Chi ha distrutto i dossier anti-gay

IL PALAZZO IL PALAZZO Chi ha distrutto i dossier anti-gay bravo l'ex ministro dell'Interno, e magari prossimo direttore dell'Indipendente, Maroni, campione dei diritti civili e distruttore dei fascicoli riservati del Viminale. In un'intervista a Rome Gay News ha raccontato che gliene sottoponevano parecchi, dedicati a personaggi «sospetti», con l'annotazione poliziesca della loro omosessualità. Buono a sapersi. E buono anche l'atteggiamento anti-discriminatorio di Maroni che tuttavia, con un annetto di ritardo e come se fosse la cosa più naturale del mondo, ha pure rivelato di aver fatto «distruggere» questi dossier. Ora, non per essere troppo sospettosi, ma si potrebbe cortesemente sapere di che roba si trattava (o si tratta)? Chi schedava chi? E soprattutto, considerato il genere di campagna elettorale che ci si può aspettare, è davvero troppo chiedere chi ha deciso e con quali criteri è avvenuta questa distruzione di cui nessuno, finora, sapeva nulla di nulla? Perché si sa, purtroppo - e ancora di più dovrebbe saperlo Maroni, che tiene l'eskimo nell'armadio - come vanno a finire queste storie in Italia. Sarebbe infatti la terza «distruzione»: tra virgolette, dal momento che le prime due (la «grande fumata» dei fascicoli Sifar e la piecolma ordinata nel 1987 da Goria) con ogni probabilità sono avvenute dopo un intenso lavoro di fotocopiatura. Non c'è davvero di che essere fiduciosi. Qualche mese fa s'era scoperto, con il consueto scaricabarile da parte del governo, che fino a ieri il Sisde aveva confezionato ben 66 dossier: su 21 politici (molti dei quali impegnati nelle elezioni) e 45 fra partiti e movimenti. Cosa impedisce che almeno un po' di quel materiale fangoso esca fuori proprio adesso? Forse è meglio prepararsi: nessuna campagna elettorale sembra più predisposta all'intossicazione; mai in Italia sono girate o, peggio, sono potenzialmente pronte a svolazzare sopra le urne così tante cartuccelle sporche, così temibili strumenti di di- sinformatjia come in questi ultimi tempi. Fino al punto che, tra sperimentatissimi servizi segreti e autonomi artigiani del discredito fai-date, si può addirittura azzardare un tristo repertorio di veleni in grado di inquinare il voto. Ai più remoti e misteriosi evergreen (la sindoniana «lista dei 500», il «vero» elenco della P2, il contenuto delle borse di Moro o della valigia di Calvi), l'asprezza dei tempi ha finito per aggiungere - e magari tiene in serbo, al calduccio - il cospicuo «dossier Achille», già in qualche modo fatale a Di Pietro. E poi via via, in rapida successione, c'è il «fondo» craxiano di viaBoezio (tre faldoni per 3849 pagine), giudicato «un vero e proprio arsenale» dal comitato parlamentare per il con-' troÙo dei servizi; c'è l'archivio del generale del Sismi Cogliandro, ritenuto non si sa quanto a ragione depositario di verità a 360 gradi su vicende scottanti; c'è la dotazione di documenti Fininvest, già offerti dal massaggiatore e personal trainer dell'ex cognata di Berlusconi alla Lega per una ventina di milioni; c'è lo scatolone dell'imprenditore Nicoletti, considerato vicino alla banda della Magli ana. Per non dire delle carte prelevate nell'ultimo anno da strani ladri in Vaticano, alla Bnl, nelle redazioni di Panorama e del Giornale, a casa dei giudici D'Ambrosio, Grigo e Mele, degli avvocati De Gori e Lo Giudice e dei politici Pecchioli, Tatarella e Pannella. O dei quintali di atti giudiziari che in teoria avrebbero a che fare solo con la giustizia. Ma che in pratica possono rendere il voto molto più emotivo di quel che è già. Filippo Ceccareili

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