Così si sbranano i «machos» cubani di Vittorio Zucconi

Così si sbranano i «machos» cubani Così si sbranano i «machos» cubani La faida mai sopita tra gli esuli e il dittatore RETROSCENA I DELL'ODIO E: WASHINGTON RA stato un buonissimo anno, il 1995, e il '96 era cominciato anche meglio, per il «cabalici» che ancora una volta si è azzoppato da solo. Dall'abisso di un disastro economico che aveva ridotto la sua isola alla fame, Fidel Castro, il «caballo», il grande stallone come lo chiamano i cubani a cui piacciono le metafore maschie, era risalito con una prodigiosa galoppata, quasi una resurrezione. Era stato osannato nel Palazzo di Vetro, in doppiopetto blu per le feste del Cinquantenario dell'Orni, aveva raccolto ovazioni nel suo viaggio europeo, e aveva chiaramente vinto il braccio di ferro con Bill Clinton costringendolo a respingere i profughi. Anche i suoi più affezionati detrattori erano stati costretti ad ammirare la sua forza di superstite della storia. Fochi giorni fa, aveva addirittura ricevuto una delegazione parlamentare americana guidata dai ragazzi Kennedy, dagli eredi di quell'uomo che gli aveva lanciato contro l'invasione della Baia dei Porci Martedì scorso, martedì grasso, le vie disperate di un'Havana che non ha più lacrime né soldi, ma trova ancora la voglia di divertirsi, avevano visto sfilare una parata di carnevale, costumi colorati e ballerine mulatte dalle grandi natiche. Niente da far tremare Rio de Janeiro, ma un piccolo segno di convalescenza, un barlume di luce nel lungo crepuscolo del patriarca barbuto. E ora la catastrofe. In piena campagna elettorale americana, quando gli umori sono isterici e tutti i nervi demagogici scoperti, Fidel Castro dà ordine, o permette, 0 non sa, che due inermi aeroplanini da turismo siano abbattutti da un caccia Mig cubano, che due trabiccoli a motore che da anni venivano regolarmente a caricare qualche profugo a pagamento e a buttare volantini di propaganda sul Malecón, il lungomare dell'Havana, divengano ì microscopici U-2 di una nuova crisi cubanoamericana. I toni si alzano subito, 1 volti si fanno immediatamente apoplettici e accaldati come sempre quando si parla di Cuba, come tutto nella storia ormai quarantennale della lotta fra l'elefante americano e la pulce caraibica. Clinton, che si stava chiaramente muovendo verso una sospensione dell'embargo dopo la rielezione, deve fare il duro, per non riesumare gli spettri del democratico «soft on Communism», molle con i comunisti Buchanan, il populista repubblicano strepita. La lobby anticubana di Miami e i suoi protettori parlamentari gridano al «ve lo avevamo detto» che del barbone non ci si può mai fidare. E il cavallo in doppiopetto, rispettabile e un po' patetico, che avevamo visto nel 1995, torna a essere il dittatore sanguinario in divisa da guerrigliero e Kalashnikov. L'orologio dei rapporti fra Washington e f Havana torna all'ora zero. ' Destino dei dittatori che, come diceva Churchill, risolvono tutti i problemi del loro Paese meno il più grave, cioè se stessi? Colpo di còda di generali cubani timorosi di uno scivolamento di Castro, a 69 anni di età, sulla via del gorbacio- vismo, delle riforme, dei dollari, dei turisti e della perestrojka strisciante in atto a Cuba? O piuttosto, come pensa U~a de Aragón Clavijo, una delle poche voci femminili autorevoli nel mondo tutto maschile degli esuli cubani a Miami, è l'ennesima, perniciosa manifestazione della sindrome machista, maschilista che perseguita Cuba e condanna l'isola alla sofferenza e alla miseria per far vedere chi, fra il caballo e i suoi nemici ce l'ha più grosso? La spiegazione di questa ennesima tragedia umana e storica sta sicuramente lì, nell'odio selvaggio, accaldato, implacabile