La mansueta Europa affronta le tigri di Aldo Rizzo

OSSERVATORIO OSSERVATORIO La mansueta Europa affronta le tigri FATICOSAMENTE, ma non senza tenacia, l'Unione europea va definendo se stessa di fronte al resto del mondo. Una tappa molto importante in questa direzione (dopo la conferenza euro-mediterranea di Barcellona dello scorso novembre) è il vertice euro-asiatico che si apre fra tre giorni a Bangkok. Tutti e quindici i capi di Stato o di governo dell'Ue, sotto la presidenza italiana (che dunque ha un'altra grossa scadenza, prima della conferenza di Torino del 29 marzo, e all'indomani dell'indubbio successo del vertice di Roma sulla Bosnia), s'incontreranno con i loro sette colleghi dell'Associazione delle Nazioni dell'Asia del Sud-Est, o Asean, e con i leader di Cina, Giappone e Corea del Sud. Obiettivo, fissare nuove regole per nuove relazioni commerciali tra Europa e Asia, e anche cercare la via di un nuovo, generale rapporto politico. L'Asia, oltre a essere il continente più popoloso (55 per cento della popolazione mondiale), appare oggi anche il più dinamico, economicamente. Il suo prodotto lordo complessivo è stimato in 6200 miliardi di dollari, un quarto di quello di tutto il pianeta; ma è una cifra che va vista in prospettiva, tenendo conto che, nel periodo 1992-1995, i Paesi già industrializzati hanno avuto un tasso medio di crescita annua del 2,1 per cento, mentre quello dei Paesi asiatici emergenti ha sfiorato l'8. Parliamo in particolare, oltre che della Cina, delle cosiddette «quattro tigri», cioè Corea del Sud, Singapore, Taiwan e Hong Kong (le ultime due non sono presenti a Bangkok per i loro speciali e cruciali rapporti con Pechino, così come sono assenti, almeno in questa prima edizione del vertice, India e Pakistan, per non immettere nei lavori le loro gravi tensioni etnico-politiche). E insomma, complessivamente, pensando anche a Paesi come la Thailandia, la Malaysia e l'Indonesia, l'Asia è scossa da un forte vento di sviluppo capitalistico, che induce l'Occidente a fare i suoi calcob e a venire a patti con «tigri» e «draghi», in aggiunta al vecchio contenzioso commerciale col Giappone, un Paese che, del resto, rischia esso stesso di avere problemi con i nuovi arrivati e con la prepria economia. Per prima si è mossa l'America, forte della sua influenza politico-strategica anche in Asia, creando con l'Apec («Asia-Pacific Economie Cooperation») un'enorme area tendenziale di Ubero scambio. Ora, anche per bilanciare l'Apec e l'America, si muove l'Unione europea. Non è certo possibile analizzare in questa sede i complessi problemi economici, commerciali e indirettamente politici che saranno affrontati a Bangkok. Mi limito a due brevi, generalissime considerazioni. La prima è che, vent'anni fa, con la caduta di Saigon, sembrò che il comunismo dovesse dilagare in tutto il Sud-Est asiatico, e invece, in una delle sue capitali, 25 governi dibattono le regole della concorrenza e della cooperazione capitalistica. Fra questi c'è lo stesso governo del Vietnam, anche se continua ufficialmente a considerarsi comunista, come del resto quello cinese. La seconda considerazione è che in questo mondo nuovo, in cui il capitalismo non sembra più conoscere alternative, e in cui emergono sempre nuovi protagonisti, sfruttando l'allargamento degli spazi commerciali e finanziari e la rivoluzione tecnologica, insomma nella nuova economia «mondializzata», l'Unione europea avrà una voce efficace, cioè saprà difendere con efficacia i propri interessi, solo se riuscirà a presentarsi sempre di più come una realtà compatta e integrata. In altre parole, Bangkok rimanda a Maastricht, alla necessità dell'unità economica e monetaria europea, a quel salto di quanta che troppi in Europa e anche in Italia sottovalutano, sopravvalutando (si spera) le difficoltà contingenti. Aldo Rizzo