Moschea a Italia '61
Moschea a Italia '61 Oltre 2 mila musulmani celebrano il Ramadan Moschea a Italia '61 «Sì al Palazzo del lavoro» Un mese fa, all'inizio del Ramadan, i musulmani torinesi hanno inaugurato la quarta moschea cittadina. Seicento metri quadrati nel cuore di Porta Palazzo, sufficienti per ospitare duecento persone. Ieri mattina, per la fine del Saum, il tempo del digiuno e della purificazione, erano oltre duemila i marocchini, tunisini, somali, giordani, senegalesi, iracheni, albanesi in preghiera a Palazzo del Lavoro. «La partecipazione sarebbe stata molto, molto più ampia dice Bouchta Bouriki, l'imam marocchino che ha guidato la celebrazione per la fine del Ramadan - se i datori di lavoro avessero permesso ai loro dipendenti islamici di festeggiare i giorni di precetto. Il Palazzo del Lavoro avrebbe potuto riempirsi». Kassab Bouchta del direttivo Ucoù, l'Unione delle comunità ed organizzazioni islamiche in Italia che conta ormai un centinaio di luoghi di culto dalla Sicilia al Piemonte, aggiunge: «A Torino la comunità musulmana ha acquistato degli alloggi poi trasformati in centri di preghiera, ma siamo tanti, lo spazio non basta mai. Ci vorrebbe un posto come questo. Sì, il Palazzo del Lavoro sarebbe una moschea perfetta». E l'idea non dispiace neppure ad Abdellah Boutallaka, presidente della Consulta comunale degli stranieri, né ai tanti che offrono un contributo per pagare i tre milioni di affitto per la mattinata di ieri. I dati in possesso dell'imam Moustafa Aboussaad, che nella moschea di corso Giulio Cesare ha anche creato una scuola ma- terna e una sorta di «oratorio» festivo per i figli dei musulmani, dicono che a Torino e provincia sarebbero 20-22.000 gli stranieri di religione islamica. Tra regolari e no, naturalmente. «In un mese abbiamo ricevuto 200 richieste di iscrizione all'asilo spiega Aboussaad - ma possiamo accoglierne solo una cinquantina. E cento sono i bimbi delle elementari che vengono di sabato e domenica a studiare l'arabo e il Corano». Ieri, giorno di massima ufficialità e visibilità per la comunità musulmana, gli assessori Alfieri, Baffert e Prele hanno portato il saluto deU'amministrazione comunale ai torinesi che pregano rivolti alla Mecca. E la festa per la fine del digiuno è diventata anche occasione per riflettere sulla condizione di «nuovi cittadini» italiani. «Il '95 ci ha resi più visibili, abbiamo avuto più occasioni che in passato di far conoscere il nostro impegno a Torino e le nostre iniziative. Questo è un bene - dice l'imam Bouchta Bouriki -, ma resta molto da fare. Allo Stato italiano chiediamo di essere riconosciuti come seconda religione del Paese, dal momento che contiamo un milione di fedeli. Chiediamo di poter avere 1-8 per mille e di poter rispettare il nostro giorno di festa, il venerdì. In Italia abbiamo trovato molto, ma non ancora la libertà spirituale». Sotto le volte del Palazzo del Lavoro, erano centinaia anche le donne e moltissimi i bambini, in maggioranza sui tre-quattro anni: i figli.degli immigrati re. golarizzati con la legge Martelli, dei ricongiungimenti familiari. Vanno all'asilo, imparano l'italiano a scuola, in casa parlano l'arabo. A Torino, appartenere ad una fede «minoritaria» crea difficoltà? «I miei amici italiani rispettano me e la mia religione» dice Hajiba, marocchina, musulmana praticante, in Italia da 7 anni. «L'Italia è un Paese molto rispettoso - aggiunge - e sono convinta che potrò risolvere l'unico problema che ho avuto finora: al nido il mio bambino non può mangiare la carne macellata con il metodo islamico. Ho parlato con le maestre: sono state gentili, ma hanno detto che sarebbe complicato comperare solo per lui quel tipo di carne. Io comunque ci spero ancora». Il Palazzo del Lavoro «invaso» dai musulmani: «Sarebbe una moschea ideale» L'imam Bouchta Bouriki
Persone citate: Abdellah Boutallaka, Alfieri, Baffert, Bouchta Bouriki, Kassab, Moustafa Aboussaad, Prele
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