L'opera perduta di Beethoven

Rivelata dall'amico Grillparzer L'opera perduta di Beethoven Rivelata dall'amico Grillparzer /\ IGNI cosa che riguardi un I | grande uomo è sempre I I interessante», scriveva 1 I Franz Grillparzer, il ->ZJ massimo drammaturgo austriaco vissuto tra il 1791 e il 1872, nei suoi Ricordi di Beethoven, ora pubblicati dalla SE insieme ad altri scritti sul musicista: orazioni funebri, liriche, epigrammi, pagine di diario, lettere in cui la figura del compositore appare con la sua presenza imperiosa di artista rivoluzionario, ammirato ma, anche, prudentemente temuto. Grillparzer lo conobbe personalmente e nei Ricordi, scritti nel 1844-'45, ne schizza il ritratto di uomo burbero, generoso e bizzarro. «Ho veramente amato Beethoven», confessa, ricordando la generosa impulsività dell'amico che un giorno, per difendere davanti ai giudici il padre ubriacone di una giovane e graziosa contadina, «trattò gli esimi consiglieri con tale violenza che corse il rischio di fare involontaria compagnia al suo protetto incarcerato». Un'altra volta, la madre di Grillparzer che abitava nell'appartamento accanto a quello di Beethoven si fermò sul pianerottolo per ascoltarlo suonare. «La cosa si ripetè alcune volte scrive il poeta quando un giorno, inaspettatamente, la porta di Beethoven si aprì, lui apparve, vide mia madre, tornò rapidamente sui suoi passi e, subito dopo, col cappello in testa, discese le scale, precipitandosi all'esterno. Da quel giorno non toccò più il pianoforte». L'imprudenza della madre di Grillparzer può dùnque esserci costata la perdita di un paio di sonate. C'è un grande mistero che aleggia nelle pagine di questi ricordi. Grillparzer aveva scritto un libretto per un'opera che Beethoven voleva musicare. Si era nel 1823, l'anno della Nona Sinfonia, e i due avevano scelto La bella Melusina, un dramma fiabesco con cori e balletti, ambientato nel Medioevo: probabilmente qualche cosa di molto adatto al gusto per l'espressione fantomatica e visionaria prediletta dal musicista nei suoi ultimi anni. Quando Grillparzer andò a trovarlo per domandargli notizie della composizione egli, indicandosi il petto, rispose: «Già vive qui: tra alcuni giorni mi trasferirò in campagna, ove intendo cominciar subito a comporta». E nel 1826 confermò al poeta: «La sua opera è pronta». Era pronta, verosimilmente, nella sua testa: ma nulla si trovò nei quaderni di appunti che potesse riferirsi al misterioso progetto. L'unico lavoro teatrale di Beethoven sarebbe quindi rimasto Il Fidelio. Ludwig van Bee hoven Grillparzer gli aveva proposto la Melusina dopo aver scartato un altro argomento di natura «semidiabolica»: non voleva infatti dare a Beethoven il pretesto di avvicinarsi ancora di più «agli estremi confini della musica, i quali, peraltro, erano per lui già incombenti e minacciosi come precipizi». Questo imbarazzo ci illumina non solo sul gusto musicale del poeta austriaco, fedele ad una estetica della forma, ma sull'effetto sconcertante che la musica di Beethoven, ispirata ad una nuova estetica dell'espressione, faceva ai contemporanei, soprattutto nell'ultimo periodo quando il suo modo di comporre si allontanò ih modo temerario dal modello di Haydn e di Mozart. Certamente, il genio di Beethoven abbagliava tutti per la sua grandezza: ma i lavori del secondo e, ancora di più, del terzo stile, sembravano ai più il frutto di un'avanguardia senza controllo. Per Grillparzer, cultore della forma classica, Beethoven era, insieme a Goethe, il massimo rappresentante dello spirito tedesco; ma, diversamente dal poeta, era pericolosamente esposto a rischiose cadute. I suoi continuatori, soprattutto, avrebbero ridotto la musica ad un «campo di battaglia dove il suono con l'arte e l'arte con il suono si affrontano in sanguinose guerre civili». Grillparzer amava paragonare i compositori del tempo ai giorni e agli oggetti della creazione del mondo: e se Cherubini èra per lui la luce, Haydn i monti, la scuola italiana erano uccelli di tutte le specie; se Albrechtsberger gli ricordava gli orsi, Girowetz i vermi che strisciano, e Mozart la comparsa dell'uomo, Beethoven era il caos. Immagine diffusa, questa, nella recezione beethoveniana del, primo Ottocento, ma costantemente unita all'ammirazione per la grandezza di un artista che, pur presentandosi come sovvertitore di ogni regola, era capace di insinuare negli ascoltatori sconcertati l'impressione che fossero davanti ad un vero titano. Tanto che lo stesso Grillparzer nella poesia scritta alla morte di Beethoven lo immagina mentre entra nell'Olimpo dei grandi accolto da Bach e Gluck, Haendel e Mozart, Shakespeare, Lope de Vega, Dante, Klopstock, Tasso. Solo i più tranquilli compositori italiani, in questa accolita di spiriti magni, appaiono intimiditi dal nuovo venuto: «Titubante è Cimarosa, / Paisiello non si azzarda, / pur a tratti rabbrividendo / i loro visi esprimono affetto...». Paolo Gallanti Ludwig van Beethoven

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