PICCOLI INFERNI ASPETTANDO I TRENI

Appena usciti Appena usciti Douglas Adams L'investigatore olistico Dirle Gently Feltrinelli, pp. 242, L 27.000 L'olismo è, per gli epistemologi, la teoria secondo la quale un organismo deve essere studiato e compreso come un tutto e non una semplice somma di parti: il punto determinante è quindi l'interconnessione. Proprio questa è la sfida del singolare detective di Adams (già autore di Guida galattica per autostoppisti), qui alle prese con un ragazzo mago di computer, un Monaco Elettrico, un'abbuffata di pizza, il poeta Coleridge e naturalmente un cadavere. Humour britannico, rompicapo alla Lewis Carroll, melanconia alla Marlowe: il tutto piacevolmente interconnesso. Traduzione di Andrea Buzzi Lawrence Durrell Il libro nero Cuanda. pp. 248, L 26.000 «Una scarica di pugni in faccia alla letteratura, da parte di un giovane arrabbiato»: così Durrell, futuro scrittore del Quartetto di Alessandria, ricordava la sua opera prima. «Fu per me una selvaggia lotta condotta in nome della scoperta di me stesso... Nacque da un lungo periodo di disperazione... A 24 anni non è raro vedere tutto nero». Tema conduttore l'ossessione sessuale come filtro grottesco della psicologia anglosassone. Il romanzo piacque a Henry Miller, Eliot e Cyril Connor. Uscì nel '38 in Francia e solo vent'anni dopo in Inghilterra. Traduzione di Ugo Tolomei. Mahasweta Devi La cattura Theoria, pp. I83, L 26.000 Le gesta di un umile gregario di partito, Kali Santra. Come sfondo, le lotte tra latifondisti e mezzadri, tra naxaliti ed esercito, con un partito di sinistra spesso in combutta col governo. Il romanzo della maggiore scrittrice bengalese è stato tradotto da Federica Oddera Lanfranchi insieme a Babli Moitra Saraf. Nota di Paolo Bertinetti. Furio Jesi Lettura del «Bateau ivre» Quodlibet, pp. 46, L 12.000 Un saggio sul «Bateau ivre» di Rimbaud, per la penna di Furio Jesi, lo studioso del «mito» prematuramente scomparso nel 1980. Introdotta da Giorgio Agamben, con una nota di Andrea Cavalletti, questa riflessione è fra gli ultimi titoli della casa editrice marchigiana. Con La fine delpoema di Giorgio Agamben e Scottature di Dolores Prato, scampoli autobiografici della scrittrice rivelata da Einaudi {Giù la piazza non c'è nessuno). Mario Bruno Donne Boemi-Prampolini pp. 176. L 24.000 • Antologia di 28 brevi racconti: «eros, intrigo, amore», ritratti femminili di passioni e sensualità, cronache piccanti e spregiudicati bozzetti con qualche rimembranza brancatiana nei comprimari maschili. L'autore è catanese, giornalista e drammaturgo. LA VITA IN PENOMBRA DEL DUCA EMANUEL Gina Lagorio: «Il bastardo», un Savoia ignoto CINQUE anni fa Gina Lagorio pubblicò da Mondadori un romanzo storico, Tra le mura stellate, nato e respirato nell'aria di Cherasco, la cittadina cuneese alla confluenza di Tanaro e Stura che domina dal suo belvedere il panorama circostante delle Langhe. Ora da Rizzoli torna alle pietre cheraschesi con un nuovo romanzo storico, Il bastardo ovvero gli amori, i travagli e le lacrime di Don Emanuel di Savoia, che può ben disporsi sulla scia del primo. Aspirante storica quale si professa in una delle frequenti postille, la scrittrice ha inseguito le tracce di una figura in ombra, che cerca di sottrarre al silenzio e all'oblio. Il «nostro eroe» non è dunque personaggio che s'accampi con tutta evidenza, e non ha nemmeno le renitenze forti di una vocazione che diventa fermezza, l'energia di chi sa trasformare il caso in destino. Del resto non si può diventare se non ciò che si è, come suona - liberamente tradotto l'esergo erasmiano del romanzo, una vera e propria chiave di lettura. Don Emanuel di Savoia, figlio naturale di Carlo Emanuele I, nato dagli amori del duca «Testa di fuoco» (il rimevole Cloridoro) per la timida e docile Louise dille iridi celesti, incontrai .1 castello dei Duyn «a