Sesso e peccato, che orgia di colori

Amsterdam rende omaggio a un provocatorio maestro di «Eros & Pathos» Amsterdam rende omaggio a un provocatorio maestro di «Eros & Pathos» Sesso e peccato, che orgia di colori / turbamenti di Von Stuck, tra sacro e pagano N~~A AMSTERDAM ON si è ancora dischiusa la porta a vetri dell'ascensore del Van Gogh Museum, ve leggiando sui tormentati paesaggi del folle di Arles, che già il grande quadrone 1889 di Von Stuck II guardiano del Paradiso ci accoglie sfrontato e con gesto di sfida, la proterva figura d'autoritratto mascherata in un muscoloso cherubino: le ali d'angelo grondanti materia, gli occhi di fuoco, ma ancora bambini, la grande spada wagneriana che sembra percorsa da una scossa di fuoco arroventato. «Così egli dipinge il suo: Eccomi qui!», scriveva già nel 1899 il suo primo biografo, Otto Bierbaum. Se nell'/nnocerUia dello stesso anno erano ancora presenti, in modo troppo superficiale, gli echi delle liliali purità preraffaellite (soprattutto del Rossetti) ma anche delle sinfonie di Whistler dai bianchi usurati, con quel Cavaliere del Paradiso - che pare un nobile usciere a sbarrarci ogn'entrata all'Empireo dell'Arte Pura, negata ai filistei - Franz von Stuck, l'ancora giovane ma già apprezzato maestro della Secessione di Monaco (è nato nel 1863) ha qui indubitabilmente trovato la sua via, trionfante e mitica. Dopo qualche anno di spavalde provocazioni al pastello: come col fanciullino nudo di Ode all'amore, il volto quanto mai à la page e guglielmino, quasi fotografico, ma già gravato di orpelli mitologici: la faretra che nasconde ogni vergogna e lo stemma dal cuore trafitto portato come una brocca alla Ingres. Qualcosa che oggi può apparirci stridentemente Kitsch, ma che allora deve aver rappresentato una sorpresa ottica non indifferente. Subito sovrapponendo a quel primo impianto glabro, d'affresco, alla Puvis de Chavannes, una materia pesante come un obice, impastata e violenta, d'un fango barbaro che ha il sapore acre dell'oro bizantino degradato, da cui avrebbero pescato voluttuosamente gli eredi meno prevedibili, Soutine, Varlin e forse persino Permeke. Il 1889, l'anno del passaggio all'olio, è un anno di grande creatività e di gestazione feconda dell'immaginario: ma già si annunziano i temi classici di Von Stuck, a metà tra Eros & Pathos (questo il titolo della mostra), tra grondante peccaminosità ed erotismo paganeggiante. Una pittura a metà: come del resto tematizzano le sue figure doppie, sfregiate dal turbamento androgino, centauri dal corpo belluino e il volto troppo umano, Amazzoni che spremono nella rabbia il sangue troppo rosso della loro mutilazione, già doppiata nella montuosità di bronzo e di ven¬ detta dello scudo: aggressivo seno di metallo. Del 1889 è anche il bellissimo, fosco e byroniano Inseguimento Selvaggio, che a noi potrebbe anche suggerire l'eco di un Previati incattivito e furente, con una sorta di beethoveniano Re degli Elfi che corre verso di noi quasi deformato dall'anamorfosi del terrore, in una sorta di equilibrio cascante mentre un diabolico cane dagli occhi di bragia avanza come in un effetto speciale contro lo spettatore mordendogli lo sguardo, che è il vero sostegno di quell'apocalittica prospettiva in crollo. Poi segue il periodo degli Stuck più riconoscibili, in cui le nascenti curve dell'araldica Art Nouveau (per esempio il bassorilievo scolpito della celebre ballerina Loie Fuller, cara anche a Cocteau) si sposano alla poetica per noi così dannunziana della battaglia tra fauni e centauri, appesantiti da patetiche zampe, che impacciano la loro sofferente umanità di perdenti. Rumori selvaggi di zoccoli, fulve capigliature di vergini traviate da trappole dionisiache, ondine che lottano per sopravvivere alla violenza fallica dei loro brutali compagni: ò la cultura darwiniana e weiningeriana della lotta tra i sessi, che si volge in fantasia pittorica. Con quel fiorire intorno di una natura stanca, impastata di fiati violetti come una bocca peccaminosa l'alba del dopo orgia, e cieli chiazzati di macchie di mosto, boeckliniane paludi arrossate dall'eros e profili di colline agitate da ectoplasmi, che già annunciano il cinema penitenziale di Bergman. Ma se nel viottolo allucinato di L'assassino, coll'omicida che fugge urlando ed il coltello in erezione sotto l'occhio ghignante di tre smunte Erinni par già di assaggiare i malumori di Munch, non bisogna dimenticare che Von Stuck è anche ricco di malizie ed ironia. Non sanno quel che le attende, quelle puberi Lolite che fanno cavalluccio sul peloso crinale del Centauro, mentre ben maliziose sono invece quelle ninfe che vanno a cavalcioni su un tronco, assolutamente sessuato. E che humour richard-straussiano in quel faunetto che deforma le gote per storpiare la sua Dissonanza al flauto di Pan, mentre il ferino mentore si tappa le orecchie offese con schizzinosità debussista. Con i suoi ritratti a profilo di medaglia in stile neo-pollaiolo, le sue cornici scolpite a l'orma di tempietto, la sua wagneriana utopia di Arte Globale, che lo fa scoprire anche come artefice di sensibili sculture e di eleganti mobili per la sua celebre Villa Stuck, tra castigatezze alla Loos ed eleganze Impero-egizie, Von Stuck è tutt'altro che un pittore pompier, d'arredamento alla Mackart, «stucchevole» come volevano far credere ai tempi di Savinio. De Chirico stesso gli deve moltissimo. E a dire la sua grandezza basterebbe quella geniale Crocifissione 1913, degna d'un Manet, col Cristo rembrandtiano corroso d'acquaragia sino a sembrare di graffite, e l'ombra già ghennita dal nero del peccato d'un Apostolo che trattiene il deliquio della Madonna quasi fosse una bluastra vestaglia svenuta. A cinquantanni egli è già celeberrimo: la tela dei festeggiamenti dei suoi allievi, il suo profilo fantasmatico al balcone di Villa Stuck ed un magma di fiaccole ai suoi piedi è un temibile presagio del nazismo incombente. (Viareo Vallerà «Crocifissione» di Franz von Stuck, 1913. in mostra ad Amsterdam

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