietà è un furto. Naturalmente, non è affatto singolare che una classe dirigente senza capacità si contraddica, mentisca, tradisca i principi conclamati, s'attacchi alla massima ipocrisia per coprire i propri errori. E' sempre successo: magari, non in modi cosi sfrontati e ridicoli. Lietta Tornabuoni onij

Persone citate: Bertinotti

Luoghi citati: Italia