specuiiio del lago d'An-* necy», è aula razza di quelli che trasformano la rinuncia e l'esilio in altrettante «uscite di sicurezza». La narrazione insegue il suo personaggio e ne spia gli «incontri coatti con la storia collettiva», decifrando pieghe' e risvolti di gesti e di parole. ;:' In fitti décalages temporali Carlo Emanuele I, «Testa di fuoco», il jxidre del «Bastardo» il passato affiora per flussi di memoria («una delle poche grazie concesse agli uomini, forse la sola») nell'unica possibile stabilità, che è quella di una narrazione lenta e meditativa. Ma la storia resta il fondale di un inseguimento diretto soprattutto ai movimenti interiori di un protagonista suo malgrado. Avvolto nel suo guscio di autoassoluzione lui resta remoto, nonostante ogni tentativo di avvicinamento. Nemmeno lo scenario, che pure è grandioso, si sottrae a un'impressione di angustia. Dopo le magnifiche imprese di Carlo Emanuele I, traboccanti di fasto e temerarietà, la guerra dei Trent'anni disegna geometrie che le tante battàglie e le tante paci precarie sconvolgono e cancellano. Mentre sullo scacchiere europeo il ducato dei Savoia, diviso tra filofrancesi e ispanofili, tra la reggente Cristina di Francia, figlia di re Francesco I, o i due cognati, Tomaso e il cardinal Maurizio, dà segni vistosi di una stanchezza fatta di beghe ereditarie e di intrighi di corte. E di stanchezze è venato il malinconico profilo di don Emanuel. Lui, il bastardo devoto e modesto, «sempre in penombra a raccogliere indirettamente un riflesso della gran luce paterna», è fragile, vulnerabile, contemplativo. E' mite, ma come spesso i miti, collerico. Ama la musica, la caccia, la lettura, la bellezza. Ma è in cronico difetto di denaro. Si strugge sul senso degli oggetti - unica spia di continuità - e sul sentimento del tempo che inesorabilmente trascorre. La sua fragilità nasce congiunta all'intenso e struggente legame con una madre rimasta un po' sempre bambina, la sua malinconia si alimenta di ricordi, sogni, presentimenti, compianti, ripugnanze, rossori, desideri amorosi. La sua «diversità», poi, che gli vale diffidenze e cattiverie, conosce più sofferenza che gioia: qualche rassicurante tenerezza sensuale con il fidato staffiere e amico Giovan Battista Cossa, detto il Vercellone, e addirittura l'abiezione con l'infedele Bernard, il teatrante seduttore e rapinoso che finisce piagato dalla sifilide. Fantasie, nostalgie, esitazioni, rivissute nella prossimità di una terza persona innamorata con cui Gina Lagorio corrisponde al detto di Marziale citato nel corso della narrazione. Il miglior modo di godere del passato non è forse quello di raccontarlo? Giovanni Tesio Gina Lagorio Il bastardo Rizzoli pp. 336. L 30.000 PICCOLI INFERNI ASPETTANDO I TRENI NA stazione di provincia, anonima, «calpestata da treni sgangherati, sovrastata da un cielo sempre uguale», frequentata da drogati, barboni, puttane, trave'U stiti. E' questo l'am^-feat/ biente del romanzo d'esordio di Giancarlo Marinelli, ventiduenne vicentino. L'io narrante di Amori in stazione si chiama Charli, studia legge, sta scrivendo un film su un fiume e un pescatore pieno di sogni e sogna Pasolini che fa esplodere i treni. Insofferente della normalità «becera e squallida)), si trova bene tra i disperati delle stazioni, è attratto dall'umanità alla deriva, dagli emarginati dalla vita. L'incipit ha un bel ritmo: «Linda era il mio angelo epilettico. Linda era bellissima. Faceva i croissant imbottiti di marmellata al bar della stazione dalle sette del mattino alle due di notte. Scopavamo due tre ore al giorno nel suo appartamento tra gli sputi del nonno rincoglionito dal tabacco d'esportazione e l'odore della ruggine cresciuta tra le porte di ferro». Ma poi si ha l'impressione di una certa meccanicità, come di una lezione imparata a memoria, svolta con un linguaggio abile, tendente