No alla Repubblica: dall'Australia un regalo a Elisabetta di Fabio Galvano

No allo Repubblica: dall'Australia un regalo a Elisabetta «Carlo indegno di essere re» REALI INGLESI * Tracollo elettorale per il primo ministro Keating: un politico che i sondaggi definiscono «il meno amato del dopoguerra» No allo Repubblica: dall'Australia un regalo a Elisabetta Le urne bocciano i laboristi (che volevano un referendum) al potere da 13 anni LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE In Inghilterra l'immagine reale sarà anche in crisi, ma nelle antiche colonie monarchia è bello. Abbastanza da contribuire in modo decisivo al rovescio, nelle elezioni che si sono svolte ieri in Australia, del primo ministro Paul Keating e del governo laburista al potere da 13 anni. Ha perso l'uomo che per puntellare la propria posizione aveva giocato la carta delle promesse repubblicane e di un referendum per affrancare il colosso degli antipodi dalla regina Elisabetta e dalla corona britannica. Ha vinto John Howard, leader di una coalizione di liberali e nazionalisti, che aveva relegato la questione monarchica in secondo piano rispetto ai veri problemi dell'Australia, e che non ha nessuna fretta (e probabilmente nessuna intenzione) di decapitare sui francobolli un'Elisabetta ormai rassegnata al peggio. Quello che doveva essere il leit-motiv del sesto governo laborista - la nascita della repubblica australiana - affonda cosi nel mare di un tracollo elettorale che non lascia dubbi sui sentimenti popolari. Con l'80 percento dei voti contati, si delinea una maggioranza dell'alleanza conservatrice di 90 seggi a 46, in un Parlamento che ne conta 148. Un margine netto, che richiede e che ha - altre spiegazioni al di la della questione monarchica: l'arroganza dì Keating, die sul piano personale è stato forse il politico meno amato del dopoguerra; un desiderio di tornare alla beatificazione dei valori familiari, a un'Australia «comoda e rilassata»; l'esigenza di favorire la crescita commerciale attraverso un maggior controllo «alla Maggie Thatelier» dei sindacati, che avevano invece assunto un importante molo sotto i laboristi. Ma dietro ogni altra questio- ne, puntuale e così difficile da cancellare, rispuntava sempre quel tema così appassionante del futuro istituzionale. Nel giubilo per la vittoria di Howard, come nell'autopsia laborista della sconfìtta di Keating, si tende in queste ore a smi¬ nuire il peso della regina sul risultato. E' forse inevitabile che nel momento di una clamorosa svolta politica l'Australia cerchi di anteporre se stessa al dibattito su legami in crisi fin da quando, nell'ultima guerra, Canberra si sentì abbandonata da Londra di fronte all'avanzata giapponese nel Pacifico. Ma dalla restaurazione liberal-nazionalista anche la monarchia potrebbe trarre beneficio; come ne trae dalla constatazione che non esiste non in questo momento - una maggioranza repubblicana. Keating, di origine irlandese, ha orrore della monarchia. E aveva promesso, in caso di vittoria, un referendum per creare la repubblica in tempo per le celebrazioni del Millennio. Howard invece si era impegnato a rallentare quel processo, proponendo un lungo e tedioso processo nel quale una Convention (una sorta di assemblea costituente) formata da politici e australiani illustri avrà il compito di esaminare le varie opzioni. Qualcuno dice che il programma di Howard sembra fatto su misura per insabbiare le aspirazioni repubblicane, tanto più che il suo alleato di coalizione - il nazionalista Tini Fisher, futuro vice premier - è monarchico senza reticenze. Fisher ò di quegli australiani convinti che «God Save the Queen» non debba mai essere sostituito da «Waltzing Matilda» o da altri inni australiani; che la bandiera deve rimanere com'è, con l'Union Jack britannica nell'angolino alto; che il vero motto negli immensi spazi dell'outback, dove fra una fattoria e l'altra si va in aereo, sia tuttora «Dio e Regina». Né si vede, per ora, chi possa raccogliere il testimone repubblicano che Keating, abbandonando la politica dopo la mazzata elettorale, ha lasciato cadere. Fabio Galvano II leader vittorioso, John Howard

Luoghi citati: Australia, Canberra, Inghilterra, Londra