DIRE LA VERITÀ' DAI GRECI A GOETHE

DIRE LA VERITÀ' DAI GRECI A GOETHE DIRE LA VERITÀ' DAI GRECI A GOETHE Giorgio Bàrberi Squarotti TU l'hai detto: io sono re - dichiara Gesù dinanzi al tribunale di Pilato -. Per questo sono nato e per questo sono venuto al mondo, per rendere testimonianza alla verità: chiunque ama la verità, ascolta la mia voce». Allora Pilato chiede: «Che cosa è la verità?». Poi s'interrompe, per annunziare al popolo che non trova motivi di accusa contro quell'uomo. E così la risposta di Gesù non viene. Perché? Lo svolgersi dell'azione, che improvvisamente muta scenario, spiega la sospensiva. Ma si può ben pensare che Gesù non si affrettasse a rispondere, per due buoni motivi: perché aveva già esaurientemente risposto durante il discorso dell'Ultima Cena, quando aveva detto agli Apostoli «Io sono la via e la verità e la vita»; e perché dubitava che Pilato avrebbe mai potuto comprenderlo. In ogni caso, nel pensiero più volte dichiarato di Gesù, la verità equivale alla libertà: libertà dal peccato, che rende l'uomo schiavo del demonio. Seguitando a parlare ai suoi discepoli, Gesù li rassicura che Dio abita in loro. Lo Spirito Santo, che egli e il Padre invieranno dal cielo, li conforterà e insegnerà loro tutto quanto dovranno conoscere nel mondo: «Io lascio a voi la pace, vi dò la mia pace». In queste parole di alta drammaticità il culto del vero raggiunge la maggiore altezza che gli sia propria nel mondo antico. Ma da quanto e come si parlava di verità, e cosa si intendeva per essa nel mondo pagano, prima della predicazione di Gesù? Il quesito è posto in apertura all'affascinante libretto che Margherita Guarducci dedica all'argomento {Verità, meditazione, esperienze, documenti in tempi antichi e recenti, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, pp. 80, L. 20.000). I Greci avevano una parola molto significativa per indicare la «verità»: alétheia. Essa deriva, conia iniziale che indica l'opposizione, dal verbo lanthànein, «nascondere»:'è, dunque, ciò che non si nasconde ma si manifesta liberamente, è la chiarezza e la Eresenza contro l'oscurità e l'olio. Questi valori corrono lungo tutto il paganesimo greco e poi romano, dove spesso Alétheia prende l'iniziale maiuscola, cioè viene personalizzata in un essere divino; e altrettanto accade per Veritas, il nome latino che le corrisponde. Si aggiunga l'aggettivo che spesso l'accompagna, «nuda»: tale deve essere la verità, senza coperture inutili o fuorvianti. Ed ecco una serie di detti antichi che chiariscono, e illuminano, il significato della verità. Aulo Gellio, scrivendo nel n secolo d.C, afferma di aver appreso da un antico poeta che la Verità è figlia del Tempo: il che vuol dire che prima o poi essa emerge, come del resto insegna il detto popolare «La verità viene sempre a galla». Grazi e Plinio dicono che nel vino sta la verità, anticipando il proverbio medievale In vino veritas: perché, quando non vi sono inibizioni, il falso recede e l'uomo si esprime spontaneamente. i ri dl d ri p pTra i pensatori del mondo cristiano, Sant'Agostino afferma che la verità coincide con Dio, la luce che illumina ogni uomo. Dante parla della verità con «rettitudine della mente», «lume di sapienza». E Petrarca, riprendendo S. Agostino: «Noi parliamo davanti agli occhi della Verità amica della Semplicità, odiatrice di ogni artificio». O ancora: «Il Cielo e la Terra andranno sossopra, cadranno le stelle del firmamento, gli elementi concordi si metteranno in discordia prima che sia bugiardo il giudizio della Verità, alla quale è rimesso il giudicare». Al filone letterario si affianca quello artistico. Chi non conosce a Roma la «Bocca della Verità», una grande maschera marmorea nella chiesa di S. Maria in Cosmedin dalla cui bocca aperta, secondo la tradizione, la mano degli spergiuri veniva morsa, mentre