Gli occhi di Abb su Ansaldo di Bruno Gianotti

Bene il '95 del gruppo svizzero-svedese: l'utile sale del 25% Gli occhi di Abb su Ansaldo Bene il '95 del gruppo svizzero-svedese: l'utile sale del 25% «Seprivatizza, l'Italia è un affare» VARSAVIA DAL NOSTRO INVIATO «Privatizzazioni? Noi dell'Abb non siamo troppo soddisfatti di come si sta muovendo l'Italia. Non ci sono molte opportunità, l'Ansaldo non è dietro l'angolo e Fabiani non ci risponderebbe di sì. Certo, se ci fosse una possibilità, la guarderemmo con moltavattenzione». Così parla Eberhard von Koerber, responsabile per l'Europa di Abb, il colosso svizzero-svedese che ieri ha annunciato a Varsavia (punto chiave per la sua strategia all'Est), risultati e profitti '95 da nababbi: frutto della diffusione delle sue attività in 428 stabilimenti sparsi in 43 Paesi, fatturato a 33.738 milioni di dollari (più 14 per cento sul '94), utile operativo a 3275 milioni di dollari (più 25 per cento), e soprattutto utile netto a 1315 milioni di dollari con un balzo del 73 per cento. A dimostrazione delle smaglianti condizioni di forma, Abb propone un dividendo di 411 milioni di dollari, oltre il 40 per cento più del '94. Un gigante come questo, che l'anno scorso ha realizzato con Daimler Benz la joint-venture del secolo nel settore dei trasporti, la Adtranz, sarebbe anche disposto ad aggiungere l'anello Ansaldo alla già lunga catena di aziende made in Italy. Ma aspetta: «Ansaldo può interessarci come altri settori, ma non vogliamo più scoprire le nostre carte: le mostreremo solo quando si potrà giocare». E Percy Barnevik, appena con¬ fermato al vertice di un consiglio d'amministrazione che ha ristrutturato tutta la stanza dei bottoni (con l'uscita dei settantenni co-presidenti Peter Wallebberg e David de Pury), ricorda le liti di cinque anni fa con Fabiani e ricorre alla metafora: «Ogni tanto sogno che quello che ho tentato di fare allora si possa fare adesso». Non lo spaventa certo la situazione politica (che giudica evidentemente migliore rispetto al 1990): «Rischio politico? Per me l'importante è il business: l'Italia è in perfetta forma, ha ricavato grandi opportunità dalla svalutazione che ha trainato l'export. Visto l'andamento dei nostri ordini?». Infatti. Bastano poche cifre: 36% di incre- mento, ordini per circa 4 mila miliardi, 12.500 occupati e linee preferenziali per Medio Oriente e Nord Africa: «L'impiantistica di Craparotta continuerà a fare grandi utili sui mercati arabi», aggiunge Barnevik che sarebbe febee di realizzare una rete diffusa di installazioni per l'impiantistica elettrica in un Paese che, ricorda, «oggi è il secondo mercato dopo la Germania». Alla base di tutto resta lo scoglio delle privatizzazioni italiane e dei sostegni all'esportazione. Ne parla von Koerber: «Molti che chiedono all'Est di privatizzare poi non lo fanno in patria. Ora l'Italia sarebbe un buon terreno: ha completato le ristrutturazioni industriali ed ha acquisito competitività premiata dall'ingresso su nuovi mercati, ma le agevolazioni Sace restano a livelli inferiori del passato, a differenza di altri Paesi che lo fanno con maggior successo». L'Italia insomma sarebbe un partner di primo piano per un'azienda «diffusa» come Abb, se riuscisse a coordinare il suo business. Come? Barnevik, rispondendo alle domande dei giornalisti, aveva già dato la sua soluzione: «Noi abbiamo ripartito i rischi, creato scudi alla instabilità politica. In Uzbekistan, ad esempio, lavoriamo con finanziamenti giapponesi e statunitensi. E abbiamo istituito un fondo di garanzia di 5 miliardi di dollari. Se, poi, una delle nostre 428 aziende va in crisi, pazienza non sarà la fine del mondo». Bruno Gianotti