STRAPPO MALEDETTO di Vittorio Zucconi
«¥ destinato a disintegrarsi» DALLA PRIMA PAGINA STRAPPO MALEDETTO bisogno - di un successo di immagine che riporti l'Italia fra le nazioni che stanno alla frontiera della tecnologia, e non nella retroguardia del Duemila, in lotta per la retrocessione alla serie B del Terzo Mondo. Niente di male, anzi, benissimo, con il prét-à-porter, a voce di Pavarotti, l'oro di Tomba, la pasta di grano duro e le macchine utensili, che puntellano e nostre esportazioni e la nostra presenza internazionale. Ma il satellite al guinzaglio era la scommessa tecnologica che avremmo tanto voluto vincere contro la solita Italia all'amatriciana, l'Italia dei voli che non volano e dei governi che non governano. Quando si mandano uomini sulla Luna diventa poi molto più facile anche vendere bibite, hamburgers, aeroplani e scarpe a quelli che restano sulla Terra. Invece, maledizione della pasta, il bucatino costruito non da noi, ma dagli americani della Lockheed-Marietta, si è spezzato e il nostro satellite ora corre randagio nello spazio. Non è ancora chiaro di chi sia stata la colpa di questa fuga, se del cane italiano che tirava troppo o del guinzaglio americano, ma tra qualche tempo lo sapremo di certo, perché se la Nasa non è più la vergine dello spazio, la signora che non commetteva mai errori, è ancora formidabile nell'investigare i suoi fallimenti. Quando esplose la navetta Challenger scoprirono che il colpevole era una guarnizione di gomma non molto diversa da quella dei comuni rubinetti. Ma l'inviduazione del colpevole sarà importante soltanto per capire le ragioni scientifiche dell'insuccesso, non per lanciare un ping pong di accuse fra noi e gli americani i quali, finora, hanno avuto la classe di non indicare immediatamente i «soliti» Italiani pasticcioni e pressappochisti come i responsabili del fiasco. Sarebbe facile per loro, scaricare su di noi, sulla nostra inesperienza, le colpe, dall'alto di una storia spaziale inarrivabile e sorridere di questo satellite così all'italiana, che si ribella non appena viene messo in orbita. Se non lo hanno fatto, e se non lo faranno, è perché essi sanno che lo spazio è un laboratorio ad alto rischio, dove nessun esperimento ha mai la certezza del successo. Anzi, si chiamano esperimenti proprio perché possono fallire, perché devono dimostrare la fattibilità pratica di un'idea, non la sua certezza. Inghiottita allora la delusione per questa sconfitta della nostra nazionale spaziale, alziamo la testa e salutiamo con orgoglio il nostro cagnolino ormai randagio nel Sistema Solare. Ci abbiamo provato, abbiamo partecipato. Abbiamo perso la scommessa, per ora, ma almeno eravamo in campo, fra i ragazzi grandi, fra i Paesi che contano. In mezzo alle migliaia di miliardi buttati ogni giorno nella voragine del debito pubblico e della burocrazia di Stato più inefficiente d'Europa, i 700 miliardi spesi per partecipare alla gara per il futuro non sono stati certo noccioline, ma il duro prezzo che dovremo continuare a pagare per non restare per sempre un Paese all'amatriciana. Vittorio Zucconi
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