Arsenale da guerra nei bunker del clan

Palermo: smantellata la fortezza militare dei corleonesi, c'era anche un lanciamissili Palermo: smantellata la fortezza militare dei corleonesi, c'era anche un lanciamissili Arsenale da guerra nei bunker del clan Bazooka per abbattere aerei e elicotteri Il covo svelato dal custode delle armi PALERMO DAL NOSTRO CORRISPONDENTE C'era un arsenale da guerra nei due bunker segreti della cosca di San Giuseppe Jato, comandata dal superlatitante Giovanni Brusca. Piccoli covi che sono serviti ai boss anche come nascondiglio, compreso Totò Riina. Ma è soprattutto la santabarbara ad attirare l'attenzione degli investigatori: c'era anche il lanciamissili, l'arma più micidiale a disposizione di Cosa nostra, con dieci missili terraaria in grado di colpire a velocità supersonica il bersaglio, anche a notevole distanza. Ma che la mafia fosse davvero pronta alla guerra, lo rivela il resto dell'arsenale: 10 bazooka, un lanciagranate, 25 mitragliatori Kalashnikov, 5 mitra Thomson, 50 fucili, 35 pistole, 4 quintali di esplosivo, 50 bombe a mano e, proprio come se dovessero essere utilizzati in azioni militari, 10 bombe anticarro in grado di neutralizzare mezzi blindati, 10 mila cartucce di vario calibro e numerosi congegni elettronici per assicurare la massima efficienza degli strumenti. Ad esempio 5 cannocchiali di precisione per fucili, due telecomandi collegati a detonatori simili a quelli delle stragi di Capaci e via D'Amelio, giubbotti di protezione e ordigni pronti per l'uso con altri da confezionare, bidoni per conservare a lungo polveri esplosive. Un elenco che fa paura e conferma l'eccezionale dotazione di armi in possesso della cosca più fedele al clan dei corleonesi (Giovanni Brusca è figlioccio di Runa, proprio lui avrebbe premuto il pulsante per la strage di Capaci); armi importate attraverso i mille mi- steriosi canali del traffico parallelo a quello della droga che per lo più partono da Afghanistan, Iran, Turchia, ex Jugoslavia. Il lanciamissili era smontato. Quando gli investigatori della Dia si sono trovati davanti ai «tubi» avvolti con precisione meticolosa, hanno subito pensato che nascondessero il lanciamissili che, secondo alcuni pentiti, doveva servire a Cosa nostra per abbattere l'elicottero su cui si sposta spesso il procuratore Caselli. Sempre lo stesso lanciamissili che avrebbe fatto accarezzare a Riina e ai suoi fedelissimi l'ipotesi di provocare un pandemonio nel palazzo di giustizia di Palermo con un attentato che avrebbe dovuto segnare il culmine della strategia di Cosa nostra. Sequestrate pure 50 carte d'identità in bianco che evidentemente sarebbero servite come documento di copertura. E' stato l'ultimissimo pentito, Vincenzo Monticcioli, 27 anni, il guardiano della santabarbara arrestato la settimana scorsa, a svelare il luogo segreto dei due bunker. Un luogo sconosciuto alla maggioranza degli uomini dei clan. Il primo covo, nel quale sono state recuperate soltanto armi «leggere», si trovava in una casa colonica a tre chilometri dal paese. Il proprietario, Vincenzo Chiodo, è ricercato. Gli ingegneri della mafia hanno escogitato un complicato sistema tecnologico: un telecomando collegato a un servomeccanismo sposta più di mezzo pavimento del piano terra della casa. Quindi, per mezzo di un piccolo ascensore, si scende di un piano e si arriva a due piccole stanze con un ridotto gabinetto e un cucinino, due brandine, seggiole, un tavolino: niente lusso, soltanto l'essenziale, luce elettrica e qualche provvista. A una cinquantina di metri, superato un lieve pendìo, sotto terra (è stato necessario scavare in profondità per circa 6 metri) la Dia ha localizzato una botola su un cunicolo percorso il quale si arriva all'altro bunker, più piccolo. E' qui che sono state scoperte le armi con cui la cosca di Brusca era in condizione di ingaggiare battaglie con la forza di un piccolo esercito, il «braccio armato» della mafia. L'altro ieri le clamorose e coraggiose rivelazioni dell'ultimo pentito, genero del boss Giuseppe Agrigento, avevano già permesso di catturare dopo tre anni di vane ricerche i latitanti Bernardo Bommarito e Biagio Montalbano, di 59 e 51 anni, che Balduccio Di Maggio, l'ex autista di Riina, ha accusato di numerosi omicidi. Molto soddisfatto il procuratore Caselli, anche se ha sottolineato che «c'è ancora tanta strada da percorrere». E il suo aggiunto Guido Lo Forte ha det- to: «Lo Stato è all'attacco, ma siamo ancora lontani dal vincere la guerra con la mafia». Il vicedirettore della Dia, Giuseppe Micalizio, ha sottolineato: «Abbiamo tolto armi micidiali a Cosa nostra», paragonando la scoperta delle armi alla cattura di Riina. Due colpi da kappaò per Cosa Nostra. Antonio Ravidà Alcuni pezzi dell'arsenale di Cosa nostra scoperto vicino a Palermo Maurizio Costanzo COLLINETTA CASA COLONICA 35 PISTOLE 10 MILA MUNIZIONI 50 FUCILI 4 QUINTALI DI ESPLOSIVO 5 CANNOCCHIALI PER FUCILE 15 SILENZIATORI 5 GIUBBOTTI ANTIPROIETTILE 2 TELECOMANDI A DISTANZA PER ORDIGNI ESPLOSIVI GLS ARSENALE DEI CORLEONESI