«Torino? E' la capitale delle rivolte moderate» di Cesare Martinetti

«Torino? E' la capitale delle rivolte moderate» LA SERRATA ANTI-FISCO «Torino? E' la capitale delle rivolte moderate» STORINO EDICI anni fa i 40 mila della Fiat riaprirono i cancelli della grande fabbrica dopo 35 giorni di sciopero e decretarono la fine del sindacato unitario dei metalmeccanici sconfitto per non aver saputo interpretare gli umori dei lavoratori. Lunedì un nuovo esercito moderato ha abbassato le saracinesche dei negozi di tutta la città e una sua piccola avanguardia ha zittito Romano Prodi tentando di celebrare in anticipo il funerale del centro sinistra prossimo venturo. Gratta gratta, Torino è città di rivolte moderate. Se ne dice «orgoglioso» l'economista ultraliberista Sergio Ricossa (che fu l'organizzatore di una delle più riuscite rivolte anti-fisco, nel novembre 1986); mentre un sociologo-sindacalista (Cisl) come Bruno Manghi prende le distanze da un «romanticismo» da ricorrenze storiche e boccia il vecchio stereotipo della sinistra: «Non ho mai creduto che Torino rappresentasse un "laboratorio" anticipatore dei fenomeni italiani». Berlusconi, grande manipolatore di slogan e luoghi comuni, se n'era impossessato lunedì per mettere il cappello sulla rivolta anti-Stato dei commercianti, ma soprattutto per godere della disavventura di Romano Prodi. Valentino Castellani, sindaco del centro sinistra e anticipatore dell'Ulivo con la coalizione che vinse le elezioni tre anni fa, dice di temere il «virus dell'intolleranza» che si è manifestato lunedì, ma per quanto riguarda la materia del contendere non ha dubbi: «I commercianti hanno ragioni forti che mi sento di condividere». Cronache alla mano è questa la terza rivolta anti fisco e moderata che si svolge a Torino. Tra l'una e l'altra c'è stata la marcia dei quarantamila, madre di tutte le proteste silenziose, e qualche altro happening della stessa natura. Un ruspante come il leghista Gipo Farassino dice che una serrata come quella torinese in tutt'Italia «non s'è mai vista». Forse da qualche ora Torino è ridiventata capitale d'Italia dell'antifisco. Perché mai Torino, città-cartolina del lavoro dipendente? «Non saprei individuare una specifica ragione torinese - risponde Arnaldo Bagnasco, studioso che ha son¬ dato a lungo il terreno sociale della città -, ma banalizzando direi che Torino è stata la città della grande industria e quindi della grande organizzazione ed è stata anche la città dove la grande distribuzione si è installata più rapidamente». Come sostiene anche il sociologo Luciano Gallùio, dietro la rivolta di lunedì c'è anche il conflitto tra i grandi supermercati e i piccoli negozi. Bagnasco afferma che il piccolo commercio, specie in città, è una «realtà viva che respira attraverso una rete di relazioni e che offre una serie di servizi che vanno ben al di là della merce in vendita. E' un mondo che va salvaguardato». Ma un mondo contraddittorio: «Lunedì al cinema Lux c'erano sicuramente evasori fiscali che protestavano accanto a contribuenti che pagano fino all'ultima lira di tasse». Un groviglio che è più facile sciogliere cori i «discorsi da bar» della destra, come dice il sindaco Castellani, che con il ragionamento: «lo - dice il sindaco - non sono d'accordo con chi dice che la sinistra non è in grado di farsi capire su questi temi e invece la destra sì. La verità è che non bastano gli slogan, bisogna affrontare il problema vero dei commercianti: la congerie di tasse e imposte differenti e il carico fiscale. E io penso che la soluzione non sia né di destra, né di sinistra: sciogliere l'intrico di tasse e imposte che rappresenta anche un costo, per esempio, con la necessità di un commercialista che tenga i conti». Gipo Farassino dà una spiegazione semplice della rivolta: «Torino è una città operaia, in cui i commercianti hanno già naturalmente vita dura che risente più che altrove della crisi del lavoro dipendente». Una settùnana di cassa integrazione a Mirafiori ricasca subito sull'universo che gli gira intorno. Bruno Manghi approfondisce ni modo un po' più raffinato: «Negli ultimi anni Torino ha subito un bnpoverimento relativo rispetto al resto del Nord che cresce». Per questa ragione il mondo del commercio ha elaborato uno stato di ansia particolare e giustificata: «Nel Nord ricco la ripresa ha portato ricchezza - dice Manghi -, com'è avvenuto nel Nord-Est, in Veneto e anche in Lombardia. Non c'è stata una sufficiente ripresa dei consumi privati». A Torino e in Piemonte non s'è registrato un aumento di reddito e il fatto ha acceso rabbie in minoranze, come quella dei commercianti. L'iperorgoglioso Ricossa tutto sommato è d'accordo: «La città si sta hnpoverendo». E individua le ragioni della torinesità della rivolta nella cronaca e nella storia: «Qui ci sono meno evasori fiscali e dunque più commercianti e imprenditori che si sentono doppiamente vessati: dalle tasse e da un'accusa (quella di evasionel che non corrisponde alla verità». Inoltre: «Torino porta in sé la missione che ha avuto nella storia: fare l'Italia e anche gli italiani. Qui s'è sviluppato un capitalismo di avanguardia e una classe operaia, anzi diciamo lavoratrice, molto consapevole, come ha dimostrato la marcia dei quarantamila». Ce riè in abbondanza per capire la manifestazione di quelli che Manghi chiama «la moltiplicazione degli umori neri: si può scegliere di cavalcarli per la propria politica oppure affrontarli pedagogicamente per risolverli. E' una scelta etica». Come dice il sindaco, «non sorpreso» della riuscita della protesta, la città dimostra di voler tirarsi su le maniche. Peccato che si siano messi di mezzo quelli che Farassino chiama i «giannizzeri del movimento sociale». Cesare Martinetti Il sindaco Castellani L'economista Ricossa «Non solo la destra «Qui gli evasori chiede tasse più giuste sono pochi: per questo anche l'Ulivo la pressione fiscale ha qualcosa da dire e le accuse ai commercianti» sono intollerabili»