Un necrologio per la moda di Antonella Amapane

Un necrologio per la moda Un necrologio per la moda Inserzione choc di un'azienda di jeans alla vigilia di Milano Collezioni «Hanno ucciso la creatività degli stilisti» REQUIEM PROVOCATORIO LA maratona di Milano Collezioni non è ancora incominciata che già si celebrano i funerali della moda. Oggi - vigilia della kermesse - sui quotidiani compare uno spazio pubblicitario, «vestito» come un necrologio. Lo slogan recita: «Fashion is Dead», firmato Soviet Urban Tribe. Ma che cosa significa il lugubre messaggio? Remo Perna - presidente della G.T.R di Isernia che produce il marchio Soviet - spiega: «Proprio in questi giorni in cui si celebrano i riti della moda ho voluto esprimere una mia personale condanna ai "carrozzoni" che vi gravitano intorno. Siccome realizzo collezioni per ragazzi, senza seguire i ritmi del pré-à-porter, mi sento fuori da ogni ricatto. Stiamo assistendo all'assassinio della libertà creativa degli stilisti. La maggior parte delle collezioni si somigliano. Le riviste si sono sostituite agli stilisti imponendo riferimenti assurdi come gli Anni '60 e '70. La moda, con effimere giustificazioni culturali, dimentica di essere un'arte applicata, nata per vestire le persone. Ora si favoriscono sterili astrattismi e vecchi stereotipi. Sono contro l'omologazione del gusto voluta da certe riviste di moda partigiane». Perna rifiuta le prevaricazioni che obbligano gli stilisti a seguire un dogma oggettivamente brutto - studiato a tavolino dai direttori delle testate specializzate più prestigiose - imponendo un solo modo di interpretare la tendenza: «Non è possibile che le opinioni di pochi esperti diventino diktat. Speriamo che ognuno torni a fare il proprio lavoro liberamente». Dallo staff Moschino arriva l'adesione entusiasta all'iniziativa di Soviet: «Siamo contenti che qualcuno, sei anni dopo, rilanci questo tipo di provocazione. Serve a far riflettere. Noi, nel '90, stampammo un manifesto con la scritta "Stop the Fashion System"». Dolce e Gabbana ribattono: «E' da un anno che lo diciamo. E prima di noi l'ha sottolineato Avedon con la foto sul New York Times dei teschi imbottiti di abiti». Ferrò condivide, ma soltanto in parte, il Soviet pensiero: «Qualcuno si sente di affermare che la creatività, la fantasia e la poesia sono morte? Non credo. Sono d'accordo che non abbia più senso parlare di moda in termini di imposizioni, di regole vincolanti. Fortunatamente adesso le proposte si manife- stano attraverso un'autonomia di scelta che diventa sempre più forte». Beppe Modenese, responsabile di Milano Collezioni, alla provocazione risponde: «Non ò una novità dire che la moda che non è più di moda. Non dimentichiamo che da anni questo settore contende alla meccanica e al turismo il primato delle esportazioni». Ma è vero che sono i redattori a decidere come vestire le modelle in pedana e non i sarti? «I giornalisti specializzati danno una consulenza sull'immagine. Le testate non sono condizionatori, ma trasmettitori di notizie, di trend. Quindi a volte filtrano già sul nascere gli stili. E' un momento transitorio, che per altro non condivido. Dagli errori mi auguro si impari. Mi rife- risco alla spettacolarizzazione delle sfilate. D'altronde sono stati i giornali a innescare questo meccanismo. E' un momentaneo fatto di costume, in cui si è capilo che per agganciare l'interesse del pubblico, e trasportarlo sull'abito, bisogna adoperare altri mezzi, come appunto le star o i cantanti». Antonella Amapane Ferré dissente: per il look non esistono più regole fìsse ma la fantasia è ancora vincente Nuove polemiche sulla moda alla vigilia delle sfilate di Milano

Persone citate: Avedon, Beppe Modenese, Dead, Dolce E Gabbana, Ferrò, Perna

Luoghi citati: Isernia, Milano