quella dei veritieri usciva indenne? Poi, fra il Quattrocento e il Seicento, l'arte figurativa riproduce spesso sia la Verità nuda sia la Verità figlia del Tempo, dando immagine agli antichi concetti: dal Botticelli a Palma il Giovane, dal Domenichino al Bernini, da Poussin a Merson e a Lefebvre. Nell'età moderna, una definizione efficace è quella di Goethe: rio, al servizio della verità. C'è, anzitutto, il commosso ricordo del maestro Gaetano De Sanctis, grande storico e uomo di profonda fede. C'è, poi, la strordinaria impresa degli scavi sotto la Basilica Vaticana, con il riconoscimento delle reliquie di S. Pietro e la decisione presa dal papa Pio XII, in coraggioso omaggio alla verità, di riconoscere e di annunziare al mondo la scoperta. Infine, e ne rimarranno colpiti i lettori, c'è una riflessione sui difetti del mondo contemporaneo per mancato rispetto della verità: «La verità è una fiaccola, ma una fiaccola enorme. Perciò tutti noi cerchiamo di passarle vicino solo ad occhi socchiusi e perfino con la paura di essere bruciati». Quindi, con il sorgere della scienza nell'Ottocento, la Verità ne diviene il simbolo: «Cercarla, combattere per essa riempie la nostra vita dice Wilamowitz -. Ogni tentativo di turbare la Verità da parte della scienza... è per noi un tradimento». Quanto alla Chiesa, Leone XIII è esplicito: «Nulla v'è che si possa temere per la Chiesa dalla ricerca del vero». A questo punto, il discorso di Margherita Guarducci si fa più personale, riflette una lunga vita trascorsa, con impegno e sacrifi- la pubblicistica in cerca del sensazionale a ogni costo, la cultura troppo spesso incline alla superbia, o al guai? .mo, o alla pavidità (che passo delizioso, quello dedicato agli studiosi definiti «conigli disonesti»!). Conclude il discorso un richiamo all'enciclica Veritatis splendor, che quasi emblematicamente sintetizza, nel suo titolo, il valore essenziale della verità. L'autrice, del resto, ne aveva anticipata la funzione purificatrice e consolatrice: «Spero soprattutto che queste riflessioni sulla verità procurino anche ad altri il conforto che hanno procurato a me». Sabatino Moscati IA fine del '95 ha regalato ai lettori due opere «francescane»: la biografia del Santo a cura di Chiara Frugoni, medievalista che già a più riprese si è occupata di San Francesco {Vita di un uomo: Francesco di Assisi, Einaudi, pp. 164, L. 24.000), e l'opera completa del Santo con l'aggiunta della Leggenda Maggiore di San Bonaventura da Bagnorea e i Fioretti {San Francesco. Gli scritti e la Leggenda, a cura di M. Scotti, Salerno Editrice, pp. 790, s. i. p.), un'edizione preziosa per la veste e prestigiosa per apparato critico. Le due opere, per febee avventura, sono complementari. Mario Scotti sottolinea nella sua introduzione che gli studi fioriti negli ultimi decenni intorno alla figura del Santo non nascono come quelli ottocenteschi da fini apologetici o agiografici, e neppure da intenti estetizzanti, quali potevano piacere a Pascoli o D'Annunzio, ma da una volontà di ricerca storica sul personaggio e da una esigenza di collocazione letteraria della sua opera. La Frugoni intitola infatti il suo libro Vita di un uomo, indirizzando subito l'interesse sulla complessa umanità di Francesco, spesso contraddittoria, sulla prima giovinezza spensierata e brillante nella società bene di Assisi, sulle velleità militari che lo videro partecipare alla guerra contro Perugia, dove rimase un anno prigioniero e ne tornò a casa gravemente malato. Fu durante la malattia che lo colse la prima crisi spirituale che mutò poi drasticamente la sua vita. Uomo fantasioso e bizzarro, ebbe per qualche tempo come modello di vita romanzi cortesi letti in Francia, Lanzelet e Cligès, che avrebbe amato sempre, an-

Luoghi citati: Assisi, Francia, Lanzelet, Merson, Perugia, Roma, Salerno