Casalinghe col kriss

Casalinghe col kriss Casalinghe col kriss DTORINO AI Beatles alla Consolata. Da Elìnor Rigby, l'eteronimo dei racconti d'esordio (Un'americana a Parigi, Baldini & Castoldi) che richiama alla memoria i baronetti di Liverpool, a Margherita Giacobino, le vere generalità declinate sulla copertina di Casalinghe all'inferno (pp. 356, L. 26.000, ancora Baldini & Castoldi). Un'antologia di «tipi» guatati, pedinati, catturati sotto la Mole, in particolare nel quartiere avvinghiato al miracoloso Santuario: «La chiesa somiglia a una grotta fatata. E' un prodotto dei secoli, come una conchiglia fossile incrostata di madreperla...». Quarantatreenne, alle spalle quattro lustri «scontati» in un ente pubblico, garbatamente efferata, Margherita Giacobino vive scrivendo («Sono arrivata a pubblicare grazie a Gino & Michele, incrociati nel pianeta Smemoranda») e traducendo: «Per i "Classici classici" Frassinelli ho finora curato Cime tempestose e Madame Bovary, Flaubert, ovvero la consapevolezza che, se non s'indovina il nome del personaggio, la trama non sgorga». Una verità condita nell'orgoglio (anch'esso garbato) di aver bussato alla giusta anagrafe. Delia Ugazzi, che «ha il viso rotondo e fuori moda di una bambola lenci»; Alberico Alberici, che «ha l'abitudine di camminare un passo dietro sua madre e di ripetere le ultime parole di ogni frase che lei dice»; Ada Bracco, la droghiera che ha «il dono di farti sentire benvenuto»; Bruna Piazza, capo-ufficio contabilità alla ricerca (nevrotica caccia al tesoro) di qualcuno che la insemini; don Quaglia, il parroco che «s'è visto piovere giù dal cielo un bel pezzo di stucco»; Armando Savelli, «un quarantenne dalla bellezza stropicciata come il suo vecchio Burberry»; Nani, il gay con «il tarlo della noia coniugale»... (Armando e Nani, elevati al rango di «casalinghe onorarie» perché «hanno storie da raccontare»). Un carillon di figure e figurine mobilissimo, ritagliate con forbici bizzarre, rese con inchiostri finemente irrequieti, modellate nella ragionevole follia di cui Torino è, da sempre, pregiata fabbrica... Un «confessionale» stracolmo di fornelli, di talami in letargo o in traballante servizio o assaliti da improvvisa fregola, di innocenti magie, di viuzze (delle Orfane, della Misercordia, della Forca) insidiose come canyon, di lingue affilate come mezzelune. Aspettando La donna della domenica atto secondo, sulla giostra allestita da Margherita Giacobino suo romanzo, dove il conte Argenterò insensibile e rozzo (ma furbo intrallazzatore e faccendiere che si conquista anche un posto in Parlamento) nulla capisce della moglie-ragazza. E' un'esistenza al confine di ogni regola e convenzione quella dello stupratore Perù, che fa della sua bambina Medusa la sua compagna di scorribande per poi abbandonarla appena varca la soglia dell'adolescenza. «La famiglia Argenterò è esistita veramente - racconta Melania - ma tutta la storia nasce dalla mia fantasia». La Mazzucco, ex studentessa della facoltà di Lettere dove si è laureata con una tesi su Paolo Volponi, si è divertita a riscrivere documenti dell'epoca, cronache giornalistiche, perizie mediche, perizie legali, testamenti, in un vortice di trovate. Lo sfondo storico si dipana tra la prima guerra mondiale e l'arrivo delle prime bande fasciste, di cui il conte Argenterò è un simpatiz- diverte ritrovare le acrobazie umorali di Frutterò e Lucentini. E poco importa se la rodata coppia non svetta nella biblioteca della signora («Una donna - insorge Barbara, una sua creatura -, non ha diritto di esser chiamata signora, anche se non porta un anello al dito?»): «Le mie passioni oscillano fra l'America e l'Inghilterra, fra la Austen e Dickens, Mark Twain