però a un lirismo eccessivo, giocato tutto tra rabbia e sentimentalismo. «Per raccontare non è sempre necessario il senso. Soprattutto quando devi riempire pagine strazianti per convincere un editore di merda che meno capisce e più ti crede un genio», scrive Marinelli. E' questo l'imbuto in cui si è cacciato lo scrittore esordiente, un imbuto che fotografa in marnerà esemplare la situazione di tanti altri suoi fratelli di penna, affetti da un giovanilismo di maniera che pare la fotocopia del minimalismo americano degli Anni Ottanta. Questo Charli, poeta dallo sguardo triste che ama le prostitute come angeli di pena, da Mimi la negra a Tami la slava, sembra un maudit scapigliato meno ribelle e più povero di storie da raccontare. Qualche piccola storia c'è, più patetica che trasgressiva: Gildo, lo scemo di provincia che ha un tumore, piange la morte di Scirea e s'innamora di una prostituta, sua madre Maria, malata di Aids e sepolta al cimitero con «niente foto ricordo, fiori rubati, tre persone», Zabor, il protettore violento che viene ucciso, Linda, la cameriera epilettica del bar di cui s'innamora Charli. Le avventure misere e scontate di questo antieroe, seduto su una panchina a guardare la vita che scorre, girano a vuoto nel cercare di cogliere il senso dei suoi «anni zingari», di catturare «il destino di questo camminare stanchi, di questo sentirsi travolti, di questo godere alla giornata, di questo ricordarsi sempre, di questo cercarsi sempre». Per raccontare la realtà di questo inferno, di questo «caos indecifrabile» sarebbe stata necessaria una maggior forza e precisione di immagini, uno stile «improntato a un trasgressivo realismo di linguaggio e ambientazione», che non è quello di Marinelli, come invece afferma il risvolto di copertina. Massimo Romàno Giancarlo Marinelli Amori in stazione Cuanda pp. 123, L. 18.000 UN COMANDO TROPPO FRAGILE Le generazioni di Rocco Carbone CHISSÀ' perché ci si aspetta ogni volta, da scrittori anagraficamente implumi, un'overdose narrativa generazionale di quelle che strappino alla grande il cordone ombelicale dei tanto vituperati «maestri». A morte Tizio, illeggibile Caio, improponibile Sempronio. Le nuove generazioni si fanno largo soprattutto a suon di polemicucce che spesso rubano spazio sui giornali alla promozione di qualche autore «vero»; e francamente, per dirla alla uomo di strada, con tutti i problemi che «c'abbiamo» in Italia... Non volete rileggere Cassola e Moravia? Fatti vostri. Almeno saltasse fuori qualche trentenne o giù di lì a sbattere in faccia alle polemiche gli «indifferenti» di fine millennio o anche solo una «ragazza di Buie» proiettata nel rischiosissimo mondo del - sabato sera post-discoteca, assai più infingardo e temibile di qualche pallottola nazista vagante. Invece ci ritroviamo spesso in mano il compitino diligente di qualche nuovo alunno, subito incasellato nell'ambiente asettico della classe di coetanei, attento a non rischiare il minimo fraseggio personale per non venir costretto a faticosi corsi di recupero quando non cacciato. Ce lo immaginiamo anche, col sorriso del bravo ragazzo leccato di gel, a consegnare il suo tema con mani fiduciose al professore, che lo inserisce nel suo catalogo di promozioni modeste ma sicure, e già lo fotografa in un dignitoso futuro impiegatizio di secondo piano. L'alunno Rocco Carbone ci ammanisce un medico di mezza età che torna sui soliti luoghi del passato per il solito funerale dell'amica di gioventù, Edith, morta a Parigi da sola e cremata nel cimitero della città d'origine. H protagonista saluta parenti e amici, annusa i ricordi, conosce Lidia, la sorellastra diciottenne di Edith. Lidia è una ragazza sensibile, suona con bravura il violoncello, sembra sfiorare la vita con la sua dolcezza. Un giorno, quando è tornato alla sua vita d'ospedale e di famiglia con la moglie Nora, il