Tra ombelichi e automobili la moda sfila nello spot

19 Tra ombelichi e automobili la moda sfila nello spot Da domani in mostra a Milano quarant'anni di matrimoni pubblicità-eleganza L MILANO A moda sfila nello spot. Dai primi Caroselli che cinguettano con la seduzione di Mina, al tappo conficcato nel¬ l'ombelico di Naomi Campbell, l'abito, lo stile, le modelle hanno trovato complice ospitalità nei linguaggi della pubblicità. E da domani, a ModaMilano (nei padiglioni della Fiera, in viale Sarca) si potrà visitare una mostra dedicata a questo rapporto sotteso, strisciante, glamourizzante. Quarant'anni di pubblicità televisiva, raggruppata per decenni, affiancata da abiti storici (anche di atelier scomparsi) recuperati attraverso le sartorie teatrali e il Csac dell'università di Parma, da Federico Schubert alle Sorelle Fontana, da Simonetta a Walter Albini, da Mila Schòn a Irene Galitzine, da Missoni ad Armani, da Valentino a Gigli. La curiosa rassegna, che oscilla tra storia della comunicazione e vicende del costume, è curata da Boni zza Giordani Aragno, Sonia Perfetti, Antonio Canti, Lucia Milani. Si parte dagli Anni 50, dai meravigliosi caroselli. Quando attraverso il bianco-nero del teleschermo filtra la nuova immagine della donna, che cerca dignità e indipendenza dopo le umiliazioni della guerra. In questa porzione di tempo, la moda in pubblicità è allusa, mai presente in maniera diretta. Le immagini neo-romantiche, dalla linea a Y ai tailleurs, dai fantasiosi chemisier ai bustini steccati, tracimano nelle scenette. Spesso, però (e i caroselli lo sottolineano), la raffinatezza degli abiti è un iperuranio remoto, accessibile solo tramite il sogno, la fantasia. Nella realtà, si vive in perfetta autarchia domestica. La ragazza moderna deve arrangiarsi da sé, grazie ai cosmetici, e grazie soprattutto alle macchine per cucire. Nei gemali spot della Singer, al termine di eleganti défilé (con modelli di Veneziani, Dell'Antonio, collezioni di borse, abiti per vacanze montane con sciarpe di leopardo) viene suggerito che con l'economico marchingegno si può fare altrettanto bene. Copiando e lavorando di piede (per la gioia risparmiosa del marito Carotenuto, dissanguato dai broccati). La concorrente Necchi, con Franco Scandurra, illustra dotti affreschi sulla storia della moda, e conclude anch'essa ammonendo: «La vita scende, ma i prezzi degli abiti salgono». Mike Bongiorno, paladino dell'emancipazione femminile in stile americano, apre i guardaroba dei personàggi muliebri importanti. Quando capita nella casa dalla penalista Maria Bassino, scruta gli abiti accanto alla toga, poi regala una rara capretta nana dèi Tibet, e suggerisce prodotti Oréal. Le ricette per automigliorarsi piovono da ogni parte, grazie agli shampoo, alle creme, agli unguenti. Sandra Milo ne dispensa di straordinarie e civettuole a tutte le fidanzatine d'Italia, per la Palmolive; fa passare il motto che «vale la pena rendersi attraenti e carine», mentre i suoi abiti riecheggiano i modelli di Carosa o Simonetta. Trapelano dal teleschermo anche modelli di femminilità straniere, tipo Connie Francis (che canta per Permaflex) o Jane Mansfield (che seduce per il Biancosarti, abbigliata aderente, stile Sorelle Fontana). Mentre Mina (per Barilla) fa storia a sé, vestita dai suoi costumisti di fi- ducia Folco e Gherardi. Nei Sessanta, con un'Italia illusa dal boom, la moda è più presente in pubblicità, meno relegata al sogno, accanto a location fantasiose, che ribadiscono la vita dorata dei ricchi: teatri, ippodromi, feste in villa. La moda è simbolo di stato sociale: chi ha i mezzi economici può davvero essere elegante, dimenticando la casalinghitudine di ago e forbici. Mentre, in parallelo, l'immagine femminile abbandona l'etichetta in cerca di libertà. La donna non è solo angelo del focolare, ma sempre più lavoratrice indipendente. Col deodorante Rexona può scivolare «dal lavoro a una bella serata senza passare da casa; perché Rexona non ti pianta mai in asso». Alida Chelli può anche prendersi una vaga iniziativa sul maschio quando confessa: «Ho un debole per l'uomo in Lebole». Con lo Strega si carezza la grinta di Sylvie Vartan; con l'amaro Averna, compaiono le minigonne. Perché a ridosso del '68, il mondo femminile si spezza in due, tra conformismo e contestazione; tra i «colori» degli hippies e le donne efebo alla Twiggy o Veruska (abbigliate «etnico», simili a zingareìle, a fanciulle orientali). La Playtex spiega che la donna può indossare «18 ore» le confortevoli calze e sentirsi sempre a proprio agio. Mentre Malerba illustra le doti del «gambaletto midi pant» che arriva al polpaccio; o del collant speciale per pantaloni che si può indossare senza slip. Ma l'accenno alla biancheria non viene fatto, si può solo leggere sulla confezione inquadrata, perché l'intimo è ancora tabù. Bisognerà aspettare parecchio, prima che un trio di donne in carriera, in sempreverdi tailleur, magnifichino le doti di un assorbente. Ma è a partire dalla fine dei Settanta, che la moda abbraccia davvero la pubblicità, diventa linguaggio di massa. Le passerelle nutrono l'immaginario collettivo, cresce l'edonismo, vince l'apparenza. Ancora una volta gli stilisti non sono presenti direttamente (nel concedere i loro esclusivi modelli sono, giustamente, alquanto parchi); ma le loro collezioni ispirano inequivocabilmente gli abiti delle top reclutate per la pubblicità. E talvolta i costumisti degli spot, pur attenti ai budget, acquistano in boutique capi firmati. La serie Valtur che accenna ad abiti comodi ed eleganti, attinge ad Armani o Krizia. In una puntata di Chivas Regal, l'abito nero con or¬ ganza era stato creato l'anno prima da Ferrè. Accanto alla Volvo troviamo un vestito a veli sovrapposti partorito da Dolce e Gabbana. Una rutilante Sambuca Molinari è ispirata a Moschino. La donna in giallo di Ferrerò Rocher, col suo fido autista, fa pensare a Pucci. Anche il quotidiano dei crackers, degli yogurt, dei profumi (soprattutto questi), attinge, sugge, ruba, alle sfilate. La moda è fonte d'ispirazione privilegiata per costruire le immagini patinate dello spot moderno, condito da aggressivi occhiali solari, da abiti che avvolgono corpi perfetti. E l'ombelico dì Naomi (targata Versace) diventa il vero centro del mondo, del villaggio globale saprofita d'immagini e bellezza. Bruno Ventatoli Dai Caroselli in bianco e nero all'emancipazione del '68 all'invasione delle top model A sinistra l'ombelico di Naomi, simbolo della pubblicità Martini; qui sotto, Mina in un carosello Barilla Sandra Milo: come testimonial della Palmolive dispensava moderni consigli alle ragazze per migliorare il loro sex-appeal

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