e la Spark, non dimenticando Salinger». E magari Forster, carissimo a F&L là dove avvisa che è il lato superfluo a conferire autenticità alla commedia nostrana. Ecco il cuore (un cuore) di Casalinghe all'inferno: «Solo le donne, bisogna ammetterlo, sanno apprezzare i dettagli di una vicenda umana. E ci sono vicende in cui i dettagli sono tutto». Il matrimonio, il fidanzamento, la furtiva liaison, il complesso di Edipo... Margherita Giacobino è un'implacabile rabdomante, nulla le sfugge, scoperchia e fruga le anime che via via incontra, così paradossali, così grottesche, così imprevedibili... Una cifra molto subalpina: «Qui - e l'ho messo nero su bianco -, la gente vive a porte chiuse e si traveste da gente normale prima di uscire. Ognuno ecco la dimensione "gialla" del libro - è sospetto. Si è perennemente in bilico: una superficie grigia, asfittica, squadrata, un sottosuolo estroso, famelico, variopinto, stranito. Cozzando - perché di continuo cozzano - sprigionano scintille di purissima comicità». hri i pNon inciampa, Margherita Giacobino, nell'ideologia, nella sociologia, nella retorica femminista. Le sue Casalinghe nuotano nell'ironia, si incupiscono ma non si compiangono, «escono dai fogli», secondo un'immagine locale, ma tengono a bada il ridicolo, architettano il monologo ma disdegnano il comizio, vagheggiano la fuga («Lui è diventato come una malattia per me. Sa, una di quelle malattie tropicali che non fanno morire ma non guariscono mai») eppure restano. E, talvolta, compiono il prodigio di risvegliare i sensi, i sentimenti, le complicità, di rimettere in moto l'eterno guscio che è la coppia, la famiglia. «Andando però oltre i passati modelli - avverte Margherita Giacobino -, eccentricamente reinventando il punto di equilibrio. Un'inversione di rotta esemplificata da Delia e Nestore Ugazzi, i coniugi che, dopo un lunghissimo digiuno, tornano a far l'amore nell'ascensore rimasto bloccato, dondolante a quindici, metri da terra». Massi, con buona pace delle ossidate paure e ossessioni e bugie domestiche, è infine dolce dondolare su questo mondo. Brano Quaranta L'inferno domestico di Margherita Giacobino e le passioni liberty di Melania Mazzucco zante. «Ho descritto un luogo e una società intollerante - dice severa Melania - vorrei che il libro fosse preso come un messaggio sulla tolleranza». Però medici, avvocati, amici e parenti che sanno che la contessa Norma ha perso la testa per l'attraente Me dusa sono ben poco rispettosi della sua originalità e delle sue inclinazioni sessuali e riescono a farla internare. Nonostante tut te le traversie l'unico legame che resiste è proprio quello tra le due donne. «E' come se Norma e Medusa siano due facce della stessa persona. L'amore è vissuto dai miei personaggi come un confronto tra diversi, come una ricerca di una forma di conoscenza». Appena messa la parola fine alla sua avventura nel primo venticinquennio del '900, la neoscrittrice ha spedito il datti loscritto all'editore. Difficoltà per pubblicare? «Nessuna». COME VINCERE 34 MILA LIRE TRAVESTENDOSI DA TOPI Anni Cinquanta, gli scherzi alVamericana di Mario Riva Mirella Serri MARIO Riva (al secolo Mariuccio Bonavolontà) si affermò più che mai in televisione con un programma che fece scandalo, tanto da essere soppresso. Il copione di 200 al secondo era di Garinei e Giovanni™ e il vero protagonista era un cronometro campeggi ante sul palcoscenico e incaricato di scandire il tempo di gioco di ogni partecipante alla gara. Il cronometro partiva con il concorrente. Ma, al contrario del cronometro, il concorrente era sottoposto a varie prove quizzistiche per guadagnare duecento lire per ogni secondo di resistenza davanti alle telecamere. Poteva