Iva un esercito di «poveri» di Bruno Gianotti

Diffusi dalle Finanze i tabulati '94: pagano solo quattro soggetti su dieci Lo scontro riguarda la qualità Diffusi dalle Finanze i tabulati '94: pagano solo quattro soggetti su dieci Iva, un esercito di «poveri» Metà dei contribuenti ha dichiarato un giro d'affari inferiore a 50 milioni ROMA. L'Iva? Un'imposta dimezzata. Viene pagata, in media, appena quattro volte su dieci e soltanto da contribuenti di un certo calibro, che sono ovviamente una minoranza, perché gli altri guadagnano pochissimo e riescono anche a dimostrare di essere in credito verso il Fisco. Lo dicono i tabulati del ministero delle Finanze, che ieri ha diffuso i dati delle dichiarazioni 1994 (si riferiscono all'anno precedente): su oltre 5 milioni di miliardi di fatturato complessivo denunciato dai contribuenti, il 58,2% delle operazioni è risultato «non imponibile». L'Iva si dimostra dunque una rete fiscale con maghe decisamente larghe, ma se si guarda la composizione dei versamenti, emerge un'altra sorpresa: su 100 lire dovute, il Fisco è riuscito a incassarne nel '94 soltanto 21,1, perché le rimanenti 78,9 sono passate come crediti d'imposta. In altre cifre, su 83.736 miliardi di versamenti sono stati indicati 36.729 miliardi di crediti d'imposta oltre a 28.367 miliardi di crediti da detrarre nell'anno successivo. Alla base di tutto, ancora una volta, c'è la «povertà». Dalle dichiarazioni Iva emerge il quadro di un'Italia in bolletta, dove esistono 5 milioni di imprese e lavoratori autonomi, ma 2 milioni e mezzo hanno un volume d'affari inferiore a 50 milioni l'anno. Il 50% dunque, sostiene di guadagnare pochissimo, anche se è avvocato, ragioniere o commercialista (62% di presenze in questa fascia di reddito), commerciante all'ingrosso (52%), commerciante al dettaglio (34%), meccanico-elettrauto (39%). Ma c'è di peggio: una parte consistente (28%) è ai limiti della sopravvivenza con un giro d'affari che non arriva a 18 milioni. A dichiarare questi importi minimi è il 71,3% dei contribuenti della cate¬ goria «servizi domestici», il 53,74% delle società di intermediazione, il 53,13% dei contribuenti della categoria «assicurazioni e fondi pensione», il 17,14% dei commercianti al dettaglio e il 19,08% di albergatori e titolari di ristoranti. In soldoni, alla fine dei conti, tutta questa galassia di piccoli contribuenti rappresenta a malapena l'I % di quei 5 milioni di miliardi del fatturato globale. Il resto è quasi tutto a carico dei «grandi», di quei 28 mila che non possono nascondere i 10 miliardi e più di «giro» annuale: sono soltanto lo 0,6%, ma versano il 75,6%. Le cifre diffuse dal ministero delle Finanze offrono ancora una volta l'immagine di sistema fiscale facile alla distorsione, ingannato in questo caso da una miriade di piccolissime partite Iva aperte da chi ha consulenze o attività secondarie per ottenere detrazioni dei costi. Un ginepraio in cui è relativamente facile, per professionisti e lavoratori autonomi, nascondere il reale volume di affari. Ma contro questa interpretazione è insorta subito la Confartigianato con il presidente Ivano Spalanzani: «Quando si vuole cercare il capro espiatorio del deficit pubblico - ha detto ieri -, quando si vuole impostare una nuova manovra, la strada da percorrere è sempre la stessa: gettare in pasto alla pubblica opinione le statistiche sulla presunta evasione delle imprese e dei lavoratori autonomi». Spalanzani accusa le Finanze: «E' significativo che il ministero renda pubbliche queste statistiche all'indomani di iniziative rivolte ad un ulteriore prelievo su artigiani e commercianti, mentre ancora non si conosce nel dettaglio il contributo che queste categorie hanno dato al concordato di massa». Bruno Gianotti

Persone citate: Ivano Spalanzani, Spalanzani

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