L'enigma dei moderati

L'enigma dei moderati IL SUPER-CENTRO L'enigma dei moderati L* INASPRIRSI della competizione elettorale sul centro illumina un altro degli innumerevoli paradossi di cui è intessuta la storia del nostro Paese. Per quarant'anni abbiamo vissuto sotto l'egemonia di un partito di centro incapace di condurre una politica di centro. Dopo terremoti referendari, elettorali e due legislature dimezzate, siamo ora giunti a una situazione in cui tutti si candidano a una politica di centro, senza che un partito di centro esista (non è né può essere la Lega) o si possa costituire con prospettive di successo. Con una legge elettorale maggioritaria e con due poli opposti robustamente presidiati, chi si schiera al centro, senza patti e desistenze, rischia di scomparire. Per comprendere il signficato di questo paradosso è necessaria qualche considerazione retrospettiva. Ingabbiata nella struttura del «pluralismo polarizzato», la de è passata dalla politica di centro-destra degli Anni 50 a quella successiva di centro-sinistra senza mai creare un vero centro politico. La gabbia costringeva infatti quel centro residuale non solo all'immobilità strategica, ma anche a una fondamentale ambiguità nella rappresentanza. La de è stata un partito che non ha mai voluto laichiarezza (secondo la massima «a cavai donato.. ») su chi fossero i suoi elettori (naturalmente i potentati lo sapevano benissimo). E i suoi elettori con discrezione hanno a lungo evitato di capire che cosa fosse davvero quel partito (votandolo col «naso tappato»). Più tardi questa commedia degli autoinganni si estese agli accordi consociativi e all'intero pentapartito con esiti ben noti. Si coniò allora la formula del «pluralismo centripeto», per sottolineare come alla polarizzazione si cercasse di porre rimedio con la costruzione di un centro inteso come «mercato politico»: un mercato governato da un vertice spartitorio, sbilanciato dalla consociazione. Ad esso si adattò un elettorato moderato, che aspirava a conciliare l'ordine con l'anomia del proprio «particulare», il mercato con l'ombrello delle provvidenze statali. Divenne così col tempo più vistosa l'anomalia che ci differenziava dai maggiori Paesi europei, quelli dove a decidere governabilità e alternanza erano stabili elettorati moderati, chiaramente identificabili nelle loro opzioni questa è l'identità del moderatismo - per la sicurezza, le riforme, la buona amministrazione, la legalità. Sarebbe retorico chiedersi se queste siano state le scelte anche dei moderati d'Italia: a ogni stagione di riforme si misero in I moto pesanti macchine corporaI tive, ogni passo verso una razio¬ nalizzazione dell'amministrazione fu ostacolato da interessi miopi, grandi e piccoli, alla legalità e alla trasparenza si preferì il particolarismo e il voto di scambio. Questi precedenti rendono necessaria e insieme delicata l'operazione al centro che l'attuale transizione politica deve condurre. E' bene, anzi è indispensabile, puntare sulla responsabilità dei moderati, sulla loro scelta di campo, ma è upportuno farlo senza addossare tutte le colpe del passato alla Costituzione e senza eccedere nel credito, mettendo nelle loro mani lo strumento di una democrazia «diretta» che sul lungo periodo potrebbe risultare destabilizzante. La prova della loro piena maturità politica, dopo tanti anni di qualunquistico disimpegno, i moderati di questo Paese la devono ancora dure. Dietro il tam-tam sulla riforma della Costituzione non è infatti difficile individuare un'altra mossa di quel gioco degli equivoci che ha avuto come oggetto i moderati. Nella proposta di una riforma in senso (semi) presidenziale del sistema ci sono una promessa e una lusinga a loro indirizzate. La promessa: solo quella riforma istituzionale garantirà l'efficienza e la stabilità, dunque la sicurezza, cui quei ceti ambiscono. La lusinga: solo optando per la riforma essi potranno mostrare di non essere conservatori ma innovatori. Nell'una e nell'altra vi è un inganno. Al Polo la cart.a presidenziale serve per dissimulare la sua fondamentale ambivalenza (Stato o mercato?) nei confronti dei moderati. Ma anche sul versante dell'Ulivo la carta della riforma sembra venir giocata come esca per i ceti medi, per superare il loro scetticismo nei confronti di quella che molti giudicano una strategia puramente difensiva e consen/atrice del centro-sinistra. Sembra qui mancare, anche ai moderati, la consapevolezza che la capacità d'innovazione del sistema-Italia si mostrerà meno a livello di leadership presidenziale e più nella razionalizzazione dei rapporti tra governo e parlamento, a livello locale e a livello di integrazione europea. E' tempo allora che nella campagna elettorale i partiti politici sciolgano davvero la loro ambiguità nei confronti di una porzione di elettorato troppo equivocamente lusingata nel corso della storia della repubblica. Ma è tempo altresì che i ceti moderati di questo Paese si guardino allo specchio e scelgano di rispondere con coraggio ad alcune fondamentali domande: da dove veniamo, chi siamo, che cosa vogliamo. Pier Paolo Portinaro " I

Persone citate: Pier Paolo Portinaro

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