ritirarsi quando voleva, portandosi a casa quanto aveva guadagnato, ma era sottoposto anche a un evento esterno detto il «destino» che aveva la prerogativa di spogliarlo di tutto il guadagnato che finiva in beneficenza alla Croce Rossa. E il concorrente era, soprattutto, sottoposto ai maltrattamenti del conduttore della trasmissione. Se compiva qualche errore, infatti, non veniva estromesso dal gioco, ma era condannato a una penitenza. E le penitenze non erano leggere. Nella prima trasmissione milanese in data 19 giugno 1955 per la regia di Romolo Siena la gestione dell'evento era affidata a Elio Sparano e le penitenze ideate da Federico Caldura e Guido Stagnaro con la collaborazione di Cesare Casati e Cesare Somigliala. All'insegna «La città dove piove» il primo concorrente ebbe a che fare con otto sciacquoni rappresentanti otto città d'Italia. In una città pioveva e il concorrente che finì «sotto» si beccava una gran doccia. E non c'era tanto da lamentarsi, in quella e nelle susseguenti puntate ci sarebbe stato da sopportare di peggio, dal venir sommerso dalla cenere al ricever uova in testa, dall'esser sbattuto da un guantone da boxe gigantesco in una vasca piena d'acqua, dal soffocare tra nembi di piume, e via via in un crescendo di crudeltà. Non a caso Garinei diceva della trasmissione: «Credo sia una buona idea, veramente una buona idea, singolare e interessante. La prova che è una buona idea è data da questo fatto: che noi l'abbiamo avuta in questo momento, mentre in America ce l'hanno già copiata da due anni. La trasmissione americana si chiama Dollar a second...». E Giovannini interveniva: «Allora c'è una differenza, duecento lire!». Ma Garinei insisteva: «C'è un'altra differenza, che ad accompagnare questo neonato ai suoi primi passi saranno le gentili, delicate, candide, paterne, materne, affettuose, cordiali mani di Mario Riva...». Conoscitori di uomini come pochi, G. & G. avevano da subito intuito l'aggressività che covava sotto la bonarietà romanesca di Mario Riva. Questa aggressività esplodeva in palcoscenico, svillaneggiando il concorrente e mandando in solluchero il crescente pubblico televisivo. E qui siamo a ripassare ancora una volta le leggi della comicità. La comicità è basata sulle disgrazie di qualcuno. Spiace ammetterlo, ma le cose vanno sempre così. Mario Riva bersagliava il concorrente in tutti i modi possibili e impossibili e il pubblico si beava delle disgrazie altrui. Anzi, con il suo assoluto consenso autorizzava e spingeva il conduttore giustiziere a infierire ulteriormente sulle sue vittime. Alla prima serata trasmessa dal Manzoni di Milano quando aveva visto immolarsi sotto una doccia diretta la prima vittima, il signor Andrea Mappetelli, il pubblico aveva cominciato ad allertarsi. Lo spettacolo era senz'altro insolito. Qualche settimana dopo si poteva leggere su Stampa Sera un resoconto come questo della trasmissione avvenuta da Torino intitolato: Un'ora di ansie, di scherzi e di risate: «Sfortunatissimo è stato il tipografo Osvaldo Pirolla che ha vinto 34.000 lire ma ha dovuto lasciarsi travestire da topo, entrare in una trappola che, a un certo punto, è scoppiata, riempiendo di fumo rosa, azzurro e viola l'incauto roditore. Sorte migliore non è toccata al modellista Carlo Bozza, il cui volto è stato lavato a dovere con un liquido giallo e appiccicoso da un indifferente robot. Ma la vincita di 34.000 lire gli ha subito restituito il buonumore. Maglio è andata, invece, al signor Mario Sof¬ fietti, dolciere, uomo di mezza età e di robusta corporatura, che è stato vestito con un costume da bagno a righe e un sombrero in testa e ha dimostrato di sapere stare a quattro gambe imitando il cane e di resistere