MODELLO SINGAPORE: CONFUCIO & SOFTWERE

6.. 6.. tuttolihri MODELLO SINGAPORE : CONFUCIO & SOFTWARE Lavoro per tutti, ma addio libertà politica SINGAPORE: una cittàStato di 641 kmq, meno d'un quinto della nostra provincia di Alessandria. Tre milioni scarsi di abitanti, che stipati su quella minuscola superficie voglion dire però 4600 al kmq, ossia dieci volte la densità della già popolarissima Olanda. Un periodo difficile tra il 1959 e la metà degli Anni 60, dopo l'indipendenza dagli inglesi e un tentativo fallito di federazione con la Malesia. All'epoca, ancora palesi tutti i caratteri del peggior Terzo Mondo: economia di mera sussistenza, corruzione, distese di baracche fangose attorno al quartiere dei pochi benestanti. Oggi, dopo appena trent'anni, Singapore è un Paese ordinatissimo, presente in settori di punta dell'economia moderna, irto di grattacieli ma anche pieno di parchi e gradevoli campus universitari, con un reddito procapite di oltre 16.000 dollari ($ Usa) che lo colloca ormai nella fascia medio-alta dei Paesi ricchi. Operano in esso oltre tremila imprese multinazionali, in continua crescita grazie a un flusso di investimenti dall'estero di oltre 2000 milioni di dollari l'anno. Tra le tante statistiche singaporesi, colpiscono due indicatori sociali che son prossimi allo zero: la disoccupazione e la libertà politica. Come un simile balzo sia stato possibile, e a quali incognite sia oggi di fronte, lo spiega meglio di molti ponderosi rapporti socio-economici l'agile Lettera da Singapore di Giuseppe Bonazzi, il sociologo torinese già noto per altri acuti lavori sui nuovi modi di produrre e lavorare che si vanno diffondendo in questi anni. Metà note quotidiane di diario, a un tempo illuminanti e divertenti, metà saggio sullo speciale tipo di capitalismo affermatosi a Singapore, la Lettera mette in chiaro come l'eccezionalità di questa società stia tutta nell'essere un caso perfettamente riuscito di progettazione al tempo stesso economica, politica e socio-culturale. l di pSotto la leadership di Lee Kuan Yew, un giovane avvocato di borghesia cinese, il partito d'azione popolare assunse negli Anni 60 la guida del Paese e impose un governo ferreo che d'allora in poi ha perseguito inflessibilmente un'unica missione: «Creare - son parole di Lee - una società altamente disciplinata, determinata e istruita, disposta a lavorare duramente». Sul terreno dell'economia, il mezzo utilizzato fu una industrializzazione «sviluppista» fortemente orientata alle esportazioni con alto valore aggiunto. Ciò comportò che fossero lasciati da parte i settori più comuni dell'industria dei Paesi del Sud (calzature, abbigliamento), per con¬ centrarsi sull'elettronica, la produzione di software, le telecomunicazioni. Le facilitazioni offerte alle imprese straniere - infrastrutture efficienti, imposte limitate, manodopera qualificata a basso costo (ma pur sempre retribuita tre o quattro volte di più che non nella contigua Cina), lotta serrata alla corruzione, nonché (va pur detto) l'assenza di fatto dei sindacati han fatto il miracolo in meno di trent'anni. Nei citati settori Singapore è oggi un piccolo gigante mondiale. Sul piano politico e sociale, un autoritarismo morbido quanto onnipervasivo ha impedito il formarsi di un'opposizione, ha dato grande impulso all'istruzione, ha eliminato la microcriminalità, ha imposto la costituzione di canali di risparmio forzoso che sono utilizzabili a diversi fini - pensione, acquisto di un alloggio, spese per i figli - ma sono rivolti allo scopo precipuo di obbligare le famiglie a costruirsi un capitale, piuttosto che destinare tutto il guadagno ai consumi. Né è mancato ù tocco culturaynosqfico-. l'insegnamento di Confucio, la preminenza da assegnare in ogni caso ai valori morali, dianzi poco praticato da una popolazione di variegata composizione etnica e religiosa, è stato rimesso in auge dal governo per farne la base del sistema educativo non meno che del comportamento lavorativo. Il progetto Singapore, un caso di società dove il libero mercato è stato pianificato con la durezza di un ministero sovietico (ma con un'efficacia che questo manco si sognava), presenta oggi caratteristiche che Bonazzi compendia abilmente in quattro ossimori, riunioni paradossali di termini contraddittori. In primo luogo la esemplarità irripetibile del progetto, dovuta all'essere Singapore una città-Stato dal piccolo territorio, con una concentrazione di imprese unica al mondo e una popolazione da città più che da Stato. L'economia di mercato inquadrata in un ferreo dirigismo sociale, connubio che più d'ogni altro prefigura un terzo inedito tipo di capitalismo (ma, vien da chiedere all'autore, il capitalismo tedesco e italiano degli Anni 30 fu poi così diverso-?). TI tenere la popolazione di continuo sotto l'assillo dell'emergenza, se non si