che divide Fidel Castro dai leaders della diaspora cubana, dai personaggi che controllano il milione di esuli che abitano in Florida, che hanno imparato a condizionare la politica Usa e non sognano riforme, democrazia, sviluppo per la loro isola, ma soltanto la vendetta finale e totale, il loro Piazzale Loreto contro il barbone. «Proprio perché in America siamo in campagna elettorale, il macho Castro ha voluto dimostrare agli altri maschioni in Florida che lui non ha paura di loro e sceglie questo momento per abbattere gli aeroplanini da turismo che andavano a punzecchiare il cielo e l'orgoglio del suo regime» dice Uva de Aragón Clavijo, che guida la Unione Liberale Cubana, insieme con Carlos Montaner. «Castro sarà anche comunista e i suoi avversari anticomunisti. Ma sono prima di tutto uomini cubani e questa lotta è diventata purtroppo una questione di onore». Non ci deve essere soltanto femminismo nella interpretazione di questa professoressa, e giornalista, cubana. Gli aerei i piccoli Cessna da turismo disarmati contro i quali si sono lanciati ieri l'altro i Mig di Castro, avevano già violato molte volte il cielo di Cuba in passato, ricevendo soltanto avvertimenti verbali e schiaffetti sulle mani. Ma si erano fatti via via più audaci, più sfacciati, arri- vando ad atterrare in piccoli campi sterrati sull'isola, come sicuramente erano andati a fare questa volta, per raccogliere piccoli gruppi di fuggitivi. E avevano il torto di appartenere a un uomo, José Basulto, che ha agli occhi di Castro una colpa imperdonabile: era uno dei 1292 mercenari della Brigata numero 2056 che il 15 aprile di 35 anni or sono sbarcarono alla Baia dei Porci per marciare verso l'Havana e rovesciare Fidel. Moltissimi sono ormai i gruppi e le organizzazioni di profughi che si contendono a Miami il privilegio di parlare e nome della comunità e di ereditare la Cuba del dopo Castro. Ci sono i neofascisti di Jorge Mas Canosa, che hanno preso il controllo della Cuban-American National Foundation e minaccia i politici e giornalisti che osano parlare contro di lui e i suoi picchiatori. Ci sono i progressisti di Eloy Gutierrez Menayo e del suo Cambio Cubano, che vogliono la liberalizzazione di Cuba con o senza Castro e una uscita pacifica, incruenta, dall'inevitabile fin de regime. Sono nati negli ultimi anni gruppi moderati, come il Comitato per la Democrazia a Cuba, o l'Unione Liberale della signora Aragón Clavijo, che chiedono una immediata e parziale rimozione dell'embargo che sta puntellando l'immagine di Castro mentre punisce i cubani, affamandoli. Ma il cuore duro dell'anticastrismo, il nocciolo radioattivo che ancora irradia di rancori insanabili i rapporti fra i profughi e l'Havana sono gli uomini come Basulto, sono i volontari di quello sbarco incoraggiati, addestrati e poi traditi da Kennedy e dall'America sulla spiaggia della baia. Sono centinaia di uomini -1189 sopravvissero alla sconfitta - che organizzano ponti aerei e navali, che finanziano agenti, spie e provocatori, che vivono gh' ultimi anni della loro esistenza nel terrore di morire prima di avere visto il «cavallo» azzoppato e morto. Finché avranno respiro in corpo, si batteranno contro Castro, fra imprese dannunziane come il lancio di manifestini su Havana e operazioni di salvataggio e di incoraggiamento dei «balseros», dei fuggitivi in barca e gommone negli stretti infestati dai «tiburones», dai pescecani. E finché Castro avrà vita, li combatterà anche a colpi di contraerea e di missili aria aria, a qualunque prezzo politico. E' sempre e comunque il popolo cubano che alla fine dovrà pagare il conto, non i maschioni che si guardano e si sfidano nitrendo attraverso gli stretti della Florida. Vittorio Zucconi