in maniera eccellente alle furie di un toro a cui, per penitenza, era dovuto salire in groppa. Nella lotta il toro ha avuto la peggio e Mario Soffietti si è portato a casa 73.000 lire circa...». A forza di lazzi, tormenti e altri strazi dei concorrenti costretti a intrufolare la testa in enormi piatti di spaghetti e a sedersi su vulcani esplodenti puntualmente in trasmissione, 200 al secondo diventò spasmodicamente popolare. In piena estate i negozi di elettrodomestici restarono aperti, per consentire a chi non possedeva ancora un televisore o non aveva trovato posto nei bar traboccanti di seguire la trasmissione. Il proprietario di un bar di Modena che aveva visto aumentare astronomicamente gli incassi domenicali del suo locale, inviò all'organizzazione del programma 100.000 lire di riconoscenza. Ma tutto non poteva filare tranquillo, anche se i guai cominciarono con una risata, in una cittadina del Veneto. Un concorren- missione. Si svegliarono tutti insieme. L'interrogazione parlamentare era irrimandabile. Sebbene si fosse in pieno clima vacanze l'onorevole Noverino Paletti non mancò di inviare a chi di dovere una vibrata richiesta al governo per verificare se davvero fosse così renitente ad occuparsi dello scandalo. «Se non intende intervenire per porre fine all'increscioso sperpero del pubblico denaro che la TV fa coi premi ammessi alla rivista 200 al secondo. Si tratta di alcune centinaia di migliaia di lire che a ogni trasmissione vanno a persone non meritevoli di ogni premio perché dotate soltanto del coraggio di farsi dileggiare in pubblico e che, se proprio crescono sul bilancio economico della TV andrebbero assai meglio spese in opere di beneficenza oppure a diminuzione dell'elevato canone di abbonamento alla Televisione...». Poi ci fu l'autogol del Radiocorriere, organo ufficiale della Rai Tv. Ma fu un autogol o un golpe? La successiva storia dell'ente pubblico ci ha insegnato che può essersi trattato dell'uno o dell'altro, o meglio dell'uno dell'altro o di qualsiasi motivo, anche del più impensabile. L'artico- mo al meglio...» ordinava l'articolo del Radiocorriere che somigliava al bollettino finale di una guerra vittoriosa. Ma proprio in quei momenti la città di Piacenza era in fermento nei preparativi dell'insediamento transitorio dell'itinerante 200 al secondo al Teatro Municipale. Ogni biglietto era esaurito da tempo. I bar avevano eliminato i tavolini per far posto alle sedie dei telespettatori e in un paio di piazze erano stati sistemati più televisori. G. & G. si fecero riprendere dalle telecamere per dire quel che pensavano di quel bollettino del Radiocorriere: «E' come se, aprendo l'orario delle Ferrovie si trovasse scritto: non prendete quel treno per Milano perché va male, tanto è vero che per fortuna tra qualche giorno sarà soppresso...». Confermarono, invece, per riprendere il controllo della situazione, che da tempo era stata concordata tra loro autori e la Rai una sospensione della trasmissione con una puntata finale a Milano il 2 di ottobre da dove era partita. Un apprezzabile tentativo di salvar la faccia a tutti, ma la Rai non si è mai distinta nelle buone maniere, e ignora le risorse diplomatiche. Il lunedì successivo, infatti, un funzionario dell'ente La coppia Billi e Riva in due varietà fine Anni 40 te, vittima di un ennesimo volo in botola avendo ricevuto una gran botta al basso ventre si lamentò a microfono aperto con Mario Riva che s'informava sulle sue condizioni: «Mi son fato mal al creator...». E la poetica formula si diffuse in tutta l'Italia televisiva e televisibile, innescando le prime scintille della reazione. Su La Notte, giornale del pomeriggio di Milano, un mezzo anonimo si rivolse al direttore