sconfigge la quale Il capitalismo vive se cambia L L HAN dato più volte per morto, non solo i suoi avversari, ma pure alcuni suoi teorici più raffinati, quali Joseph Schumpeter. Invece è più vivo che mai, e si è anzi tolto la soddisfazione di veder crollare l'antagonista storico che doveva sepelhrlo, il comunismo realizzato dell'Europa orientale. E' il sistema economico capitalistico. Come il capitalismo sia riuscito per più di due secoli a superare le sue ripetute crisi, uscendone ogni volta più forte, lo spiega questo succoso libretto di Valerio Castronovo. In sintesi, ecco la ricetta praticata dal capitalismo per sopravvivere e proseguire nel suo processo espansivo: rivoluzionare prima che sia troppo tardi i modi di produrre, di lavorare e di consumare. La prima rivoluzione, con la quale il capitalismo di fatto si identificò nel primo mezzo secolo di vita, fu ovviamente quella industriale. In nome del Re Vapore, gli opifici divennero simili a macchine, masse contadine si riversarono nelle fabbriche trasmutandosi in operai, e le merci europee e poi americane invasero il mondo. Già a fine Ottocento, e con maggior asprezza nei primi decenni del Novecento, si affacciò il problema di trovare i consumatori per questo fiume di merci. La risposta, delineatasi per prima negli Stati Uniti, fu la rivoluzione tay loriana-fordista. La divisione capillare del lavoro operaio introdotta da Taylor provocò incrementi eccezionali di produttività, donde una forte riduzione dei prezzi dei prodotti. Al tempo stesso, i salari relativamente elevati che tra i primi Ford cominciò a pagare consentì ai lavoratori di acquistare i prodotti che loro stessi producevano. Ma negli Anni 30 anche la rivoluzione tayloriana-fordista mostrò d'aver esaurito il suo potenziale, in Usa come in Europa. La capacità produttiva in eccesso creava disoccupazione, i disoccupati sono mediocri consumatori, e le tensioni sociali crescevano. Il capitalismo trovò allora modo, con formule diverse da un Paese all'altro, di allearsi con lo Stato. Grandi opere pubbliche, lo sviluppo dei sistemi non c'è futuro, si tratti volta a volta di sconfiggere la disoccupazione, eliminare le zanzare, tener pulita la città, limitare le nascite. Infine la contraddizione che all'occhio occidentale pare la più densa di incognite, quella tra autoritarismo e la crescita d'una popolazione colta, benestante, in contatto con le culture di tutto il mondo che entrano a Singapore per i canali delle multinazionali. L'autore, richiamandosi al relativismo della moderna antropologia culturale, conclude che non è oggi impossibile immaginare civiltà parallele dove il bisogno di libertà è sentito in una civiltà come un bene primario, mentre in un'altra appare nulla più che un bene accessorio. Non è uno scenario che l'autore approvi; ma intanto ce l'ha fatto capire. Donde le riflessioni dolciamare che ciascuno può trarne. Luciano Gallino Giuseppe Bonazzi Lettera da Singapore ovvero il Terzo Capitalismo Il Mulino, pp. 176. L 20.000 Valerio Castronovo pubblica da Laterza «Le rivoluzioni del capitalismo» di assistenza e previdenza sociale, l'intervento diretto della mano pubblica in settori produttivi poco attraenti per le imprese private, formarono una combinazione di Stato e mercato su cui si sono retti fino agli Anni 80 sia lo sviluppo dei consumi, sia la pace sociale in tutti i Paesi occidentali. Fino a quando i bilanci statali non han cominciato a scricchiolare sotto oneri senza posa crescenti. L'ultima rivoluzione è quella in corso, segnata dalle nuove tecnologie, dalla possibilità di produrre qualsiasi cosa in qualsiasi luogo, dal prorompere dei mercati finanziari del tutto scissi dall'economia reale. Se le sue attuali direttrici di marcia siano il preludio di un domani migliore, scrive Castronovo, oppure di un avvenire di tutt'altro segno, non è ancora dato sapere. Capacità politica innovativa cercasi. [lue. gal] Valerio Castronovo Le rivoluzioni del capitalismo L Laterza pp. 162, L 10.000 LA STAMPA Sabato 17 Febbraio 1996 RIUNIRSI IN ABRAMO L'ecumenismo diMassignon POSSIAMO capire Abramo, «quest'uomo di tutti gli inizi e di tutti i compimenti», attraverso le «due parole sostanziali della sua unione a Dio: Lekh-lekha (= "esci": da Ur), e Hinneni (= "eccomi" per andare al Moria)». Così Louis Massignon (1883-1962) - cattolico, massimo islamista del Novecento, personalità affascinante e sconcertante del mondo intellettuale francese e mediterraneo - coglie la figura emblematica di colui che ebrei, cristiani e musulmani considerano loro padre. Ma queste due esclamazioni - «Esci!» ed «Eccomi!» - racchiudono, se racchiudere si può, la figura di Massignon stesso, come traspare da Parola data, la raccolta antologica di saggi e articoli da lui stesso curata, presentata ora da Adelphi. Un'ampia introduzione del discepolo e amico Vincent