La guerra dei due Papi sul trono della Terza Roma

La guerra dei due Papi sul trono della Tena Roma La guerra dei due Papi sul trono della Tena Roma GLI EREDI DI BISANZIO MENTRE si celebrava, nelle chiese della Russia, una solenne liturgia in occasioni? dell'onomastico di Aleksij II, patriarca di Mosca, per la prima volta da 10(18 anni mancava, nella preghiera per i capi delle comunità ortodosse in comunione con quella di Mosca, il nome del patriarca di Costantinopoli. Mille e otto anni sono trascorsi da quando l'antenata dei Paesi slavi d'Oriento, tra cui la Russia di oggi, la Kus' di Kiev, veniva ufficialmente dichiarata cristiana per bocca del suo principe regnante e condottiero militare, Vladimir. La religione che i suoi legati avevano scelto per lui considerandolo «bello come una visione celeste» - almeno cosi vuole una leggenda tenace ed in parte, probabilmente, aderente alla realtà - era il cristianesimo, all'epoca ancora senza scismi proclamati, e il rito era quello bizantino. La decisione del principe di cercare proprio presso la cattedra di Bisanzio la guida necessaria per portare la sua giovane nazione al battesimo era dettata, oltre che da criteri di geopolitica e sogni ancora vaghi di comune grandezza orientale, certamente anche da un suo senso dell'estetica e da una certa visione mistica del rapporto tra l'uomo e Dio. La Chiesa di Bisanzio conservò attraverso i secoli, malgrado innumerevoli vicissitudini, l'aspirazione a mantenere il suo rango di Chiesa-madre rispetto alle metropolic da essa nate, anche quando queste si facevano, con il passare del tempo, indipendenti o addirittura autocefale. Nel titolo di Patriarcato Ecumenico, che la Chiesa di Costantinopoli mantiene, continua a rispecchiarsi la sua convinzione (non sempre condivisa dalle ex figlie) di essere la prima ira lo Chiese dell'Oriente cristiano. La metropolia russa, crescendo prima in sintonia con l'ingrandirsi dello Stato, poi in diretta dipendenza da osso, si era abbastanza rapidamente dimostrata poco incline alla sottomissione ed infine aveva ottenuto l'autocefalia, diventando essa stessa Patriarcato. Quando nel Settecento Pietro I, detto il Grande, decapito la Chiesa del suo Paese abolendo la carica del patriarca e arrogando al monarca la direzione ecclesiale, la Chiesa russa non rinuncio per tanto ad un progetto di supremazia nei riguardi di comunità sorelle. Si affacciava il sogno di sostituirsi religiosamente e politicamente ad una Bisanzio sempre più fatiscente, ed infatti da questo sogno nasce il tema della Terza Roma, cosi spesso frainteso da fuori ma anche da dentro. Ciononostante rimaneva viva, seppure combattuta, una speciale considerazione per la Chiesa inizialmente madre. Si capisce dunque come sia un fatto grave la rottura, annunciata al mondo, dopo quella drammatica liturgia festiva, in un comunicato dai toni assai duri della Sezione relazioni ecclesiali estere del Patriarcato di Mosca. Come tale ò stata vissuta da coloro che nel mondo ortodosso aspirano all'unita o quanto meno alla concordia fra i cristiani. Ha avuto inizio subito, in Russia e all'estero, la raccolta di firme per una supplica rivolta ai due patriarchi, Aleksij II e Bartolomeo I, affinché riesaminassero il caso e ristabilissero la comunione interrotta. E' vero che la categoricità dell'annuncio moscovita era mitigata dalla definizione «provvisoria» data alla rottura. Si sa, pero, che nulla e tanto duraturo quanto il provvisorio. In questo caso il eletto potrebbe avverarsi giusto, perché il momento di transizione che le due Chiese starmo vivendo, e che e alla baso dello scontro (anche se il movente immediato ora fornito dalla particolare situazione venutasi a creare in Estonia) è carico di autentici e difficili problemi in ogni campo e per risolverli e superarli occorrono ima saggezza e una pazienza non comuni. I paradossi storici e religiosi che abbondano già da qualche tempo rendevano l'equilibrio assai precario. La Chiesa di Mosca, che all'interno della Russia era in epoca sovietica assoggettata, come ben si sa, ad ogni sorta di restrizioni e vessazioni, godeva di un unico privilegio, che oggi ha perso: fuori dalle frontiere della madrepatria, dove sarebbe stata, in condizioni di libertà, la comunità della maggioranza e dove era, appunto, avversata dal potere, era riconosciuta quale Chiesa ufficiale dell'impero e godeva di molti appoggi, il che spiega la sua sorprendente espansione nel mondo e di conseguenza la sua rinata aspirazione, anche se non esplicita, a sostituirsi in un certo modo al Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli. Ora, però, proprio questo stato di cose è mutato radicalmente in quelle regioni che prima dei recenti grandi cambiamenti facevano parte, direttamente o indirettamente, dell'impero sovietico e che sono oggi diventate Stati indipendenti e spesso appassionatamente nazionalisti. In questi Stati, il desiderio di autonomia per la propria Chiesa ortodossa (dove esiste una reale comunità di fedeli) ha condotto alla richiesta di protezione da parte della Chiesa di Costantinopoli ed all'uscita dalla giurisdizione di Mosca. Un altro paradosso consiste nella tradizionalità, in un certo senso, di tale procedura. In epoca sovietica numerose comunità ortodosse in esilio, in ori¬ gine costituite da profughi dalla Russia, avevano chiesto ed ottenuto la protezione del Patriarcato di Costantinopoli. Inizialmente la Chiesa di Mosca tendeva a chiudere gli occhi sulla situazione sorta in seguito a quanto avveniva in Russia. Oggi il quadro è differente, per cui diverse Chiese ortodosse in Occidente, nate da comunità di esuli dall'Urss, oscillano tra Costantinopoli e Mosca, spesso propendendo per un ritorno alle origini. Dmique la rottura provvisoria annunciata pochi giorni fa è stata ostensibilmente provocata dalla decisione degli ortodossi d'Estonia, fortemente appoggiati dal governo del loro Paese, di uscire dalla sfera d'influenza di Mosca per diventare parte della Chiesa di Costantinopoli, considerata ecumenica e non nazionale. In questi due termini sta la vera causa del contrasto, il quale, sviluppandosi ed estendendosi, va poi a toccare tutta una pericolosa catena di componenti, nella vita dell' istituzione Chiesa, di natura e carattere ben terrestre e sposso politico, che vanno da considerazioni di prestigio fino al problema di boni materiali da dividero o cedere. E' ben noto quanti scontri sono nati in Ucraina proprio intorno a questi aspetti nei rapporti tra ortodossi e greco-cattolici. L'Ucraina, del resto, è presente anch'essa nell'attuale diverbio, sia pure in prospettiva: infatti gli ucraini ortodossi già separati da Mosca avevano qualche tempo fa chiesto di essere accolti nella giu¬ risdizione di Costantinopoli. La situazione ecclesiale in Ucraina è però talmente confusa ed esplosiva che il Patriarcato Ecumenico per ora rifiuta di entrarci; in Estonia invece le cose sembravano abbastanza chiare: si sarebbe ristabilito semplicemente il contesto esistito nei vont'anni di vita indipendente dello Stato estone, dalla caduta dell'impero zarista fino all'occupazione sovietica nel 1940, cosi almeno affermavano il governo e buona parte del cloro ortodosso estone. Costantinopoli sembrerebbe aver prestato fede alle loro assicurazioni senza tenero conto della presenza, sul territorio di quel minuscolo Stato, d'un gran numero di russi etnici e di un agguerrito vescovo ortodosso russo. La decisione definitiva sulla rottura, da abolire o da prolungare, dovrebbe essere presa dalla Chiesa di Mosca in occasione di un'assemblea dell'episcopato, chiamata «Concilio locale». Non c'è, però, alcuna data fissa per la convocazione di quello che corrisponde al sinodo dei vescovi occidentale. Nel frattempo sono possibili, anche se non inevitabili, ulteriori complicazioni perché nella Chiesa ortodossa, essenzialmente legata a tutte le sommosse sotterranee del mondo postcomunista, avviene un difficile riassestamento pressoché incontrollabile, come negli strati terrestri dopo un terremoto. Inoltre si osserva in Russia un fenomeno a prima vista sconcertante: la particolare tendenza all'isolazionismo, ad un rinchiudersi su so stessi quasi settario proprio nell'ambito del clero e dell'episcopato giovani e di recente ordinazione. Molte radici di autentica tradizione ecclesiastica erano state recise e di conseguenza è spesso assente quel senso di legame indissolubile con la Chiesa-madre che nel precedente millennio rendeva una rottura semplicemente impensabile. Si nota, d'altra parte, il poso, che sta diventando più reale che simbolico, dei titoli usati da Costantinopoli, rispettivamente per il patriarca ecumenico e quello di Mosca: il primo è «Sua Santità», il secondo solamente «Sua Beatitudine». Un po' come la differenza, nella gerarchia celeste, fra santi e beati, osservano amici russi, aggiungendo che non se ne dovrebbe fare un dramma. Purtroppo il dramma questa volta ha avuto inizio; rimane da vedere quale sarà la l'ine. Irina Alberti Una funzione della Chiesa ortodossa e a lato una chiesa di Tallinn capitale della Estonia

Persone citate: Aleksij Ii, Irina Alberti, Tena