Nino Nutrizio, con un inequivocabile atto di accusa: «Egregio direttore, non discuto se 200 al secondo sia o no la copia conforme di uno spettacolo americano, ma qui in Italia dà proprio la sensazione di trovarsi nel paese dei morti di fame. Salirebbe lei sulla pedana per farsi spaccare i piatti in testa dalla moglie o si denuderebbe per cadere in una vasca? E' uno spettacolo umiliante per chi lo subisce come per chi lo ammira anche se è vero che chi non vuole aderirvi può rifiutarsi. Cordialmente, suo Gianni T....» Mezzo anonimo e mezzo coraggioso, lo scrivente era probabilmente un giornalista dello stesso giornale. Gli scoop come le liti spesso vengono inventati per scuoter le acque. Per svegliare i moralisti e i patrioti dalla Toro riprovevole distrazione, svegliarli, chiamandoli al rispetto della loro 10 in data 18 settembre 1955 era intitolato La fine di 200 al secondo e recitava duramente: «Entro 11 corrente mese di settembre cesseranno le trasmissioni di 200 al secondo, la popolare trasmissione che ha distribuito alcune centinaia di biglietti da mille e provocato un numero ben più rilevante di discussioni in tutto il paese. Le ragioni che persuadono a sopprimerla sono più forti di quelle che consigliano di tenerla in vita. E' accaduto purtroppo ciò che uno i critici più attenti e obiettivi della tv Michele Galeani - sull'Europeo del 26 giugno 1955 - aveva previsto sin dalla prima trasmisione "L'idea è divertente; c'è da raccomandare soltanto ai suoi realizzatori una certa misura negli scherzi, che non diventino pesanti". Questa misura, forse, è stata passata. La reazione comunque è stata quanto mai pronta. Tutti i benpensanti e buona parte della stampa si sono levati come un sol uomo contro 200 al secondo, e l'eco è giunta addirittura in parlamento. Sono corse parole grosse o quanto meno di dimensioni inconsuete. U. B. su La Nuova Stampa del 28 agosto 1955 dice chiaramente che 200 al secondo è una trasmissione indecorosa...». «Separiamocene, dunque, senza ira e senza rimpianto e volgia- «200 al secondo»: lazzi, tormenti e altri strazi calamitarono l'Italia davanti alla tv La trasmissione durò poco, vinsero i moralisti che contestavano lo scialo del denaro pubblico pubblico comunicò a G. & G. che quella di Piacenza era da considerarsi a tutti gli effetti l'ultima trasmissione di 200 al secondo e che la polemica davanti alle telecamere aveva dato una spinta decisiva alla cessazione di ogni attività. G & G chiesero al Radiocorriere la pubblicazione di una lettera che avevano ricevuto dal direttore generale della Rai, Gian Battista Vicentini, ex dirigente della Cereria Vaticana, che confermava che la trasmissione sarebbe finita il 2 ottobre, a causa di impegni teatrali di loro autori e del conduttore Mario Riva, che dovevano insieme iniziare le prove della commedia musicale La granduchessa e i camerieri. Vicentini dichiarava altresì di avere apprezzato il loro lavoro e, visto il successo della trasmissione, si augurava che la collaborazione potesse riprendere al più presto. & Radiocorriere dapprima si mostrò contrario alla pubblicazione della lettera, e poi la pubblicò incompletamente, non lasciando a G & G la possibilità di una scelta tra sporgere o non sporgere querela per quanto appariva un vergognoso licenziamento in tronco. E la Rai Tv reagì con la solita pesantezza, boicottando ogni cosa che avesse il marcino G&G. Non restò inosservato, a esempio, un blitz perpetrato durante la registrazione del programma settimanale Strettamente confidenziale di Jula de Palma a cui fu proibito di eseguire due canzoni: 7 love you mister Giacomo Puccini e Cuore in Paradiso perché le parole erano di G & G. Il fatto, anzi il misfatto del boicottaggio