Conrad, l'ultimo incubo del vecchio marinaio

Povero, solo e depresso: il genio non sogna più nelle lettere inedite pubblicate a Londra Povero, solo e depresso: il genio non sogna più nelle lettere inedite pubblicate a Londra Conrad, l'ultimo incubo del vecchio marinaio SLONDRA UL triangolo ossuto della faccia di Joseph Conrad si leggeva ormai l'impazien—J za di buttare la penna fuoribordo: «L'odio per lo scrivere cresce in me giorno dopo giorno». Il vecchio marinaio non riusciva più a nascondere le ricadute di inerzia creativa, lo preoccupazioni finanziarie, l'angoscia perii figlio al fronte: il difficile giro di boa dei cinquant'anni spiegazzò la sua anima come una vela frusta. La crisi di mezza età di Conrad non era mai venuta fuori con tanta turbolenza. «Vittoria sta riscuotendo un grande successo, sembra - confidava lo scrittore al collega Ford Madox Ford -. Sicuramente e letteralmente non mi importa un accidente se lo avrà o no. E' troppo tempo che sto a questo gioco e ne ho la nausea più completa». Eppure quell'ostentata indifferenza non gli aveva fatto perdere il senso del proprio valore: «Credo che Vittoria potrebbe fare da libretto a un'opera di Puccini», suggeriva al suo agente. Sono stralci inediti tratti dal quinto volume dell'epistolario completo del romanziere, imminente in Inghilterra presso Cambridge University Press. Le 700 pagine del tomo curato da Frederick R. Karl e Laurence Davies sono la cronaca, in massima parte pubblicata per la prima volta, di quegli anni difficili tra il 1912 e il 1916. Contengono lettere a Henry James e Edith Wharton, all'agente letterario J. B. Pinker (angelo custode anche di D. H. Lawrence) e riordinano la corrispondenza con André Gide. Benché sfiancato dai dubbi artistici e dalla gotta, Conrad sapeva di dover stringere i denti per mantenere la famiglia. «Tutto ciò che devo faro è andare avanti; e quando guardo i miei ragazzi mi viene l'orrore. Non che avessi mai sognato di far fortuna, ma vorrei lasciare loro qualcosa per completare la loro istruzione annotava mestamente nel 1913 -. La mia pensione "per meriti letterari" (100 sterline) probabil- mente passerà a mia moglie. Quanto basta por non morire di fame, e ho 1600 sterline di assicurazione sulla vita. Voilà tout. Non c'è molto da mettere in mostra dopo 16 anni di assidua scrittura». Pinker, sempre disponibile a prestiti estemporanei, si vedeva talora recapitare implorazioni: «Mi sento più bisognoso di un derviscio ululante. Mandami un altro assegno». La prostrazione di Conrad emerge con un'onestà commovente: «Sono troppo demoralizzato per comportarmi gentilmente o anche solo decentemente», si lamentava con gli intimi. Con Henry James vuotò umilmente il sacco: «Mio caro Maestro, non ho scritto dieci pagine dallo scorso novembre. Quando sono commosso, divento muto. Il che è assurdo per un uomo di lettere, ma io sono complessivamente un'assurdità». Alla «cara Madame e confratello» Edith Wharton confessava: «Dopo 16 anni del più doloroso scribacchiare vivo ancora alla giornata con la penna». Gli attacchi depressivi precedevano periodi di energia compulsiva. La decisione di incatenarsi alla scrivania segnalava che il genio febbrile di Conrad era di nuovo al lavoro. In questi anni, nonostante tutte quelle sofferte false partenze, lo scrittore completò Caso e sfornò Vittoria e La linea d'ombra. Certo non gli giovavano le tensioni coji il suo editore inglese Methuen che avrebbe voluto romanzi più lunghi e di argomento marinaro. «Secondo voi ho tradito le vostre aspettative. La sola idea di pubblicare presso di voi una mia opera mi ò diventata estremamente disgustosa», ruggiva Conrad, minacciando: «Sono pronto a rompere immediatamente i rapporti». E ancora: «Non scodello romanzi dalle maniche. Avete rifiutato un volume di 3 racconti che non avrei avuto la minima difficoltà a piazzare altrove». Henry James aveva fatto bene ad avvertire Lady Ottoline Morrell, patrona del gruppo di Bloomsbury, che Conrad ora rimasto un marinaio sgraziato in società. Quell'uomo irsuto e intenso aveva la tendenza alla mi¬ santropia: (Adesso vado bene soltanto per i vecchi amici. Per il resto, aspiro all'isolamento e o'ia santità di un grande Lama». Recluso volontario nella sua casa di campagna, Conrad era facilmente scocciato da chiunque venisse a fargli visita, foss'anche il più illustre filosofo dell'epoca: «Prevedo di finire la storia domani, anche se Bertrand Russell viene a pranzo - e vorrei tanto che non venisse», annotò ringhioso. E' comico confrontare queste righe con la lettera indirizzata allo stesso Russell qualche giorno dopo, a proposito dei suoi Saggi filosofici: «Si può solo accettarli in silenzio come un dono degli dèi». Dal novero dei seccatori era escluso il venerato André Gide, un habitué di Capei House, dove una volta si presentò con un Meccano por i bambini Conrad. «Il solo calore umano che ho sentito quest'anno proviene da te, non esagero», gli scriveva affettuosamente Joseph, che a lui preferiva mostrare il suo lato migliore: «Sono un elemento costante su questa galera da 16 anni. Ho ancora 350 pagine da scrivere prima di posare i remi - la penna, intendo». Inediti scorci d'epoca: un manoscritto di Conrad in viaggio verso l'America per la promessa somma di 40 sterline all'ondato col Titanio («E non lo avevo assicurato. Dipendevo da quei soldi») e i tumulti delle suffragette che avevano spaccato le vetrine del West End: «E1 l'ultimo divertimento alla moda per signore. Molto energizzante». Anche Conrad andò a cercarsi uno «stimolante mentale» nel temerario viaggio in Polonia alla vigilia dello scoppio della grande guerra. Con l'occasione supero la riluttanza a uscire di casa, che gli aveva fatto scrivere: «Schivo la strada, il pensiero di un viaggio a Londra mi fa tremare». Eppure torno in Inghilterra prosciugato di sogni, (irave per un artista che diceva: «Ha ragione quel critico convinto che Conrad sia essenzialmente un sognatore». Al capitano di un tempo sembrava ormai di navigare in tondo. Maria Chiara Bonazzi Da sinistra, André Gide e Henry James, amici e corrispondenti di Conrad «Odio scrivere»: da James a Gide, lo scrittore confessa la sua crisi della mezza età Capel House, 30 agosto 1912 . Mio caro Reynolds, non sono stato molto bene e persino più paralizzato mentalmente che fisicamente. Devo attraversare questi perìodi di depressione- evidentemente non c'è cura. (...) Quanto allo scrivere, la minima cosa mi fa passare la voglia. A malapena mi costringo a scrivere quel tanto che basta per tenere insieme corpo e anima. Anzi, non ci riesco. Non ho fatto praticamente nulla dal maggio scorso. IV spaventoso. (...) Adesso sono troppo depresso per aggiungere alcunché. Chi vuol essere mio amico deve avere un 'inesauribile riserva di perdono. J. Conrad Joseph Conrad visto da Levine. Sotto, Bertrand Russell: «Vorrei tanto che domani non venisse a pranzo», annotò l'autore della «Linea d'ombra»

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