narratore se la vede arrivare in visita, e già sente che rimarrà lì con loro a lungo. Il medico si occupa di pazienti affetti - ci par di capire - dal morbo di Alzheimer, seguendo gli stadi devastanti della malattia fino all'ultima vergogna. Si occupa, soprattutto, del professor Logoteta, illustre e coltissimo sinologo retrocesso pian piano ad una infanzia smemorata, col quale instaura - quando la mente malata dell'uomo lo consente - un intelligente rapporto di fiduciosa amicizia. Lidia vuol conoscere Logoteta, lo va a trovare, suona per lui, riesce quasi - chissà poi come - a farlo riprendere dal suo stato di condannato a morte. In seguito la ragazza insiste perché il medico si rechi con lei a Parigi, per mettere in ordine i ricordi di Edith e dare in affitto il suo alloggio. E a Parigi, ovviamente, dopo averla percorsa in tutti i soliti luoghi comuni turistico-sentimentali, Carbone infila i due a letto insieme, e non solo per dormire. Al ritorno da Parigi Lidia scompare. Il protagonista ci avverte d'aver finora seguito qualcosa come un comando - sennò il titolo che ci sta a fare? - quasi preso per mano da un ignoto destino. Lidia viene poi trovata morta suicida, anche se non ci è affatto chiaro il perché. Poco tempo dopo, la malattia vince anche su Logoteta, che lascia al suo amico, in una lettera d'addio, una lucida testimonianza sulla pochezza della vita. Diciamo che forse Carbone ha voluto mettere a confronto tre generazioni che per qualche istante si sono sfiorate; quella del vecchio e a suo tempo saggio Logoteta, quella sènza prospettive di futuro di Lidia arresa ai primi disagi, e quella di chi, arrivato ad occupare una posizione privilegiata nella vita, contempla gli errori del passato, non trova molte giustificazioni nel presente e se ne fa un baffo, tutto sommato, delle eventuali sorpresine dietro l'angolo del giorno appresso. Una storia di contatti umani possibili e probabili, non certo necessari; da qui, anche, quella sensazione di casualità un po' forzata con cui i personaggi instaurano rapporti senza eccessive motivazioni naturali. Lo stile? Bellamente colloquiale, giocato su toni ombrosi e vaghi, forte - questo sì - di una permanente nebulosità ovattata in cui Carbone fa muovere i personaggi in un'atmosfera provvisoria e significativamente indeterminata. A conti fatti, dunque, il romanzo si percorre volentieri. E' veloce, scorrevole, attento al lettore, propone un'ipotesi di vita, mette in dubbio il valore di un'umana ricerca di serenità. Ma basta davvero, tutto questo, per essere un nuovo narratore con pretese d'ascolto? Non è forse tipico dei giovani di sempre misurarsi in termini di attributi? E allora, vediamolo per davvero, il coraggio di mettersi in gioco, di farsi sentire nuovi, di lasciare un'impronta che fra trent'anni sia riconoscibile come l'impronta di questa, e solo questa, generazione. Qualcuno cacci un urlo, per favore. Sergio Pent Rocco Carbone Il comando Feltrinelli pp. 125. L 22.000 Ho visto Vespa, Santoro, Annunziata, Biagi, Fede, Costanzo... Hai provato a leggere? Norberto Bobbio DESTRA E SINISTRA Riponi e ^minili ili uni tliitiii/MMK* pollina Nw« . ,11;... i, .1. i .'. j i. i Hi .. i :, Sa«!Ì>i pp. xil-100, L. 16.000 pp. 512, rilegato, L. 60.000 STORIA DELLO STATO ITALIANO dall'Unità a oggi A cura di Raffaele Romanelli Romano Prodi GOVERNARE L'ITALIA Manifcato (ni il tamliiamcnlo Il fondaco di M H, pt/l pp. 80, L. 10.000 pp. Xll-144, L. 18.000 MARIO DEAGLIO Liberista? Liberale U » /rr fluii. M Amì Paolo Mores d'Arcais IL POPULISMO ITALIANO da Craxi a Lk-rlu x , Died Mill di • MiaiiMirjja- ll/uwii-uodi WmMr'pli pp. 120, L. 12.000 prossima pubblicazione pp. 120, L. 12.000 prossima pubblicazione Arturo Carlo Jemolo CHE COS'È LA COSTITUZIONE In inutili ione di tìtuuro ZafrebcUky

Luoghi citati: Alessandria, Cherasco, Francia, Inghilterra, Italia, Monaco, Parigi