Vanni resterà in carcere di Vincenzo Tessandori

«Io non so più nulla, so solo che chi mi accusa è un cattivo» Firenze, secondo i magistrati con la sua violenza potrebbe prendere di mira chi l'ha denunciato Vanni resterà in carcere 1giudici: è pericoloso e può vendicarsi IL CASO FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO Resta in carcere. E forse sarà inutile perché non riuscirà neppure a ricordare o a meditare. Con le spalle sempre più curve e gli occhi sempre più spenti, la voce sempre più tenue e la paura sempre più grande. In cella, accusato di aver preso parte all'ultimo sabba del «mostro di Firenze», in una notte di domenica del settembre 1985, una notte di luna calante, di essere lui pure un mostro d'uomo. Dunque, resta in galera il Vanni Mario, l'ex-portalettere di San Casciano, un paese ai confini del Chianti che all'improvviso si è accorto di avere aspetti ripugnanti e imprevedibili, dove l'omertà, sottolinea qualcuno, è radicata come lo è, talvolta, nel Sud più profondo e disperato. Lui dentro e l'altro, il Pietro, l'amico di merende, libero, assolto con formula piena da una corte d'assise d'appello frenetica nel voler chiudere l'affaire. Hanno concluso così i giudici del Tribunale della libertà e non dev'essere stato facile stabilire che i cancelli rimangano sbarrati. La polizia lo aveva arrestato nella notte fra lunedì 12 e martedì 13, in casa, mentre guardava la tivù. Terribile, l'accusa sul mandato: concorso in duplice omicidio, e non un omicidio qualunque, ma «firmato» dalla calibro 22 long rifle. Dopo undici anni di silenzio, in due avevano raccontato ai magistrati di averlo visto, con Pacciani, nella radura degli Scopeti: lui sarebbe penetrato nella tenda dopo averla squarciata, il Pietro avrebbe sparato con la Beretta. Dal giorno che l'hanno portato nel carcere della Dogaia, a Prato, sembra che Vanni .abbia avuto un crollo: oltre che sulla credibilità dei testi, definiti inattendibili, anche su questo aspetto faceva leva l'istanza di scarcerazione presentata dal difensore. Ma quei testimoni, nel tentativo un po' goffo di giustificare il loro silenzio, avevano raccontato delle minacce del Pietro e dell'amico di merende. E i giudici Armando Sechi, Pietro Sacchetta e Anna Favi hanno loro creduto. Tanto che, scrivono nella sentenza, «vi è il fondato pericolo che Vanni, posto in libertà, porti a ulteriore compimento tali intimidazioni e che ciò (tenuto conto delle modalità della condotta criminosa del medesimo e della sua complessa personalità, così come emersa allo stato delle acquisizioni investigative) possa sfociare in estremi atti di violenza alla persona». Insomma, per i tre giudici del tribunale, Fernando «Alfa» Pucci e Giancarlo «Beta» Lotti sono credibili, anzi credibilissimi e la loro è definita «una dettagliata e convergente ricostruzione». E non incide che la corte abbia rifiutato di ascoltarli e mandato libero il Pietro. «Alcun rilievo assume in questa sede la circostanza che Pacciani sia stato assolto in grado di appello dai reati a lui ascritti (fra i quali quello oggi contestato in concorso anche al ricorrente), considerato che trattasi di decisione non definitiva pronunciata in un diverso procedimento penale». Se tutto questo non fosse sufficiente, ci sono sempre le esi¬ genze investigative: Vanni libero, si lascia intendere, potrebbe essere un rischio eccessivo. Non fosse altro perché c'è già Pacciani. E' un altro Vanni quello che racconta il suo difensore, Giangualberto Pepi. «Speravo negli arresti domiciliari. In un paesino piccolo come San Casciano, un carabiniere all'uscio può scongiurare qualsiasi pericolo. Ci speravo anche per motivi di salute: l'ho visto piuttosto male, ora è in carrozzina, non cammina, mangia pochissimo, la situazione clinica penso sia piuttosto pesantuccia». Ma è andata così e allora, dice l'avvocato, «voglio prima esaminare le motivazioni, ma, quasi sicuramente, farò ricorso in Cassazione». Non è un compitò semplice, con quei suoi ostinati silenzi, il Vanni ha di certo complicato la situazione: «Purtròppo, come ho detto fin dal primo momento, è lui la maggior difficoltà di questo processo. Alle domande: ma come mai questi testi ti accusano?, c'è stato motivo di odio, qualcosa?, lui risponde: non c'è nulla, non me ne rendo conto, sono solo cattivi». Vincenzo Tessandori «Io non so più nulla, so solo che chi mi accusa è un cattivo» A sinistra Mario Vanni A destra Pietro Pacciani

Luoghi citati: Firenze, Prato, San Casciano