Da Bufalino, a Luzi e Conte il piacere di cesellare parole di Marco Neirotti

Amanuensi a oltranza Amanuensi a oltranza Da Bufalino, a Luzi e Conte il piacere di cesellare parole ON il computer non sarebbe successo, ma quando Fulvio Tomizza lo racconta, si capisce che quel che è accaduto lo affascina. Lui era nella sua casa di Materada, in Istria, nel luglio '85, e su fogli bianchi, con una stilografica, scriveva Gli sposi di via Rossetti, romanzo di un delitto nella Trieste lacerata del '44. Uno di quei temporali d'Istria che non si annunciano, spalancò la finestra e scagliò pagine bagnate su pareti e soffitto. La figlia dello scrittore, Franca, stese i fogli ad asciugare. Dice ora Tomizza: «Era accaduto quello che accadeva al protagonista in quelle pagine. Fu la sua presenza con me». Quel libro poteva nascere soltanto così. Soltanto così perché fra gli autori italiani è ancora forte il rapporto fisico tra mente, mano, penna e foglio. «Neppure fisico - dice Gesualdo Bufahno - addirittura carnale, la penna è il prolungamento del cuore. Io ho una profonda inettitudine per i congegni d'ogni sorta, sono uno dei tre o. quattro italiani che non sanno guidare. Per l'elettronica ho venerazione e spavento. Forse potrebbe essermi utile, ma renderebbe tutto asettico, meccanico. Io amo le parole, le vedo tradotte in segni, in corpi vivi. Uso un paio di stilografiche e, come riserva, delle biro. Correggo e ricorreggo e quando nella pagina non ci sta più niente la batto a macchina». Così come il poeta Mario Luzi: «Sono anziano, ho convissuto con inchiostro e calamaio. I versi finiscono per immedesimarsi nell'atto dello scriverli. Chissà che un neonato di oggi non scriva nel 2020 stupende liriche con il computer, suo naturale mezzo di comunicazione». Che poesia sarà quella con guide alla metrica e rimari inseriti nel programma? «Sarà la poesia di una generazione che ha i programmi come elementi della sua formazione. Non c'è da scandalizzarsi, anche se per la mia generazione c'è in quei video qualcosa di stregonico, forse una specie di tabù». Ma non è soltanto questione di generazioni. Paola Capriolo è giovane e scrive a penna: «Poi ribatto a macchina e correggo. Voglio avere le varie versioni, voglio poter tornare sui miei passi, che nulla sia irrevocabile. Il computer non ce l'ho nemmeno e se lo comprerò non lo userò per scopi artistici». Scrivere è una cosa, l'elettronica un'altra, sostiene Federico Zeri: «Io sono un caso estremo: né computer né penna. Non sono neanche capace di scrivere i numeri, sbaglio persino gli assegni... E allora va benissimo una vecchia macchina per scrivere sgangherata. E' in sintonia con me». Sintonia che può diventare difficile quando il raffinato scrittore è anche un illustre ingegnere. Paolo Barbaro scinde le due personalità: «L'ingegnere usa il computer, lo scrittore carta, matita e gomma, gusta il tocco carnale». Però poi riconcilia i due strumenti: «Quando la pagina scritta e corretta è piena, sicura, la metto nel computer del Barbaro ingegnere e dico alla mac- china: vai con Dio. Poi prendo quello che la macchina ha stampato e sono come un altro davanti a un'opera di un altro ancora, imparziale. E un bel vantaggio». Vantaggio che non seduce Paolo Conte: «Scherziamo? Per me è già difficile mettere una spina nel muro. Pensa il computer... Ci sto lontano come da un ordigno che può esplodere da un momento all'altro. Vedo scrittori che lo usano e non scoppiano, però bisogna avere il temperamento giusto. Quando sono nato, io c'ero e lui no. E poi, per scrivere versi, ci vogliono carta., penna, matita. E' lì che riconosco il segno della mia mano». Marco Neirotti Sopra, Federico Zeri «La mia legge è la macchina per scrivere», sostiene

Luoghi citati: Istria, Trieste