che, per colpire G&G, aveva penalizzato i del tutto innocenti autori delle musiche Gorni Kramer, Rascel, Giovanni D'Anzi e Pasquale Frustaci, fece una pessima impressione. E il risentimento dei telespettatori per la soppressione di 200 al secondo non si cancellava facilmente. Era stato considerato un vero e proprio sopruso e aveva originato le prime storiche minacce di disdire l'abbonamento. Non a caso, la Settimana radio Tv, un giornale che aveva indetto un referendum tra i lettori domandando se volessero il ritorno di 200 al secondo tale e quale, aveva ottenuto solo un 5% di sostenitori che fosse messa una pietra sopra alla trasmissione, un appena 4% di fautori di pene meno crudeli per i concorrenti, e un 91%, un risultato addirittura bulgaro, di auspicanti un ritorno della trasmissione di G & G come prima e più di prima. Dati parziali e magari sospetti, ma le minacce di disdire l'abbonamento e le proteste per iscritto e a voce non potevano essere troppo a lungo trascurate. E, dopo l'eco negativa del blitz per le canzoni, da parte della Rai si cominciò a pensare a una rappacificazione con G&G. C'era bisogno di una nuova trasmissione che facesse dimenticare quella interrotta dopo tre mesi di successo crescente. A quasi due anni esatti dalla soppressione di 200 al secondo, Sergio Pugliese, responsabile della programmazione televisiva, entrato all'Eiar nel 1939, considerato piuttosto compromesso con il passato regime, ma anche autore di teatro di qualche successo, e comunque appartenente al «mondo dello spettacolo», invitò nel suo studio G&G per chieder loro una trasmissione a quiz da mandare in onda da Roma come controaltare di Lascia o raddoppia? di Mike Bongiorno mandata in onda da Milano. Quando si dice le coincidenze. G&G avevano appena avuto una nuova buona idea. A New York avevano visto, infatti, una trasmissione intitolata Nome that turne ovvero Conosci questo motivo? che era risultata di loro gradimento. E si erano pure ricordati che un loro amico francese, Jean-Paul Blondeau, ne deteneva i diritti per l'Europa. E non si erano affatto dimenticati di avere a disposizione un grande conduttore come Mario Riva. Con lui era facile formare un cast di tutto rispetto: Mario Riva era più che pronto, scalpitava addirittura per riavere in pugno una trasmissione di battaglia. Per la musica era a disposizione il maestro Gorni Kramer (Gorni come cognome, Kramer come nome proprio datogli dal padre in omaggio a un famoso ciclista americano) e per la regia si prospettava il giovane Antonello Falqui (figlio del famoso critico letterario Enrico) che per la televisione aveva abbandonato una promettente carriera cinematografica. Tutto bene, allora? Il guaio peggiore era che il titolo Conosci questo motivo? non convinceva nessuno. Non convinceva ancora una settimana prima del debutto fissato per il 7 dicembre 1957 quando ne parlò il Radiocorriere. A un certo punto, in un'ultima riunione Sandro Giovannini disse: «Chiamiamolo Il Musichiere» E tutti risero, pensando a una sua battuta. Quando lui insistette dichiarandolo un titolo perfetto, Sergio Pugliese si informò con cautela se, per caso, fosse diventato matto... Oreste del Buono Le fonti del Varietà Sentimental, il teatro di rivista italiano, a cura di Rita Cirio e Pietro Favari, Almanacco Bompiani 1975; Follie del Varietà, vicende memorie e personaggi 1890-1970 a cura di Stefano De Matteis, Martina Lombardi, Marilea Somare, prefazioni di Goffredo Fofi, Feltrinelli, 1980; Garinei e Giovannini presentano: Quarant'anni di teatro musicale all'italiana di Lello Garinei e Marco Giovannini, Rizzoli, 1985; Storia della Televisione Italiana di Aldo Grasso, prefazione di Beniamino Placido, Garzanti, 1992. »,