Mansour Monteil ci aiuta, capitolo per capitolo, a districarci tra ordito e trama di brani svariatissimi per forma e contenuto che, come stupendo arabesco, ci descrivono Ù mondo dell'Islam meglio di qualunque immagine. Un arabesco appaiono queste pagine, anche se la mancata percezione del binomio abramitico «Esci - Eccomi» come chiave di lettura globale ha portato un eminente recensore a definire il pensiero di Massignon un «groviglio di erudizione preziosa e di delirio scatenato». «Esci!» sembra gridare Dio a fratel Abramo (il nome che significativamente Massignon assunse come terziario francescano): esci dal tuo mondo culturale, dagli orizzonti angusti dell'Europa, dalla mentalità coloniale della Francia, dai binari troppo rigidi della riflessione teologica cattolica preconciliare..Esci dalla presunzione che la verità la si possiede senza ricerca, senza accoglienza del dono, senza conoscenza dell'altro. Esci dai luoghi comuni, dai pregiudizi verso i credenti delle altre religioni, dalla lettura preconcetta di eventi storici e testi documentari. E' questo il primo aspetto della «Parola data»: la rivelazione è dono dall'alto, iniziativa di Dio, chiamata che sorprende e sradica. Ad essa risponde un'altra «parola data», un patto d'onore, un impegno assunto dall'uomo: l'«Eccomi!» di Abramo. Eccomi per scandagliare il mistero del dono, per dialogare con l'altro, l'estraneo, il diverso. Eccomi diventato io stesso straniero e dialogo, incompreso con gii incompresi, politico con i politici, mistico con i mistici. Eccomi ammiratore di Charles de Foucauld come di Lawrence d'Arabia, narratore della passione del mistico Ai-Hallaj e osservatore straziato delle passioni che si sono inflitte reciprocamente i figli di Abramo nel corso dei secoli e che ancora oggi affliggono gli operatori di pace. il dil fd pDavvero il dialogo fecondo tra le religioni monoteiste e le aperture verso l'induismo e lo scintoismo non sono per Massignon una moda, un vano sfoggio di conoscenza di qualche Sura del Corano da accostare a brani biblici o evangelici. «Se Israele è radicato nella Speranza, la Cristianità è votata alla Carità e l'Islam è incentrato sulla Fede». E tra speranza, carità e fede la mente di Massignon, ma direi ogni fibra del suo essere, spazia costante- «Parola data» diMassignon è pubblicato daAde/phi Cattolico, massimo conoscitore dell'Islam, profeta del dialogo prima ancora del Concilio mente, passando da una riflessione sulla «resistenza non violenta» e la «singolare esemplarità della vita di Gandhi» allo studio del «Patto d'onore artigianale tra i lavoratori musulmani nel Medioevo». Le sue sapienti osservazioni colgono aspetti trascurati se non negati dell'Islam: basti pensare alle pagine su «Mistica e continenza in Islam» o all'insistenza sullo jihad akbar, «la guerra santa più grande», cioè il combattimento interiore contro le proprie passioni, piuttosto che suilo jihad asgar, quello «più piccolo», contro i nemici di Dio. La sua acquisita «estraneità» rispetto alla Francia non gli impedisce di rileggere personaggi storici ed emblematici come Giovanna d'Arco o la regina Maria Antonietta, anzi gli consente prospettive assolutamente inedite, anche se non sempre convincenti. è l li d pMa è la lacerazione storica di una fratellanza che diventa guerra tra le tre religioni del Libro aventi Abramo per padre che attraversa il cuore di quest'uomo universale: Massignon non potrà contemplare quella «visione di pace» che il nome ebraico stesso di Gerusalemme indica, nonostante la «Santa» - secondo il suo nome arabo - sia per lui oggetto di un affetto e un desiderio intensissimo: «E' là che bisogna andare ad ascoltare, sotto l'erompere di profanazioni che annunciano il Giudizio, l'appello del nostro Comune Padre, che chiama tutti i cuori che hanno fame e sete di Giustizia al pellegrinaggio, alla Città Santa; appello che è stato qui ripetuto, al ritorno da una tredicesima visita compiuta non senza un grande desiderio, ancora inesaudito, di morirvi». Il desiderio rimarrà inesaudito: Massignon morirà in quella Parigi da cui era «uscito» tanti anni prima, ma ancora oggi la sua passione, la sua fedeltà alla «Parola data» ridanno speranza contro ogni messaggio brutale di morte e di odio che vorrebbe uccidere, assieme aghi operatori di pace, anche la «visione» stessa della pace nella travagliata terra del Medio Oriente: «Preghiamo perché le lacrime dei morti siano più forti delle grida di vendetta!». Enzo Bianchi Louis Massignon Parola data Adelphi pp. 496. L. 65.000 Sei mesi di Meridiani. COLLODI Opere SERENI A cura di Diluirla Mareheschi. Kili/.iniir critica a cura di Dante Di-Il;i. A cura di Mario Bur rughi. (2 tomi in cofanetto) A cura di Luca Baranclli e Ernesto Ferrerò. A cura di Gioacchino Lanza Tornasi e Nicoletta Polo. A cura di Folco Portinari e Giusi Baldissone.